Delle Polaroids Spazio-Temporali

Sergio “FOX” Volpato e i Plasticost

22 Febbraio 2016

Credo quella con Fox, sia stata una delle interviste più felicemente stancanti mai scritte, ho dovuto inseguire delle Canzoni in Fuga Verso il Millennio, ho rincorso un biciclista, vissuto un processo la cui imputata era una scimmia. Ho assistito alla nascita dei figli del miracolo e visto un uomo che era fatto di verde nella piazza di Solagna. Cantava una canzone dada in un interno di cucina con automobile. Che altro di più? Sentiamolo dalla voce di quel meraviglioso “caotico e divertente” personaggio che diede voce ad una delle più folgoranti esperienze d'avanguardia degli anni '80, una formazione che dal vivo raggiungeva apici di ricerca espressiva tutt'ora esplosivi. Così descriveva i Plasticost Marco Pandin, artefice di Rockgarage, prima storica fanzine indipendente italiana: “Anche i Plasticost dal vivo erano un’esperienza mistica: … ma credo siano stati l’unico gruppo blasfemo, pericoloso, anarchico, impossibile da afferrare. Altro che i mille gruppetti punk superanarchici” ...

 

Quando si è al cospetto di tanta 'storia' sorge spontanea la suddivisione in periodi: ieri, oggi, domani e, se previsto, un oggi oggi (cit.). Per questo ti chiederei di fare uno sforzo di memoria e partire dagli inizi. Sono molte le persone in giovane età che non conoscono ciò che è accaduto negli anni d'oro...quelli si veramente d'oro, in fatto di musica indipendente. Ti do il classico input, Sergio 'Fox' Volpato: Il progetto e l'universo PLASTICOST.

Ciao Mirco, che bello rileggerti, gli amici sono il sale della vita, dopo la musica e prima del cibo e delle buone letture!

Quanto spazio ho per rispondere alla tua prima domanda? Ricordo quasi tutto molto bene, di certo non c'era nessun progetto, volevamo solo fare qualcosa di nostro, a quei tempi lavoravamo tutti, la sera andavamo in una radio libera, ascoltavamo un sacco di musica e facevamo “le vasche” in Piazza degli Scacchi a Marostica. Eravamo sfiniti a forza di andare su e giù, eravamo trascinati da ciò che accadeva in Inghilterra e negli States, lì tutti si mettevano a suonare senza essere dei mostri di virtuosismo, giravano tante idee, sembrava si fosse scoperchiato il pentolone della creatività e noi eravamo lì, su e giù per la Piazza degli Scacchi, tutte le sere. Eravamo esplosivi dentro, leggevamo libri strani, qualcuno dipingeva, ci piaceva quella che oggi chiamano multimedialità, forse volevamo imbrigliare tante cose in una, così, ad un certo punto ci chiedemmo:”se lo fanno gli altri perché non lo facciamo anche noi?”. Io suonavo la chitarra acustica per conto mio e ogni tanto mi dilettavo a registrare i suoni degli elettrodomestici con un mangiacassette portatile, Elio Caneva invece suonava il basso con un gruppo fusion credo, ma mi sembra strimpellasse a suo modo tromba violino ed era artista in tutti i sensi. Finimmo in una sala parrocchiale da abusivi; ci cacciarono e optammo per il suo scantinato. Non ti dico in che condizioni suonavamo, ma piano piano tutto si è aggiustato. La precarietà è molto interessante, ti permette di esplorare universi sonori con quel poco che hai finché ne assumi la padronanza, una caratteristica mentale forse punk ma che abbiamo sempre portato con noi.

Sto parlando con un vero e proprio cultore musicale per cui ti chiederei di abbinare al periodo appena descritto un tuo disco del cuore che funga anche da consiglio d'ascolto per coloro che non hanno frequentato quegli anni.

Pronta la risposta: ho avuto immediatamente la visione della copertina di Killing Time dei Massacre. Quel disco penso sia il migliore esempio di “controllo del suono elettrico” almeno di quel periodo. Ha anche una curiosa caratteristica: la versione in vinile è velocizzata a causa di un errore di trasferimento, ed infatti quella in cd prodotta da Frith ne segnala l'anomalia nelle note di copertina. In effetti mi chiedevo come facessero a suonare così veloci, solo che il mio orecchio a forza di ascoltare il vinile è abituato a quella velocità così ho conservato tutte e due le copie. Credo sia il punto massimo del suono di New York di quell'epoca, un momento per me indimenticabile.

PLASTICOST era anche molto altro, erano progetti paralleli. Qual'era il loro comune denominatore.

