Mi inoltrai nella selva oscura dei Cure

... un concerto, una canzone e un racconto del 1985

23 Aprile 2016

Sono passati da poco 30 anni dalla prima volta che vidi i The Cure dal vivo.

Il ricordo si ravviva quando, sistemando un vecchio scaffale, da una scatola esce un biglietto di un concerto, due musicassette e un foglio con un racconto scritto da un allora teen ager che muoveva i primi passi nel suono.

Inserisco la cassetta nel vecchio mangianastri e ricordi si fanno più nitidi: lo vedo quell'uomo, era diverso da ogni altro. No, non per l'acconciatura dei capelli, né per il volto truccato, quell'uomo irradiava vibrazioni che alla giovane anima di un ragazzo conferivano il medesimo aspetto di morte, vita, gioia, dolore. All'epoca quelle canzoni erano la chiave per uscire dal mio perenne stato confusionale. Con quei sogni, quei drammi, quegli incubi, con quelle irrequietezze entravo in perfetta sintonia.

Ancora oggi riascoltando quel concerto trovo incredibile come i Cure riuscissero ad alternare acquerelli pop dai colori bizzari a composizioni ad alta tensione emotiva. Ma quale era il vero Robert Smith, quello che proiettava l'ascoltatore in una dimensione opprimente o quello che con ritmi accativanti esprimeva una contagiosa allegria?

Era probabilmente entrambe le cose, lo stesso uomo in preda a fantasmi e ossessioni che riusciva a uscirne di tanto in tanto acquisendo una purezza quasi fanciullesca in contrasto con l'inquetudine e la paranoia che per lunghi periodi sono state le sue uniche compagne.

Ho sempre preferito il Robert Smith più introsopettivo e sofferente rispetto a quello più fanciullesco e bizzarro, ecco perchè quando, in quella notte del 1985,  iniziarono le note di "A forest" dopo una serie di brani più "poppy" mi scesero lacrime di commozione...

A questo punto apro il foglio per rileggere quel breve racconto ispirato da “ A forest”:

Jack si alzò presto quella mattina, le goccioline di brina avvolgevano i contorni degli alberi ricoprendo la vegetazione di una brillantezza inconsueta.

Cominciò a muoversi piano piano come tutte le mattine per riprendere il possesso degli arti mentre gli alberi protesi verso il cielo grigio di quella foresta, l'unica miracolosamente intatta in tutto il mondo, sembravano condividere la sua tristezza.

Camminando e guardandosi attorno gli ritornarono in mente i versi di quella canzone mai dimentata: “Hear a voice, calling my name, the sound is deep, in the dark”.

Questa volta, però, il ricordo gli procurò una reazione diversa e cominciò a correre incontro alle sagome di quegli alberi fino a quando non sentì più quella voce che l'aveva illuso di aver trovato rimedio alla sua terribile solitudine. Poi comprese, si gettò a terra tra le foglie e pianse, pianse finché le tenebre non ricadero su di lui e sulla foresta sempre più cupa e meravigliosa.

Allora Jack si alzò per contemplare la bellezza dello scenario rischiarato dalla luna.

"Dopo tutto era solo una canzone"  disse tra sè e sè e riprese il suo cammino senza meta”


..l'esplorazione dentro quella foresta infinita chiamata "musica" continua... e continua ancora oggi ad essere la cura ed il nutrimento della mia anima


Scaletta del concerto di Padova 8 dicembre 1985

Intro:

The Glove - Relax

Mainset:

The Baby Screams, Play For Today, Kyoto Song, Primary, Secrets, The Blood, The Hanging Garden, A Night Like This, Inbetween Days, Let's Go To Bed, The Walk, Push, Screw, Give Me It, A Forest, Sinking,

E1: Six Different Ways, Close To Me,

E2: Charlotte Sometimes, Three Imaginary Boys, Boys Don't Cry,

E3: Cold, 10.15 Saturday Night, Killing An Arab, Forever

 
 

 
 

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