Thee Oh Sees – A Weird Exits

by MonkeyBoy (Vinylistics)

30 Agosto 2016

Due sono le cose certe della vita: che prima o poi le vacanze finiscono ed il fatto che i Thee Oh Sees facciano uscire un album all’anno. Se il ritorno alla vita di tutti i giorni porta con sé tristezza, nostalgia ed una buona dose di nervosismo, l’immancabile uscita della band di John Dwyer – siamo all’undicesimo disco sotto questo nome, diciassettesimo assoluto in tredici anni – alla lunga potrebbe causare assuefazione se non addirittura noia o disinteresse. Di solito bastano i continui cambi di formazione e gli interminabili tour infuocati a mantenere vivo l’interesse, ma questo A Weird Exits (al di là del titolo senza senso) vive di scintillante vita propria, e può essere a buon diritto considerato come una delle cose migliori che abbiano mai fatto.

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A distanza di poco più di dodici mesi da Mutilator Defeated At Last, questa volta al ras John Dwyer (voce, chitarra, tastiere e sostanze proibite) si uniscono ben due batteristi, Ryan Moutinho e Dan Rincon, con l’unico ritorno di Tim Hellman al basso. Registrato a Los Angeles – ormai nuova casa del gruppo originario di San Franscisco – e ovviamente pubblicato per la Castle Face dello stesso Dwyer, A Weird Exits beneficia di un’improbabile quanto rivelatrice cover ad opera di Robert Beatty (Tame Impala, Neon Indian, Real Estate), e porta avanti il discorso ripreso con Mutilator.

Forse qualcuno si ricorderà quando all’indomani della release di Drop, il frontman dichiarò che il futuro dei Thee Oh Sees sarebbero state le chitarre. Non solo è stato di parola, ma ora il processo di ritorno ad uno stadio il più possibile primordiale della loro musica si fa ancora più viscerale ed immediato grazie alla scelta della doppia batteria, che rende l’album così vitale da restituire in maniera clamorosa ed efficace il mood dei live della band.

Lo psych-garage di brani come l’iniziale Dead Man’s Gun o del singolo Plastic Plant è la solida base su cui i Thee Oh Sees possono dare sfogo alle loro malate jam sonore. Le ritmiche motorik, le chitarre fuzzate e piene di eco che si lanciano in assoli lancinanti della prima si uniscono alla voce al solito suadente ed in falsetto della seconda, che gode soprattutto di un impianto classico per la band, in cui dopo tanto costruire con la sua vocalità pazza, Dwyer lascia che sia la parte di chitarra a fare da ritornello.

A differenza del passato, la creatura Thee Oh Sees sta mutando sempre più spesso da tirannosauro – che con la sua mastodonticità distrugge tutto quando attacca – in qualcosa di più simile ad un velociraptor: agile, chirurgico e veloce. Dei nemmeno quaranta minuti di disco sono parecchi gli episodi che hanno questa caratteristica, tra cui spicca senz’altroTicklish Warrior, rumorosissimo e fracassone momento che se diverte nel titolo colpisce senza pietà nel sound, ricordandoci ancora una volta l’enorme qualità che i californiani riescono a mettere giù ogni volta che toccano uno strumento.

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In effetti qui traspaiono gioia ed allegria nella voglia della band di sperimentare nuove soluzioni senza stravolgere più di tanto la propria natura. La strumentale Jammed Entrance è senza dubbio l’esempio migliore di un’esplorazione che parte dall’anima kraut del gruppo e che deriva in qualcosa di glitch e trippy – come poi deve essere quando ascolti i Thee Oh Sees – con la tastiera che si ruba la scena ed una parte ritmica che di nuovo riempie lo spettro sonoro con disarmante facilità.

Proprio la prestazione mostruosa delle due batterie – unita ad una produzione curata ma non soffocante – è una delle mosse assolutamente vincenti di A Weird Exits; riuscendo a tenere ancorato Dwyer il più possibile coi piedi per terra, lo si rende più efficace ed organico, gli si dà modo di bilanciare la sua furia carnale con le sue divagazioni astratte.Gelatinous Cube, una delle vette, beneficia proprio di quanto appena detto risultando divertita e minacciosa, rave e suonata ottimamente allo stesso tempo, una belva al guinzaglio che coglie in pieno il rinnovato spirito della band.

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Potrebbe sembrare assurdo, ma nonostante quanto scritto fino ad ora la parte che davvero rende questo LP una pietra miliare nella discografia dei Thee Oh Sees è quella finale. Al di là del momento di alleggerimento strumentale di Unwrap The Fiend Pt. 2, sono le lungheCrawl Out From The Fall Out e The Axis a lasciare la sensazione di una reale evoluzione tra l’altro perfettamente riuscita. La prima è una jam ipnotica lenta come un verme che si insinua sottopelle, costruita su elementi ben definiti – tastiere, basso, piatti hi-hat ed archi – e lasciata crescere come incredibile momento tra progressive e psichedelia, sussurrata e non gridata, nebulosa ma affascinante....continua su Vinylistics

 
 
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