Recensioni a cura di Mirco Salvadori

Il Suono discosto e le sue vicende

My Home Sinking, Francis M Gri, Havenaire, Adriano Zanni, Gel-Sol, Islaja, Hidden Reverse, Lalli e Stefano Risso

12 Novembre 2017

Mi piace il salto rapido di un buon racconto, l'emozione che spesso comincia già nella prima frase, il senso di bellezza e mistero che si riscontra nei migliori esemplari; e il fatto [...] che un racconto può essere scritto e letto in una sola seduta (proprio come una poesia!).
(Raymond Carver - Da dove sto chiamando)

Mi piace il salto rapido di un buon suono, l'emozione che spesso comincia già nel primo fraseggio, il senso di bellezza e mistero che si riscontra nei migliori esemplari; e il fatto [...] che un disco può essere ascoltato in una sola seduta (proprio come una poesia!).

Questa la possibile traduzione piratesca e poco rispettosa della frase appartenuta al divino minimalista, una traduzione che usa il linguaggio caro a coloro che seguono le vicende del suono discosto, a chi solitamente legge quanto scriviamo in queste pagine.

Seguiteci…

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MY HOME, SINKING
King Of Corns
Infraction Records – Settembre 2017

George Gordon, Percy, John, Mary e tutti voi laggiù, anime in quiete nel silenzio del sonno dettato dall’assenzio. Harold, vecchio viandante del deserto, tu che usi la solitudine della nota per orientarti e tu Brian, gran cerimoniere di epoche future immerse nell’immobile svolgersi del tempo. Vi invito tutte, anime gentili, vi indico la via verso un luogo segreto abitato dal vento e dal frastuono silenzioso delle spighe di mais da lui accarezzate. Vi troverete a vostro agio in questa casa che dolcemente naufraga nell’immensità di un suono che colpisce il cuore radunando attorno a sé il ricordo di uno sguardo rivolto all’oscurità e la visione luminescente di un venire che sa mantenere la memoria e la dolcezza appartenenti ad epoche lontane. Enrico Coniglio, novello King of Corns banchetta attorniato dalla grazia dei suoi commensali in un salone sospeso nel tempo, un luogo dal quale si può intravvedere il futuro del suono, quantomeno un suo possibile sviluppo. Molti sono gli artisti invitati a questa celebrazione. Tra i presenti spiccano per intensità e dolcezza, le tre diverse firme vocali di Chantal Acda, Jessica Constable e Violeta Paivankakkara. La sensibilità inconfondibile del tocco di James Murray e la splendida magia pianistica di Elisa Marzorati. A chiudere il parterre artistico, Peter Paul Gallo al vibrafono e Gabriele Mancuso alla viola. A dirigere questa orchestra tutta virtuale, il sorprendente sound designer veneziano che riesce a tessere un complicato e sofisticato arazzo con i fervidi e al tempo stesso oscuri colori di un futuro sonoro che tenta di svincolarsi con somma intelligenza dalla stagnazione imperante di un secondo millennio bloccato dentro canoni di insostenibile ripetitività. Ci verrebbe da definire King of Corns come un disco post-tutto, i suoi solchi reclamano l’appartenenza al suono ambient, folk...con qualche accento, credo non voluto, al neo-folk. Si ritrovano intrecci classici, contemporanei e post-moderni, sound-art e video arte presente con i filmati che accompagnano questa e le altre uscite discografiche del progetto MHS – MHS/Fluid Audio 2013 e Sleet/cassetta autoprodotta uscita nel 2015 – . Probabilmente una delle più interessanti uscite di quest’anno.

...sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando… (G. Leopardi)

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FRANCIS M GRI
Fall and flares
KrysaliSound – Ottobre 2017

Scuole di pensiero che si rifanno all’espressione elegante del gesto, all’armonia della posa, al lieve procedere del tempo che regala esperienza e capacità di metterla a dimora. Scuole di pensiero alle quali appartengono, in numero esiguo musicisti, sound artists e qualche etichetta discografica. Spicca tra queste ultime la milanese KrysaliSound, per la costante e assoluta qualità delle sue produzioni. A guidare questa piccola label artigianale un reduce della seconda ondata crepuscolare italiana, l’ex All My Faith Lost, quel Francis M Gri che ha trovato nella silente dilatazione del suono la sua nuova strada da solista nei panni di Apart e in seguito con il suo vero nome. La crisalide è giunta alla sua nona muta e i colori che un tempo apparivano all’interno del dorato bozzolo che la racchiudeva si sono trasformati in vividi segnali di maturità artistica. La pupa si è liberata ed ora vola, libera farfalla lungo i confini di un suono in continua espansione. Le sei corde si insinuano nel processo che trasforma il suono della loro vibrazione in altro. Assistiamo al volo magnifico sopra un placido oceano di silenzio sul quale la farfalla rilascia parte della soffice patina colorata che la ricopre. Non ci resta che seguire quelle tracce per scoprire tutta la vastità di un suono che sa raggiungere altezze sublimi per poi ripiegarsi lentamente nel lento respiro di un’unica nota che placida galleggia nel riverbero dell’infinito.

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HAVENAIRE
Rabot
Glacial Movement – Novembre 2017

Roland Juno-106, Moog Sub Phatty, Grendel Drone Commander, piano, macchine e strumenti che producono una potenza di fuoco capace di incitare il suono e farlo dilagare ancor più in profondità, possono spronarlo ad aumentare la propria già incredibile potenza aumentando la frequenza del battito contro cui andrà fragorosamente a frangersi. Roger Olsson in arte Havenaire è maestro di cerimonie armonionose, sa incantare l’animo con l’iterazione concentrica del suono, sa rapire e ipnotizzare usando le antiche e basse frequenze del Moog e delle sue creature liquide in espansione costante ai confini del cuore. Il musicista, produttore e compositore svedese riesce a produrre sonorità che alcuni definirebbero pop per il loro facile inchinarsi all’ascolto melodico. In realtà le sue sono brevi e complesse sinfonie elettroniche composte sul bordo di una modernità al collasso, alla ricerca di un rifugio dove finalmente poter riprendere il dialogo interrotto con la natura, magari proprio lì, sulle pendici del ghiacciaio Rabot, nel profondo nord della Svezia.

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ADRIANO ZANNI
Disappearing
Boring Machines – Novembre 2017

Torna il fotografo dell’immobilità, colui che ferma l’immagine l’attimo esatto nel quale l’immagine esclude sè stessa dall’obbiettivo, scompare lasciando a testimonianza del suo passaggio il simulacro di ciò che era e l’insieme di suoni che in essa viveva. Adriano Zanni torna a sfidare le regole della visione e dall’ascolto proponendo un ennesimo sussurro prima della fine. Come sempre nel suo percorso, immagine e suono viaggiano nella stessa dimensione. Con l’una si documenta il visibile, con l’altro l’invisibile che ne fa parte. Disappearing cerca di documentare questa esperienza immersiva rilasciando sul vinile la registrazione del respiro in affanno di una realtà assediata, sull’orlo del collasso. Ciò che vediamo in copertina, nella bella foto che rappresenta una strada solitaria, la sua curva e la silenziosa presenza della pioggia che la bagna è solo il simulacro di quanto rimane. Sotto le radici degli alberi apparentemente senza tempo che ne delineano le curve, nel cuore dell’asfalto che blocca il suo respiro, si muove lenta una fiumana di materia viva che scivola nel suono, diretta verso la fine, il silenzio, la scomparsa. Zanni ha la capacità di annullare la classica ricerca musicale che vorrebbe catalogare per generi quanto si ascolta, il lavoro dell’artista ravennate mira più in alto, trasformando il suono e l’immagine che da esso scaturisce in racconto che non ha bisogno di catalogazione. Oltre il suono, oltre l’immagine, ai confini di una realtà che sta scomparendo.

