Il blocco del Gauchiste in bilico sul tetto dell'Hilton | pt. 1

di Mirco Salvadori

22 Gennaio 2019

Leggo una frase di Dominique de Roux, scrittore francese noto per il suo inimitabile e geniale gusto polemico, che recita: Siamo bloccati tra il gauchisme denunciato da Lenin e il gusto per l’Hotel Hilton. Questa citazione, presente tra l'altro nel nuovo volume pubblicato da Miraggi Edizioni con la traduzione di Francesco Forlani intitolato Immediatamente, rende perfettamente l'idea dell'impasse. Ci si blocca per motivi ideologici, non si procede per impedimenti che giungono all'improvviso, si cessa di scoprire per incapacità personale o pigrizia. Ci si ferma mentre un turbinio di avvenimenti sfrecciano ad un centimetro dalla propria immobilità.
Ho dovuto rallentare anch'io la mia corsa e non per l'indecisione tra la troppa eleganza di certa gauche e quella manifesta dell'Hilton, che a onor del vero amo in parti uguali, ma per il procedere della vita che sa togliere tempo al tempo lasciando solo un corridoio lungo il quale transitare per vestirsi, uscire, rientrare e nuovamente vestirsi e uscire e ancora rientrare senza soluzione di continuità. Un ciclo alieno dal quale il suono é bandito. Bisogna imparare a costruire strutture capaci di fermarlo, quel tempo. Piccole insenature lungo stretti corridoi nelle quali stendere il proprio corpo permettendo alla cultura del suono di rianimarlo. Questo cerchiamo di fare a Diserzioni, fermiamo il tempo anche se con molto ritardo e cerchiamo di abitarlo attraverso il suono che ha lasciato lungo il suo veloce cammino.

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TIZIANO MILANI
She
Setola di Maiale

Esiste un confine ben delineato, nell'universo elettronico italiano, é situato oltre la barriera della concettualità contemporanea nell'area indefinita della sperimentazione non blasonata. Una volta oltrepassato si rimane sospesi in un extra mondo formato da moltitudini di realizzazioni sonore per la maggior parte fini a sé stesse, prive di anima, mute nella loro assordante vuotezza. Molte volte gli autori di queste opere vengono incensati come i migliori esponenti del suono di avanguardia, senza tener conto che i veri alfieri del pensiero sperimentale sono i silenziosi abitanti della necessaria indagine sonora, coloro di cui si parla magari meno nei mensili specializzati ma che realmente sanno indagare nella sostanza sonica. Tiziano Milani é uno di questi, un attento costruttore di architetture sonore capace di raccontare con estrema capacità ciò che apparentemente risulta ostico, di non semplice comprensione.
She é un viaggio estremamente realistico nella concretezza della materia sonora e al tempo stesso un percorso sensoriale nella sua invisibile essenza visionaria. Durante il tragitto possiamo raccogliere frammenti di percezioni che contengono la purezza dell'estetica contemporanea, particelle di silenziosa dottrina ambient, interventi elettro-acustici che riportano l'ascolto nel reale per poi trascinarlo in una corsa a perdifiato attraverso un furioso diluvio elettrico che nutre e rigenera.

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ABUL MOGARD
Above All Dreams
Ecstatic Recordings

Questa non é arte modulare, questo non é il suono sprigionato da macchine rese senzienti dal tocco del maestro creatore, questo non é il solito disco di elettronica ambient ma una miscela lisergica di suoni che colpiscono subito e furiosamente l'animo. La melodia, la musica, il lento procedere del suono non trovano spazio all'interno di questa che é la prima produzione di Mogard dopo una pausa di tre anni, ciò che si espande e prende incredibilmente forma nelle sei tracce del vivido ed incandescente lavoro di tessitura modulare é purissima spiritualità che si esprime oltre la barriera del suono, dilatazione estrema del sentire che si trasfigura in reale purezza futuribile. La circolarità che avevamo conosciuto nel suo ultimo album prosegue a circondare il nostro ascolto, ci inebria e commuove trasformandoci in ascetici viandanti incapaci di sentire i rumori del reale ma abilissimi nel percepire anche le più sottili vibrazioni che prolificano nei territori governati dai nostri sogni.