Il gruppo aveva alti e bassi, a volte qualcuno se ne andava, spesso a causa delle solite diatribe tra di noi, ma non si riusciva a star fermi così, quando arrivò il leggendario Teac M-144 con il quale si poteva registrare su quattro piste me lo portavo a casa con tutti gli strumenti nei momenti di inattività, ad esempio quando gli altri andavano in vacanza in agosto, così registravo di continuo, una passione che continuo a coltivare con i mezzi tecnologici odierni; mi piace l'idea delle cose fatte in casa, inoltre riuscivo ad adottare altri sistemi di composizione e giocavo con i suoni e con le mie visioni.


Dadaista, provocatore, fine dicitore di (in)comprensibili ed irresistibili testi. Donaci la tua personale chiave di lettura.

Sui testi in questi mesi mi sto divertendo un sacco con Carlo Casale, io e lui conduciamo un programma radiofonico ed abbiamo due visioni diametralmente opposte sulla questione. Da sempre per me è fondamentale come suona la parola, ma prima ancora ci deve essere una visione, un paesaggio, un ambiente che descriva la musica su cui adattarlo. Credo che ciò sia collegato alle mie letture, infatti spesso in un romanzo a me interessa più l'ambiente che la storia, potrei anche fregarmene del finale, credo risalga a quando avevo 18 anni e, curioso di sapere l'origine del nome dei Pere Ubu, acquistai l'Ubu Re di Jarry. L'edizione conteneva anche Gesta ed opinioni del Dottor Faustroll Patafisico. Quando lessi il Faustroll per me fu un'illuminazione. Le parole, anche tradotte in italiano, suonavano come una continua melodia, i paesaggi immaginari basati su personaggi dell'epoca, ed il capitolo finale con quella lunga formula matematica cambiarono tanti aspetti della mia vita non solo artistica. Sono grato al Faustroll, quell'edizione è sempre presente nel mio studio, qualche anno fa lo musicai interamente da solo.

Qual'è il tuo rapporto con il famoso 'ieri', ci sei ancora dentro come molti o il tuo sguardo è rivolto verso il fulgido domani.

È tutto molto curioso, non ci credevo, hanno cominciato a storicizzare il periodo e di conseguenza i Plasticost, e quando accade è tutto molto divertente ed anche gratificante. Siamo umani!

Il presente però non lo trovo così incoraggiante, tutto troppo oscurantista e massificato, per quel che mi riguarda cerco di sguazzarci con la mia libertà, o almeno credo. Vorrei però vedere un po' più di energia dai giovani, la tecnologia è interessante, ma è inevitabilmente troppo strutturata su campioni. Se parliamo poi di musica, tutto oggi suona uguale dappertutto e tutto si allinea. Ora ho un'altra visione più pop: ti ricordi Heroes, l'album, come suonava, con quelle ritmiche massicce e sporche. Nessuno ha mai più osato imitare quel suono che rende il disco così unico. In studio si sperimentava, ora sento tanti preset, troppo conformismo.

Cosa ti sei portato appresso 'oggi' della tanta roba - uso espressioni giovanilistiche – prodotta negli anni '80/'90

Ah se è per quello dal 2000 ho registrato un sacco di cose, ma veramente tante! Dopo il cd “Cerone 2000” ho prodotto “Medio Evo 2000” e “Europa e i cloni emersi dall'oceano”, queste due cose a casa così anche io ho realizzato una trilogia (che mi mancava), tutto registrato con un computer con 64 mega di ram. Poi sono arrivati i sette volumi come “Tomatokubiko” con musiche per performance, esposizioni artistiche e la mia interpretazione del Faustroll, dentro a questo progetto c'è anche “un giochetto elettrico” con “I Mutanti”, una storiella da B-movie di mia invenzione interamente strumentale. Credo di avere un mio modo di vedere le cose che non ho mai abbandonato, prima tra tutte l'abitudine (a volte pessima) di orchestrare tutto; è che mi piace tanto Todd Rundgren e lui forse è l'artista-paesaggista che più mi ha contaminato. Comunque tutto ciò che ho fatto all'epoca l'ho digitalizzato, quindi conservo praticamente tutto, grazie anche a Carlo Alberto Collanega, un amico che abbiamo eletto come “archiviatore storico” della nostra vicenda. Finché c'è lui che si da da fare c'è speranza di ritrovare tutto integralmente.


Esistono ideologie musicali mutuabili da quei tempi ai nostri, modalità espressive che possano servire a meglio creare o comprendere il suono odierno...sempre esista un suono odierno.

