Dedicato agli inopportuni
A volte le parole se ne vanno altrove. Nascono in un contesto, per dire una cosa, e finiscono per generarne un’altra.
Per esempio, secondo me, l’abitudine diffusa di liquidare i razzisti come “ignoranti” è profondamente sbagliata. Sbagliata perché trasmette l’idea di superiorità, di élite e comunica che non vale la pena di mobilitarsi contro: meglio ignorare gli ignoranti, perché intanto son destinati a scomparire pian piano da soli con i mutamenti del mondo.
Il razzismo non è l’ignoranza, o almeno non solo, ma è la negazione dei principi fondanti di libertà, uguaglianza e solidarietà per tutte le donne e gli uomini del mondo. Insomma trovo che sia meglio chiamare il razzista : “fascista”, “reazionario”, “servo del potere”, o più semplicemente “pezzo di merda”.
Proprio come ha fatto Massimo Cacciari.
È normale che coloro che si sono sentiti chiamati in causa dalle parole di Cacciari se la prendano, ma purtroppo anche altri hanno giudicato quelle parole “inopportune”.
Quell’aggettivo (inopportuno) mi ha illuminato.
Perché per certe persone bisogna essere sempre opportuni. Dire cose educate, compatibili, remissive. Tanto opportune da risultare inutili, inconsistenti.
Io continuo invece a sognare suoni, musiche, immagini e quindi anche parole “incompatibili”.
Anche rischiando che le parole se ne vadano altrove, che nascano per produrre un senso e ne producano un altro. Anche sapendo di risultare un po’ meno “per bene”, un po’ più sporco e cattivo, ma nella convinzione che almeno in questo caso siano intese come espressione di indignazione, di netto rifiuto, di ripulso verso persone spregevoli che alla fine finirano nelle fogne.
È inopportuno forse, ma è il bello dello scrivere e del parlare.
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Dedicato a chi ama ancora il “dark”
tempi bui,
crisi del lume della ragione,
tramonto del sogno di dominare il sonno dell’intelletto
e di rendere fluide e permeabili le frontiere del sapere.
La fioca fiamma (della ragione) ora vacilla, tremola,
e ci tocca proteggere le poche foglie di fuoco dal vento
prima che resti solo un tronco di cera.
...nella nostra musica, per fortuna, il buio si mantiene intrigante e misterioso
ci piace rannicchiarci nella sua oscurità e socchiudere gli occhi:
lì e solo lì,
dentro i chiaro/scuro del suono
possiamo ancora liberare la mente
e affrontare il buio che avvolge
“il deserto del reale.
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Dedicato agli arrampicatori di specchi
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Dedicato ai consumatori compulsivi
(15 agosto 2018 - giardino dei vicini di casa)
Un vortice di corpi, di carne umana, corpi fritti dal sole nel grasso loro.
Corpi adulti di maschi in canottiera da cui debordano le pieghe di sebo sub-ascellari e apparati digerenti che fanno scivolare giù i corti pantaloni fino ad esibire mezzi culi e contemporaneamente fanno salire su la canotta mostrando le pance cadenti. Corpi di femmine larghe in leggings aderenti a mostrare le loro ampissime curve. Corpi di figli adolescenti aspiranti eredi dei corpi genitoriali.
Teste ustionate, capigliature sudate che karaokano a volume insostenibile motivi neo melodici fermandosi solo per addentare il grasso suino colante fornito da griglie roventi che arroventano ancor di più la transumanza di vassoi pieni dal punto di fuoco all’altrettanto infuocata tavolata di mascelle masticanti. E se invece di karaokare li senti parlare stenti a trovare un essere umano dentro questa zuppa alcolica e carnosa fatta di vocali seriali e rutto libero.
Il disinfettante tsunami odor di plastica e cloro arriva dopo il classico tuffo nel piscinone prima che finisca la digestione. Poi a coronazione ecco il caffè con dovuta correzione prima di un’accennata partita a pallone. Allo sport hanno solo accennato perché sta già arrivando il gelato.
E il ripetersi vorticoso di questo girone infernale sembra non placare l’affamata fame.
Poi finalmente arriva il temporale… e meno male!