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ALESSIO BALLERINI
‘WIWANANA’ Original Documentary Soundtrack
Fluid Audio

Wiwanana é la colonna sonora di un documentario di Iacopo Paterno che racconta la storia del progetto "Il Teatro fa Bene" di Jacopo Fo (https://vimeo.com/206375956). Queste le essenziali due righe per spiegare cosa contiene questa release. In realtà c'é ben altro dentro il suono realizzato da Ballerini. Guardando il video girato in Africa e ascoltando la musica che fluisce dalle casse si percepisce come del disagio, non si riesce a comprendere come dei suoni così eterei possano descrivere una situazione estremamente reale, legata al territorio e alla cultura che questo esprime, assai lontana dalle alchimie legate al digitale. Le categorie che imbrigliano il nostro pensiero fanno il loro sporco mestiere e non ci permettono di vedere oltre, in quei luoghi dove Alessio é andato a creare queste bellissime e dolcissime tracce. Basta però poco, basta guardare quei volti, quei sorrisi, quella volontà di contatto e condivisione per capire che questa era l'unica musica possibile. Suono che celebra l'incontro, lo scambio, la conoscenza reciproca che sola può avvenire nella delicatezza e calma di una realtà ancora capace di dare senza nulla ricevere. C'é bisogno di poetica, estremo bisogno di amore e fratellanza, bisogna essere capaci di accogliere e farsi accogliere e solo un suono apparentemente semplice ma intenso poteva esprimere tali sentimenti. Forse riusciremo a salvarci, in mezzo a questo mare di volgare ignoranza e insopportabile violenza, forse ce la faremo colpendo duro con la meravigliosa dolcezza di un abbraccio e del suono che tale stretta sprigiona.

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LUCA SIGURTA' & SERGIO SORRENTINO
Naked Brunch
Flag Day Recordings

Impossibile non innamorarsi di questo titolo, impossibile non penetrare le atmosfere di questo disco rimanendone letteralmente avvolti, impossibilitati ad uscirne. Lo spazio sospeso nel quale si espande assume ampiezza e profondità insondabili create dall'incontro tra la dialettica digitale di Sigurtà e la poetica elettrica di un Sorrentino che sembra abbia firmato un patto con il signore della sei corde. Si procede silenziosissimi, avvolti nella nebbia di un suono che usa la matrice ambient ma si espande ben oltre, fino a mescolarsi con il sussurro di una chitarra schiva e dalla voce suadente che plasma e permea di mistero una release magistrale. "Non ci eravate per Il Principio. Non ci sarete per La Fine... La vostra conoscenza di quello che sta succedendo può essere soltanto superficiale e relativa", asserisce il troppo concentrato Burroughs nel suo Pasto Nudo. In questo caso però, più che di pasto si tratta di brunch, un momento di pausa ricreativa che ci permette di allontanarci dalla superficialità e relatività delle chiacchiere fatte rimbalzare su tovaglie e tovaglioli istituzionalizzati, inoltrandoci ancora e ulteriormente nel sortilegio del silenzio privo di tempo dove il principio e la fine perdono il loro valore per lasciare spazio alla lenta magia di un arpeggio.

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NEOTROPIC
The Absolute Elsewhere
Slowcraft Records

15 Levels Of Magnification era il titolo del primo album datato 1996 uscito per la mitica Ntone, a firmarlo Riz Maslen con il moniker di Neotropic. Una sound artist che non ha bisogno di presentazioni, uno dei nomi di spicco del nuovo suono elettronico degli anni '90, la classica artista di cui non si perdeva una release, una tosta con il tocco magico. Dopo nove anni di silenzio eccola riapparire con un nuovo lavoro che lascia a dir poco stupiti. Se i Dead Can Dance avessero avuto la stessa accortezza e volontà di crescita artistica, probabilmente non avrebbero prodotto un album copia-incolla senza anima ma un lavoro come questo, elegiaco a dir poco. Non 15 ma 7 sono i livelli di magnificenza che elevano ai massimi livelli un'artista totalmente rinnovata nello stile e nel sound, anche se gli echi presenti nei lavori vicini alla filosofia Future Sound of London, con i quali la Maslen ha collaborato, fortunatamente faticano a scomparire. Suono e canto neo-classico e sorprendentemente folk si mescolano con la materia elettronica formando una miscela ad alta resa visionaria. La lentezza che contraddistingue tutto il lavoro aiuta ulteriormente ad immergersi in un paesaggio ricco di rovine antiche i cui marmi pian piano si sgretolano sotto l'effetto della salsedine e del vento che soffia senza sosta. Una figura avanza tra i colonnati e le arcate testimoni degli antichissimi sfarzi, la sua voce incanta e il suono che la avvolge é un irresistibile richiamo al sogno. Una dea ha deciso di tornare sulla terra, proviene dall'assoluto altrove.

