Night Beats – Who Sold My Generation

by MonkeyBoy (Vinylistics)

16 Febbraio 2016

I Night Beats sono stati i primi di cui parlai quando iniziò il ciclo Burgermaniaco (che presto tornerà). Scelsi loro perché li trovai assai rappresentativi dello stile della label californiana, per la storia dei due texani che si rincontrano a Seattle per formare una band, oltre al fatto di mischiare tra loro generi – psych-rock, r&b, soul, garage – diversi ma non troppo e che amo con devozione. Dopo un buon esordio omonimo ed un grande sophomore (Sonic Bloom del 2013) sono tornati a far parlare di sé con Who Sold My Generation, l’album che ci deve dire se oltre al fumo c’è anche l’arrosto. E che gusto ha.

Partiamo subito dalle novità. A fine 2014 il bassista Tarek Wegner, da più parti descritto come ‘selvaggio’, lascia la cumpa. Deve essere stato un divorzio stile Kramer contro Kramer perché di lui, nelle biografie recenti, non si fa più menzione. Il nucleo storico del gruppo, Danny Lee Blackwell (voce, chitarra) e James Traeger (batteria), ha trovato un nuovo basso in Jakob Bowden (di Dallas) dopo un concerto tenuto ad Austin che è la città natale degli altri due. È cambiata anche l’etichetta su cui è stato rilasciato questo LP; ora è la Heavenly Recordings a distribuire (e la Burger per la versione in cassetta, ovviamente) ma la firma è arrivata solo dopo che il boss Jeff Barrett ha ascoltato il nuovo materiale. Perché è così che funziona tra professionisti, perché prima vedo il cammello e poi pacche sulle spalle e cinque alti.

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Soprattutto le cose vanno così in California, dove i Night Beats si sono trasferiti per poter incidere i pezzi nuovi ad Echo Park (L.A.) nello studio casalingo del produttore Nic Jodoin, su un vecchio registratore a nastro da due pollici di quelli che oggi non ne fanno più, signora mia! A supporto è arrivato anche Robert Levon Been (Black Rebel Motorcycle Club) non solo come co-produttore ma anche come ospite al basso. E qua e là l’influenza calimexicana si sente eccome, a cominciare daRight/Wrong, brano che odora di Allah-Las dall’inizio alla fine ma che riesce a vincere anche grazie a liriche piuttosto personali sulla fine di una relazione dovuta alla vita in tour (“What is wrong with you I can not reply, you don’t need to learn It’s always in your mind”).

Dello stesso gruppetto fanno parte anche Porque Mañana – nulla più di un divertissement in salsa messicana – la cavalcata alla Last Shadow Puppets di Shangri Lah ma soprattutto Bad Love. Se non fosse che ovunque starete leggendo qualcuno che dice la sua su The Hateful Eight, vi direi di comeBad Love ricordi le colonne sonore del Tarantino prima maniera (ed infatti il nome che viene subito in mente è quello dei Revels), di come sotto l’apparente derivatività vi sia un gran lavoro sulla voce più l’innesto di piano e fiati davvero insoliti per i tre texanos, e cioè per fortuna che non ve la meno su Quentin che anche basta. Insomma, quasi la metà delle canzoni è permeata di West Coast ma da Seattle ci siamo spostati al confine col Messico e lì, si sa, è terra di fuorilegge.

Con una sottilissima e leggera metafora, nella nota di accompagnamento si sottolinea che Who Sold My Generation è “un album creato tra bandiere a stelle e strisce in fiamme, con l’odore del napalm nell’aria – un universo alternativo dove Helter Skelter è l’inno nazionale” e ancora che “invece di Nixon e il Vietnam, i Night Beats hanno Dio e le pistole, le bombe e i droni contro cui schierarsi”. Insomma, ci sono tutti i crismi per fare di questo un disco ‘outlaw’, appunto di e per fuorilegge e c’è da dire che in più di un’occasione lo scopo è centrato perfettamente.

Ad esempio nell’ottimo singolo No Cops che tra fuzz, riverberi di chitarre, basso e batteria martellanti, è il primo vero pezzo politico del trio, che si scaglia contro la violenza della polizia negli USA (“Got nothing better then find a stash or two, even the cops try give me a hard time, ain’t gonna lose my cool, I just gotta find a good line”). Ma anche nella mini jam blues Burn To The Breath o nell’iniziale Celebration #1 che contiene un sample di una vecchia registrazione radiofonica e dove la musica asserve parole (recitate più che cantate) che hanno un fortissimo carattere messianico come fossero gli Stooges che fanno un sermone sull’umanità e la fine del mondo. Night-Beats

Il sound del gruppo di Seattle è quanto mai maturo e ben messo a fuoco. Pur mantenendo le caratteristiche di base – attitudine lo-fi e riverberi a nastro come se non ci fosse un domani – è evidente la crescita nella scrittura dei pezzi (tutti a firma Danny Lee Blackwell) e nella loro esecuzione, con una chitarra più pesante rispetto al passato (Power Child) e nonostante i casini attorno alla figura del bassista. Il fatto è che Blackwell e Traeger, al netto delle scelte politicizzanti o da duri del west, possono sempre contare sulla loro magnifica indole texana che guarda caso riesce a tirar fuori loro alcune delle cose migliori del disco. Parlo di Turn The Lights – e siamo in piena Nugget-era – ma soprattutto della gigantesca Sunday Mourning che mischia sì Grateful Dead, Stooges e 13th Floor Elevators ma cui i Night Beats donano un groove eccezionale ed assolutamente riconoscibile come marchio di fabbrica esclusivo....continua su Vinylistics

 
 
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