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GEL-SOL
Horse Head Bookends
Verses Records – Settembre 2017

Il mio primo incontro con l’incontenibile Andrew Reichel in arte Gel-Sol, lo ebbi nei primi anni del secondo millennio con un disco inciso per una delle allora top records labels di nicchia, la defunta em:t inglese. Un musicista che difficilmente si scorda e che ricompare nel mio ascolto a distanza di anni con uno dei lavori più complessi e divertenti ascoltati ultimamente. Reichel è il classico personaggio multitasking che si muove nel panorama elettronico internazionale dalla fine degli anni ‘90. Il suo suono letteralmente esplode di contenuti artistici, come le illustrazioni psichedeliche che accompagnano i suoi lavori. Horse Head Bookends è una festa di colori, la confusione organizzata, il delirio cosmico nel quale danzano al ritmo del suo famoso e massivo sintetizzatore modulare chiamato amichevolmente Mort, decine di generi musicali: lo space rock in primis, a seguire il freddo pensiero tedesco mixato con il rithm’n blues americano e il funk, passando per il suono contemporaneo d’avanguardia. Nulla viene escluso in questo helzapoppin sonico nel quale la splendida follia concettuale di Reichel trova la sua massima espressione. Progressive futurista da assaporare sorseggiando aperitivi nucleari su spiagge di sabbia blu, bagnata dai raggi cosmici delle tre lune di Goldilocks.

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ISLAJA
Tarrantulla
Svart Records – Dicembre 2017

Ascolto Merja Kokkonen, in arte Islaja, e brividi di piacere scivolano lungo la schiena. Balzo istantaneamente indietro nel tempo e mi ritrovo davanti al mio vecchio giradischi, ad ascoltare estasiato la voce e il suono dei Bel Canto. Assonanze presenti in alcuni brani, non v’è dubbio, ma talmente esplosive che muovono ad emozione. Islaja mette alla prova, affascina e sorprende, seduce e ti incatena all’ascolto. Il suo è folk del millennio a venire, è techno che profuma di resina, tribalismo minimale, astrattismo graffiato di pop e fervore sintetico. Vocalità che si esprimono in una lingua arcaica supportata dal suono di un sax metropolitano. Blues macchiato di sporco trip-hop che sa ancora reggere il termine underground. E poi c’è il suo canto, la vocalità della sirena che si esprime in un lingua sconosciuta, il linguaggio che rapisce, un disco che incanta.

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HIDDEN REVERSE
Six Cases Of Sleep Disorder
Azoth – Ottobre 2017

Andiamo con ordine e non diamo tutto per scontato. Chi è Simon Balestrazzi? I più anziani tra voi sorrideranno chiedendosi il motivo di tale inutile domanda ma il tempo passa così come gli ascolti, di padre in figlio, verrebbe da dire. Ecco il motivo della domanda ed ecco perché esordisco con il nome di una formazione che molto ha dato nel campo della ricerca sonora italiana negli anni ‘80 e a seguire ovvero T.A.C. che sta per Tomografia Assiale Computerizzata. Con questa formazione, per certi versi legata ad un altro importante nome ‘di confine’, Kino Glaz, Balestrazzi è entrato da subito in rotta di collisione con il suono inteso musicalmente, ciò che abitualmente ascoltiamo. T.A.C. ha iniziato un viaggio di ricerca tentando di sezionare il suono al pari della macchina medica usata per le scansioni degli organi interni. Un percorso oscuro, ostico, per nulla illuminato neanche dalla più flebile sorgente luminosa legata magari a qualche riverbero rock. Sempre ostinatamente oltre, stravolgendo il concetto stesso di genere, lungo i confini del puro sperimentalismo. Altra domanda che ci si pone, abitando oramai il secondo millennio, è se ancora esiste uno spazio per questa ricerca, se alla fin fine non sia una ripetizione infinita di quanto coraggiosamente esposto in epoche che offrivano una risposta ermetica all’innovazione sperimentale, rifuggendola come male assoluto. I tempi, come accennavo, sono molto cambiati ma certa sperimentazione, la più seria e longeva ha diritto d’asilo, assediata com’è dall’insipienza musicale ostentata da un numero sempre maggiore di sound designers, sound artists, programmatori, field recordists e chi più ne ha.
Questo prologo credo sia basilare per capire il senso di un lavoro come questo, firmato da Balestrazzi assieme a Massimo Olla, più giovane sperimentatore conosciuto con il moniker Noisedelik e produttore di macchine per il suono che stanno alla base di questa release. Sei casi di disordine del sonno, un viaggio impressionante ed immersivo a contatto con il malessere, sul confine tra insonnia ed incubo. A rendere ancor più reale il racconto, l’uso di strumentazioni non convenzionali, auto costruite come il [d]Ronin, uno strumento a corde che rende assai più reale il dipanarsi del viaggio a contatto con la notte e l’assenza di pace donata dal normale riposo. Un disco che contiene materiale altamente cinematico racchiuso in un’interessante confezione che ne esalta il cipiglio oscuro, quasi esoterico. Tenere lontano dalla portata degli insonni.