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JAMES MURRAY
Falling Backwards
Home Normal

Quando ero bambino cadevo all'indietro, letteralmente. A casa, in pubblico, ovunque, non importava. Sempre all'indietro, violentemente. Recenti analisi sull'acufene hanno scoperto un infarto nella parte posteriore del mio cervello ma gli effetti cognitivi di questo danno non sono chiari. Avevo quasi dimenticato quelle discese autodistruttive dell'infanzia, ma questa sorpresa mi riportò immediatamente a quei primi, più forti sentimenti, all'intensità amara di ciò che prima contava di più. La lunga caduta libera attraverso l'oscurità, la totale resa della volontà e la deliziosa anticipazione dell'impatto. È strano non è vero, le cose che facciamo per salvarci e farcela. (James Murray)

Falling backwards, cadere all'indietro con il ricordo e adagiarlo sulla morbida sostanza creata dal suono. Realizzare uno dei migliori lavori personalmente ascoltati l'anno scorso ricorrendo alla memoria e alle immagini che sa serbare con stupefacente chiarezza. Un incredibile racconto di cadute in verticale, veloci tonfi sul pavimento, attimi di consapevolezza prima del salto nel vuoto. Tutto rappresentato come in un sogno, al rallentatore: la percezione dell'accadimento, l'espressione di stupore, l'inizio della discesa, gli occhi che si chiudono e il balzo nel vuoto. James Murray ha saputo trasformare la sua dura esperienza in purissima poetica sonora capace di coinvolgere e commuovere usando un registro che va ben oltre la classificazione musicale, intrecci melodici che penetrano a fondo nell'animo di chi ascolta. Un disco che può essere ascoltato e riascoltato all'infinito così come sul bordo dell'infinito si sta immobili, ad ammirare la bellezza.

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SIGILLUM S
The Irresistible Art Of Space Colonization And Its Mutation Implications
Transmutation

Be a wolf recitava il titolo di una traccia del primo lavoro dei Sigillum S, era il 1986. 32 anni di razzie, feroci e mortali agguati nei quali il nostro ascolto ha goduto nel sentire il suo stesso sangue lentamente colare dalle profonde ferite inferte dai quei denti aguzzi come può esserlo il suono che si contorce e distorce alla ricerca di una impossibile pace interiore. Molte sono state le vittime della possente bestia ma la maggior parte di esse l'hanno affrontata offrendo subito la giugulare in segno di sottomissione. Erano bersagli facili, preda di una ben più pericolosa sottomissione creata dal mito della creatura e della sua ferocia. Sono pochi coloro che l'hanno affrontarla cercando di studiarla e comprenderla nel corso del suo continuo cambiamento, pochi in verità sono riusciti a guardarla negli occhi mentre mostrava le zanne nere come la notte. Dopo tutti questi anni quel lupo ancora continua a mordere e lo fa con una sapienza e capacità cognitive stupefacenti, azzannando non la carne ma direttamente il battito del nostro cuore che pulsa impazzito ascoltando tracce come Gentically-Engineered Insects, Deep Void Plantations, Wrong Proto o Through the Endless Streams Of Satellie Euphoria. La creatura si é evoluta, ha saputo mantenersi viva ascoltando il fluire del tempo e i suoi cambiamenti, ha usato il suo immenso carico di informazioni sganciandosi da un mondo di provenienza che da troppo tempo gira inutilmente su sé stesso. Avvinghiato sul suo dorso ora volo con lei oltre i confini della foresta, lungo le rotte che ci portano lontano dai margini instabili dell'eco sonora che si ripete stancamente. Siamo uno di due, io sono la bestia lei é me e viceversa, un sigillo posto al centro del suono suggella questa unione.

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ANACLETO VITOLO
Obsidian
Primrose / Flipper