Sul suono odierno mi sto orientando, a grandi linee credo che certa musica digitale oggi ripercorra dei tratti concettuali sia della new wave che della musica minimale che di quella tedesca. Nel rock penso si stia riproponendo il passato in modo enciclopedico, nel jazz e nel pop mi sembra ci sia tanta tecnica e poche idee. In generale però non trovo più la giusta la tensione, sembra che tutto sia in equilibrio, e non mi sembra che il mondo attuale lo sia c'è qualcosa che non mi torna. Non parliamo poi della quantità di proposte e del livello di attenzione nell'ascolto musicale: troppa roba a disposizione porta ad ascolti distratti. Le “pepite” bisogna cercarle e conquistarcele, solo che a volte sono “patacche”, ma per verificarlo sono necessari ascolti oculati e non superficiali e manca il tempo, il bene più prezioso.

Eh 'oggi': cosa combina Fox oggi.

Tante idee e pochissimo tempo. Ho ripreso tempo fa con il gruppo, ci frulla qualcosa per la testa ma il fardello dell'esistenza fa sempre notare il proprio peso. A volte litighiamo, smettiamo per un po', poi ci ritroviamo, è tutto molto approssimativo ma va bene così. Nel 2013 c'è stato il concerto in piazza a Marostica, il luogo fisico dove oltre 30 anni fa decidemmo di imbarcarci in questa storia, volevamo celebrare in qualche modo la pubblicazione del nostro primo disco, pensa che mi ero dimenticato l'anniversario, me lo ha ricordato Giampaolo Gasparotto che agli inizi ci aiutava assieme al Discotape con il quale co-producemmo il mini album. In seguito abbiamo fatto qualche comparsata di qua e di là, anche con formazioni inusuali, in trio, due chitarre e voce, e poi praticamente senza le tastiere ma con due chitarre. Avrei un'idea su una possibile produzione, ma vediamo cosa accade, devo rimettermi a fare cose mie perché è da troppo tempo che non “accendo la miccia al mio Linux” per registrare. Poi faccio cose in radio, leggo fantascienza e ascolto moltissima musica.

Che impressioni ricavi dalla serie notevole di musicisti che ospiti nella tua trasmissione radiofonica, che idea ti sei fatto dell'oggi in musica.

È tutto un altro mondo e mi sa che non l'ho interamente inquadrato. La mia impressione, ma potrei sbagliarmi, è che ci sia più logica. Noi quando iniziammo non avevamo praticamente nulla, eravamo come un'armata Brancaleone in mezzo al deserto. In famiglia ero considerato, per essere diplomatici, come “soggetto atipico”. Oggi è normale che ci sia un ragazzo in famiglia che suona in un gruppo, anzi viene accettato e soprattutto incoraggiato, forse perché i genitori vedono una proiezione dei loro desideri o perché è meglio che suoni piuttosto che vada in mezzo ai guai, non lo so. La cosa che più mi sorprende, ma anche Carlo è di questo avviso, è che i riferimenti siano legati al passato, siano artisti degli anni settanta, cose di trent o quarant' anni fa. Se penso che io a vent'anni non sopportavo Elvis perché per me era roba passata, non ascoltavo Dylan perché aveva a che fare con la generazione precedente alla mia (poi con l'età mi sono ricreduto) e che il mio idolo da ragazzino era Bowie, trovo sorprendente come tanti artisti di oggi ripercorrano il passato in modo così fedele. Forse la musica popolare elettrica di quegli anni è diventata eterna o forse perché i fenomeni di rottura avvenuti negli anni settanta non si sono più ripresentati, o magari oggi il modello progettato casualmente o no dalla rete ha portato a questo trito. Parlo spesso con loro della “scena”, che penso abbia un'origine economica, sociale e geografica. Perché ad esempio il nord-est così provinciale ha avuto questi fermenti trent'anni fa quando non c'era nulla, era difficile suonare dal vivo, gli strumenti costavano una follia e per registrare un disco dovevi fare un prestito in banca? In passato pubblicavi un disco e poi di conseguenza suonavi dal vivo per promuoverlo, oggi il disco è merchandise e biglietto da visita per i live ma non è più determinante quale opera. Oggi credo occupi più tempo la promozione che il concetto artistico. Ho l'impressione che sia più importante presentarsi che inventare, o tentare di inventare o riscoprire ed adattare alla propria identità. Quando iniziammo volevamo diventare famosi ma con la nostra “arte” ed alle nostre condizioni, che naturalmente erano improponibili. Se successivamente il nostro suono si è alleggerito non è stato per comprometterci con il mercato ma solo perché entravano nuovi soggetti nel gruppo che sapevano suonare un po' meglio o perché ci si evolveva musicalmente così la canzonetta arriva spontanea, ed io le canzonette che non siano stupidotte le approvo a pieno titolo. Oggi una band “progetta”, ha attrezzature e luoghi dove far le prove, insomma ha le basi ed è più disciplinata. Noi eravamo più punk nella testa, e forse lo siamo ancora oggi. Peccato che oggi tanta musica risulti però riflessiva, introspettiva e non ci sia la giusta tensione e la strafottenza del rock, eppure non mi sembra che si stiano vivendo tempi così tranquilli. In parole povere sento tanta, troppa musica sfigata a volte poco autentica. Ma dai, e basta con sto cantato in falsetto: su con la vita!