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LALLI E STEFANO RISSO
un tempo, appena
Silentes – stella*nera – Dethector – BrunoAlpini – Novembre 2017

“… conobbi i Franti e questa mia urgenza trovò una nuova via d’espressione, che passava attraverso la musica. Non c’era solo il punk, come poi si dirà, certo credevamo fermamente nell’autoproduzione e nell’autogestione della merce musica, ma quello che condividevamo era soprattutto una passione che, nel mio caso, ha sempre riguardato anche la melodia e il canto”.

(Marinella “Lalli” Ollino nel capitolo a lei dedicato in Gli Altri Ottanta di Livia Satriano – Agenzia X 2014)

Quelli come lo scrivente, che in campo musicale si occupano anche di libera circolazione del suono attraverso le regole del creative commons, non possono che ringraziare i Franti che in tempi lontani già si battevano per l’autogestione del proprio prodotto artistico. Stiamo parlando dei primi anni ‘80, un periodo carico di fermento e progettualità, termini che ai giorni nostri hanno perso valore e significato. Tutto si stava muovendo, le uscite discografiche permettevano l’accesso a sempre nuovi mondi musicali e anche in Italia la sana violenza sonora del punk trovava nei torinesi Franti una delle sue prime espressioni. La voce di questa formazione era lei, Marinella Ollino da tutti conosciuta come Lalli, una forza espressiva che la rese famosa nel mondo ‘nascosto’ dell’underground di quei tempi. Nella resoconto contenuto nel bel libro della Satriano si può ben capire qual’era la realtà del periodo, cosa e come succedevano le cose e soprattutto il perché dell’urgenza espressiva citata nelle poche righe usate come introduzione a questa recensione. Erano tempi che a fatica si dimenticano, lampi di ricordi che ognuno di noi serba nel proprio intimo da cui difficilmente ci si separa.
Con questo carico di esperienze ed emozioni giunge l’ultima fatica discografica di Lalli assieme al produttore, compositore e contrabbassista Stefano Risso, conosciuto artista decisamente eclettico che si muove liberamente tra il jazz, l’avangardia e la canzone d’autore. Un tempo, appena raccoglie tredici tracce di esplosiva ed intima poesia che trasuda da ogni singola nota, da ogni singolo testo cantato con quella voce inconfondibile che, se ascoltata da chi possiede gli stessi anni di Lalli, ti fa sentire a casa. Una serie di liriche tra le quali compaiono anche delle covers di pezzi firmati da un pacifista Boris Vian nella verione italiana di Fossati, la splendida e dolcissima versione di Birds di Neil Young e la cover degli Husker Du con l’impressionante ‘Diane’, canzone più che attuale sulla violenza contro le donne, apparsa nel 1983 sull’EP Metal Circus.
Ascolto e mi chiedo perché questo andare continuamente alla ricerca di nuovi suoni, perché lasciarsi alle spalle l’immediatezza della parola quando basta la melodia di una sola frase avvolta nella più seducente delle musiche per fermare il tempo e lasciare che la suggestione abbracci il ricordo in una danza che mai avrà fine.
La più intensa uscita discografica dell’anno.

 
 

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