Kendrick Lamar – untitled unmastered.

by MonkeyBoy (Vinylistics)

18 Marzo 2016

Due cose che non fanno più notizia nel 2016: i dischi che escono a sorpresa; recensioni di album hip-hop su questo blog. Ora, se la prima è un’onda irrefrenabile che contagia sempre più artisti, sulla seconda mi sento di poter tranquillizzare tutti dicendo che qui avranno cittadinanza solo i pezzi grossi del rap – tipo Drake e Kanye – e forse alcune eccezioni meritevoli. Ma c’è un MC che, nato tale, ha ormai travalicato il confine di genere per diventare un fenomeno culturale più ampio; uno che, al momento, qualsiasi cosa faccia diventa Importante. Lui è Kendrick Lamar e dopo aver pubblicato solo 12 mesi fa una pietra miliare come To Pimp A Butterfly (mio personale album dell’anno scorso) è tornato con un progetto, untitled unmastered., che ora vi verrà spiegato per bene.

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Nel dicembre 2014, ben prima di pubblicare TPAB, K-Dot porta una canzone inedita e senza titolo (che ora sappiamo essere untitled 03) al Colbert Report. Gennaio 2016, questa volta tocca al Tonight Show di Jimmy Fallon esplodere per un altro brano sconosciuto (untitled 08 allora nota come Blue Faces più il finale di untitled 02). Infine è il momento della celeberrima esibizione ai Grammy Awards di quest’anno, in cui Kendrick fa uno snippet di untitled 05 che colpisce così tanto un certo signore di nome LeBron James da convincerlo a stalkerizzare via Twitter il boss della Top Dawg EntertainmentAnthony Tiffith affinché pubblichi il materiale inedito proveniente dalle session di TPAB. Sì perché come ammesso dallo stesso rapper di Compton c’è “un’intera camera piena di materiale non finito nell’album” e allora la stessa TDE spoilera qualcosa mettendo Lamar in lista per le uscite 2016. Da qui il passo è breve, il 3 marzo per errore spuntano in clamoroso anticipo i dettagli di untitled unmastered. su Spotify, mentre il 4 il disco è disponibile su iTunes, Tidal e ogni altra piattaforma. Ieri è stata annunciata una release fisica, ovviamente via TDE, Aftermath e Interscope.

Non si tratta di un vero e proprio album, ma è molto più di un classico mixtape hip-hop, per cui la definizione di ‘compilation’ forse riesce a rendere meglio l’idea di questi otto pezzi che recano tutti la dicitura ‘untitled’ seguita dal numero progressivo e la data in cui sono stati presumibilmente registrati, tra il 2013 ed il 2016. A causa dell’iniziale confusione che ha attraversato l’internet nella notte tra giovedì e venerdì scorsi, Kendrick Lamar ha dovuto successivamente spiegare che queste canzoni sono proprio quelle provenienti dal materiale di cui sopra, solo in forma rozza, senza titolo e masterizzazione. Ciò non toglie che, al solito, ci sia uno stuolo imbarazzante di collaboratori e produttori ad affiancare K-Dot.

Untitled 01 setta immediatamente il tono con una intro parlata (e molto profonda) di un Bilal un po’ lounge un po’ marpione, che pare preludere ad una storia lui/lei molto carnale, prima che entri King Kendrick – su piano e basso poderoso e sovraccarico – e giri tutto su qualcosa di molto simile all’apocalisse. Dal flow escono descrizioni limpide e chiare tra spiritualità e tormento interiore (“I guess I’m running in place trying to make it church”), con riferimenti al libro della Rivelazione e featuring di Anna Wise sul finale a chiudere il cerchio tornando in una zona calda e apparentemente confortevole. Musicalmente, il primo momento di evidente raccordo con Butterfly si ha nell’untitled 02 che, non a caso, parte con un “Pimp Pimp…Hooray!” tanto esilarante quanto chiarificatore. Prodotta da Cardo e Yung Exclusive, è impregnata di jazz – free e d’avanguardia – mentre si snoda su un tappeto oscuro e notturno fatto di synth, sax, corni e pianoforte, in cui Lamar almeno per 2/3 di canzone rappa in modo piuttosto cadenzato di black culture – sia nell’ottica razzista che vede i neri sempre e solo poveri, sia in quella dei rapper che ne parlano – e naturalmente di fede (“Get God on the phone!”).