Nel tuo programma radiofonico offri soprattutto informazione musicale storica con delle monografie importanti ed interessanti su autori che hanno lasciato un'impronta sonora tutt'ora visibile. Ma come è il rapporto di Fox con le nuove sonorità, ascolti anche nuove produzioni e se si, quali?

Negli ultimi tempi mi sto orientando come ti dicevo. Tieni presente che mi sono perso un bel pezzo degli anni novanta, a parte i “tecnologici” che ho lasciato perdere quando mi sono accorto che potevo fare anche io a casa tante cose come le loro (we have the technology cantavano i Pere Ubu). In quegli anni sono tornato indietro, mi sono appassionato alla musica colta del novecento (tramite le opere di Frank Zappa) e alle espressioni radicali del jazz. Sono giunto alla conclusione che musica colta, jazz e musica popolare elettrica hanno in comune una specie di chiusura del cerchio quando tornano all'essenza del suono. Nella musica colta è accaduto con la musica contemporanea, nel jazz con il free che ha ricercato il suono primordiale di Madre Africa, e nel rock con l'essenza del suono elettrico del punk. Ora mi aspetto un'apertura con la tecnologia.

Sempre per i nostri lettori, un disco che rappresenti il presente, please.

Il presente un po' passato...”Mirrored” dei Battles. Credo siano tra i pochi che stanno cercando nuovi linguaggi di gruppo, noto tra l'altro che la struttura del gruppo musicale negli ultimi anni sia in forte declino, forse nessuno vuole più perdere tempo a litigare con i “colleghi”. Quando ascoltai Mirrored per la prima volta immaginai le battaglie del film Barry Lyndon, con degli androidi-soldato che sostituivano quelli originali.

Al domani ci pensi mai? Che visione hai del tempo a venire, potremo tornare ad una produzione musicale intensamente innovativa o quanto è stato detto e suonato basta e avanza.

Il fattore principale è stato il dominio creativo sul suono elettrico, c'era un deserto da far rifiorire. Oggi c'è da padroneggiare in modo creativo il suono digitale, ma qui in sostanza si tratta fondamentalmente di numeri. La vedo dura.

Un altro disco per il domani, grazie.

Rimango con i Battles che mi entusiasmano. Il più recente “La Di Da Di” sembra musica da ballo per il relax dei soliti androidi del futuro. Il disco mi ha fatto ricordare una scena di un vecchio film di fantascienza credo della Germania dell'Est, dove gli scienziati di una base spaziale ballavano una musica assurda e molto geometrica. La musica dei Battles è tanto matematica e logica eppure illogica e surreale nello stesso tempo, e si concede la propria libertà espressiva senza controllo ed allo stesso tempo sotto il controllo delle macchine. Mi aspetto per il futuro delle grandi jam sessions olografiche. Tra l'altro sto notando come la musica ora sia un insieme di directory e sottodirectory quando si tratta di incasellarla. Mentre in passato, ad esempio con la new wave, ci si sforzava a descrivere band per band le variazioni sul tema post punk, ora sembra che ognuno voglia classificarsi con un proprio sotto,sotto, sottogenere. L'essere umano sta diventando pigro.

Quel biciclista continua a pedalare? Dove ha intenzione di arrivare?

Mentalmente sto affrontando una discesa senza freni, ma sono consapevole che si concretizzerà ben poco, lo sforzo pratico è enorme così mi accontento e sono soddisfatto di tenermele ed elaborarle in testa queste idee. Non so dove e se arriverò, l'immaginazione però mi permette di continuare a macinare ed archiviare nei cassetti del mio cervello. Dovrei però riuscire ad inventare un aggeggio che ferma il tempo, quello mi manca, devo chiedere a Casale se ne ha avanzato uno in garage.







Ma...l'oggioggi' dove lo posizioniamo.

Ora ti sto rispondendo e ascolto contemporaneamente “Not available” dei Residents, fra un attimo magari suona il telefono e devo fermarmi perché devo fare altro, nel frattempo il cane l'ha fatta in casa e devo pulire, oppure rimango folgorato da un'idea e mi fermo ad analizzarla o mi rendo conto che quel vecchio film di fantascienza della DDR va rivisto, ma un amico mi scrive per dirmi che vorrebbe farci suonare di qua o di là, così devo chiamare la “truppa” per organizzare le prove perché alla nostra età la memoria è labile. Devo anche pensare alla cena e nel frattempo è partito “Octet” di Steve Reich...Caotico ma divertente dai.

 

 
 

 
 

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