Girano dischi che apparentemente richiedono una preparazione accademica legata alla disciplina contemporanea del rumore o noise, per dirla in modo più trendy. Si fatica non poco ad ascoltarli in modo asettico o con un bagaglio che non comprenda un kit di sopravvivenza noise. Leggermente spaesato e spaventato cerchi i pareri di chi già ha superato la prova ascolto ma le righe che leggi non ti chiariscono affatto la natura del suono/rumore che stai tentando di ascoltare. Recensioni che sembrano dotte dissertazioni sull'algoritmo di Ken ben poco servono a comprendere il suo incredibile e tutto sommato plastificato amore per Barbie. Ci si ritrova quindi alle solite, abbandonare in un angolo l'opera sonica o cercare di penetrare nei suoi angusti ingranaggi usando l'arma più antica del mondo, la curiosità unita al decennale uso dell'ascolto mai fine a sé stesso. Bando quindi alle ciance, seppur sovrappeso indossiamo il costume da bagno e ci gettiamo in queste turbolente e torr(b)ide acque sature di taglientissima ossidiana. L'impatto é devastante, i tagli non si contano ma lentamente il sangue si rimargina e la visuale diventa nitida, così come l'ascolto. Il rumore volgarmente definito si trasforma in un insieme estremamente preciso di onde sonore generate da processi creativi che prendono forma utilizzando gli strumenti tradizionali e le loro capacità nel diffondere suono se sollecitati non convenzionalmente. Una trasfigurazione musicale che fa da introduzione e contrasto alla dura e vera sostanza noise sprigionata dall'uso massivo della componente digitale. Senza accorgersene si diventa parte del processo, l'ascolto si trasforma in presenza attiva che ricerca e stana i suoni più nascosti, si confronta con l'insondabile, inizia a colloquiare con l'inconsueto. Il rumore non é più tale, il noise ora é pura esperienza sensoriale che aumenta la percezione delle cose e permette di confrontarsi con culture apparentemente distanti e ostiche rispetto alla nostra.
Un frammento di ossidiana ora campeggia sopra la mia libreria, ogni tanto lo guardo e sorrido

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ANDREA TICH E LE STRANE CANZONI
Parlerò dentro te
I dischi di plastica

Quando si inizia l'ascolto di lavori che appartengono alla 'nobiltà cantautorale italiana', intesa come frangia radicale che continua il suo percorso nonostante le avversità e la violenza di un tempo che non concede pause, bisogna tener presente chi si ha davanti, quali stagioni ha vissuto e soprattutto se la voce dei suoi testi e arrangiamenti riesce ancora a sostenere il peso della corsa verso il domani. Personalmente ho dei capisaldi legati ai nomi dei cantautori che si rifanno agli anni della mia gioventù con Rocchi, Lolli, Manfredi, quelli della maturità che vedono Edgardo Moia Cellerino come incontrastato outsider e i tempi della quasi anzianità che mi vedono assolutamente innamorato del lavoro di Paolo Mazzacani in arte Mèsico. Mi affaccio quindi con cautela al suono di questo ex "guerrigliero metropolitano", testimone di ciò che per noi un tempo ventenni é stato il Festival di Re Nudo, un musicista legato alla mitica Cramps per la quale, nel 1978, pubblicò un primo album che conteneva la sempre fantastica e assolutamente provocatoria traccia Masturbati. Con cautela quindi, lo ripeto, mi posiziono all'ascolto di questo ultimo album di Andrea Tich sperando di non trovarmi davanti l'ennesimo polpettone condito di vecchi ricordi, arrangiamenti tristissimi con iniezioni prog che al solo sentirlo mi crea problemi. Parto in random iniziando ad ascoltare una traccia che si chiama La mia pace la tua guerra. Le scale armoniche mi assalgono con prepotenza, il mio '77 torna con tutta l'irruenza esaurita, trasformatasi in curiosità mai sazia. Mollo i vincoli e mi lascio andare sul suono della sei corde che ti invita al volo magico, il sax inizia a raccontare vecchie storie di zingari, il synth svirgola indicandoti una vecchia area di sosta e l'elettricità scorre liquida trasformando un nome sconosciuto nell'amico fragile d'un tempo. Il disco di Andrea Tich é sorprendente, pur mantenendo una semplicità di composizione rispetto ai canoni sonori ai quali oramai sono uso, sa raccontare con meravigliosa lucidità e poesia un passato impossibile da dimenticare, il tutto colorato con testi che conoscono alla perfezione il termine attualità. Parlerò dentro te non é il titolo di questo album, é l'intento decisamente riuscito di far breccia nel nostro cuore, soprattutto nel cuore di chi un tempo é salito all'ultimo piano del grattacielo più alto, ha indossato un paio di occhiali da sole e si é goduto l'incendio di Milano.

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DEAD PIANO
Dead Piano
ST.AN.DA.