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Man mano che si procede diventa chiaro che untitled unmastered. sia politico e sociale come il suo illustre predecessore. In linea di massima né è una (ovvia) emanazione, più ruvida, meno levigata e lavorata. In questo senso fa eccezione solo untitled 03, probabilmente la più compiuta del lotto, la cui data 05.28.2013 la pone temporalmente pochi mesi dopo l’uscita di Good Kid, M.A.A.D. City. Il che, a pensarci, è clamorosamente indicativo di una vena compositiva a livelli mostruosi ininterrotta negli ultimi, diciamo 3-4 anni? Tornando al brano prodotto da Astronote, ritroviamo Wise e Bilal con l’aggiunta di Terrace Martin alle voci per un ulteriore approfondimento sulle tematiche razziali che potrebbe sembrare ridondante se non fosse che tratta la cosa in modo assai originale, scavalcando l’abusata dicotomia bianco/nero includendo un po’ tutti, tra stereotipi e sconfinamenti in ambito di politiche industriali, tema da sempre molto caro ad un certo tipo di rap.

La brevissima untitled 04 è un concentrato di tantissime cose, tutte notevoli. Dalla produzione diNard & B e Bizness Boi, agli ottimi feat. di SZA e Jay Rock, abbiamo poco meno di due minuti di quasi pura sperimentazione, musicalmente minimali ma liricamente illuminanti e ispirati (“Head is the answer, head is the future”). Un intermezzo posto a metà prima di lasciare ad untitled 05 il compito di spaccare in due l’album e farci riflettere su quanto sia infinito il talento di Kendrick Lamar. Ora Martin è al sax ed alle tastiere, mentre a Wise e Jay Rock si aggiungono Ab-Soul e Punch; a loro il compito di traghettare questo downtempo di free-jazz costruito su un basso micidiale (e Robert Glasper al piano) in cui il tema principale viene declinato senza timore in formule ancora più complesse e difficili da districare. Evidentemente non per Lamar che, grazie ad un’altra prova vocale memorabile, è al tempo stesso evocativo e cristallino nel trattare la disparità del potere che crea diseguaglianze sociali e violenze di strada, oltre a segnare la psiche sua come della sua Black Nation (“See I’m living with anxiety, ducking sobriety. Fucking up the system, I ain’t fucking with society. Justice ain’t free, therefore justice ain’t me”).

Uno dei talenti dell’MC di Compton è certamente quello di passare con estrema naturalezza da un mood all’altro, di spaziare tra i generi così come varia il proprio registro vocale in modo poliedrico ed eclettico con assoluta padronanza, facendo apparire come pura ispirazione quello che in realtà è (anche) duro lavoro dietro le quinte. Ciò gli permette collaborazioni gigantesche in cui però finisce sempre a dominare. Chiaro esempio è untitled 06, un impianto fondato tra bossa nova e soul nato da una demo per una collaborazione tra Adrian Younge e Ali Shaheed Muhammad (dei mitici A Tribe Called Quest) ed impreziosito successivamente dai cori di CeeLo Green. Al tempo si chiamavaQuestion Marks poi arriva Kendrick, l’ascolta, e decide di farne una cosa sua, un’ode all’individualismo in un funk leggero in cui ogni strumento – batteria, chitarra, organo Rhodes, vibrafono, fiati – è volutamente vintage e registrato dal vivo.

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Ben prima della parte finale, untitled unmastered. trasuda già ispirazione e talento, gioia e profondità, al netto di essere per larga parte forse anche più tenebroso di TPAB. Quello che ne fa un lavoro comunque memorabile è la sua trasparenza di fronte alle orecchie di chi ascolta, come se fosse una radiografia che condensa in appena 34 minuti Kendrick Lamar e le sue doti innate. La lungauntitled 07 (prodotta anche da Swizz Beatz e, pare, da Egypt Daoud, 5enne figlio suo e di Alicia Keys) nel bene e nel male è un po’ questo, un brano in tre parti in cui la prima – musicalmente esplorativa e futuristica – è la più messianica (quando all’inizio pone il problema “Love, drugs, fame, chains, juice,crew, hate…won’t get you high as this” e poi lo risolve “Levitate, levitate, levitate” ) e sarcastica (“Shut up your fuckin’ mouth and get some cash, you bitch”), mentre la seconda soul/r’n’b e la terza amatoriale e lo-fi spengono l’incendio, al di là di un momento meraviglioso (“I could never end a career if it never start”) in cui Kendrick probabilmente seppellisce Jay Electronica. Il finale prolunga la leggerezza dello spirito col g-funk di untitled 08, che nonostante liriche anche pesantucce (“I paid my way through by waiting on Allah, you played your way through by living in sci-fi”) ha un mood allegro e spensierato, grazie anche a Thundercat al basso e DJ Khalil dietro al mixer.

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