Un'altra perla va ad aggiungersi alla già ricca collana di iniziative di divulgazione artistica che fa capo a Stefano Gentile e alla sua label. Si chiama ST.AN.DA. questo nuovo spazio espositivo all'interno dello store Silentes (http://store.silentes.it) nel quale vengono offerte per ora due opere: Motel a tre stelle di Fabio Orsi e Dead Piano, un titolo dietro al quale si celano Andrea Bellucci e Cristiano Deison, nomi noti assai nel panorama di ricerca italiano. Bastano pochi secondi e l'ascolto si fa subito intenso e profondo, al pari del prima citato Falling Backwards di James Murray, anche qui siamo in presenza del suono che fa la differenza. Il pianoforte é morto, viva il pianoforte, verrebbe da dire. Bellucci compone splendidi intrecci acustici con la tastiera e Deison li trasforma in qualcosa d'altro rispetto al 'semplice' accordo, la melodia stessa si trasforma rispetto quanto noi siamo abituati a leggere e ascoltare. Via via che l'intreccio tra le due componenti, quella acustica e quella digitale progredisce e si salda, la nuova creatura prende forma irradiando di fascinosa penombra lo spazio che la contiene. In molti cercano di abbattere le barriere che difendono l'anima stessa della melodia, cercano di scarnificarla rendendola priva di anima ma basta un tocco, il riverbero di una nota amplificato dall'uso di una macchina digitale perché nuovamente prenda vita espandendo il suo dominio oltre i confini dello strumento che l'ha generata, diretta verso il centro di un universo che mai cesserà di pulsare seguendo il suo lento respiro.

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EMANUELE ERRANTE
The Evanescence Of A Thousand Colors
Karaoke Kalk

Otto anni trascorsi cercando di capire se il suono ancora avrebbe accompagnato il percorso artistico in solitaria di Emanuele Errante. Ci aveva lasciato con lo splendore minimale di Time Elapsing Handheld, un disco rimasto impresso nei nostri ascolti per lungo tempo. Ma gli anni passano e fanno scordare quanto di bello si è vissuto, c’è bisogno di riascoltare una voce, di abbracciare una melodia che riporti alla luce i ricordi e non permetta al tempo di renderli indistinti. Dopo molti anni bastano poche note, la fine tessitura dell’intreccio ambient steso sull’impalpabile e soffice immaterialità delle sfumature e la lontananza si annienta. Il silenzio trasformatosi in dolcissimo insostituibile compagno, quel senso di impercettibile dolce malinconia che tutto permea sono nuovamente tornati a dissetare il nostro animo avido di bellezza e pace nella quale dolcemente dispiegarla. Centinaia di colori svaniscono nella loro continua evanescenza e ciò che lasciano è pura magia.

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ADRIANO ZANNI
Siamo Quasi Tenebra
Autoproduzione

*PEN DRIVE USB contenente
Composizione audio Inedita (file MP3+WAV)
22 Fotografie in Alta Definizione (JPEG 300 dpi 6000x4000 Px + Files Non Compressi TIFF) | *Digital Album

Siamo Quasi Tenebra è FOTOGRAFIA DI PAESAGGIO, è PAESAGGIO SONORO, è un progetto sul paesaggio interiore che utilizza il pretesto di un viaggio e trae spunto dalla lettura di un libro per fare bilanci, per guardare indietro verso ciò che è stato e per meditare su quanto ancora manca per arrivare a destinazione e per dipingerne la COLONNA SONORA. L’Islanda in sottofondo, terra aspra e al contempo generosa con chi è capace di passo svelto, occhio fiero e cuore affranto. Terra di fuoco e ghiacci capace di scaldare i nostri gelidi cuori erranti un attimo prima di trasformarci per sempre in Tenebra. Islanda, terra dove il bianco non ha mai la meglio, terra dove nulla è quello sembra e dove nulla sembra di questa terra ma dove tutto sembra attenderci per costringersi a stare con noi stessi, prima che l’ultima stella smetta di brillare. (Adriano Zannni)

Basterebbero le parole dell'autore, il fotografo e sound artist ravennate Adriano Zanni, per descrivere questo suo nuovo progetto ma esiste una componente invisibile che é bene mettere ulteriormente in luce, ovvero la passionalità con la quale si affrontano le avventure che ci ritroviamo a vivere. E' grazie alla passione per l'arte fotografica e per la maestosità del suono se ora possiamo accettare l'invito dell'artista e seguirlo nel suo stesso cammino, in bilico tra l'abbagliante fulgore del ghiaccio e il nero inchiostro di una terra concimata con il magma. Il nostro sguardo si sostituisce al suo e ciò che riusciamo a distinguere é l'estrema purezza di un paesaggio apparentemente deserto ma costantemente abitato dalla tempesta che imperversa nelle nostre instancabili anime di viandanti da sempre alla ricerca di luoghi lontani, sempre più inaccessibili perché in fondo noi amiamo l'assenza e il gusto dolce-amaro che provoca, amiamo inoltrarci nel silenzio gremito di suono, amiamo scomparire nel folto dei nostri pensieri ed attendere il giungere della notte perché noi, alla fin fine, siamo quasi tenebra.

 
 

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