Savages – Adore Life

by MonkeyBoy (Vinylistics)

26 Gennaio 2016

Nel mondo della musica che amiamo, love is the answer è una verità da almeno 43 anni. Per John Lennon l’amore era un sentimento che, sorgendo dalla sua musa Yoko ed in essa incanalato, finiva per acquisire un valore universale, il fondamento di tutte le cose. Per Jehnny Beth e le sue Savages l’amore è qualcosa di più personale, direi anche intimo se non fosse che il loro secondo album Adore Life sbatte in faccia a milioni di persone la loro idea in proposito. Ma attenzione, quando scrivi cose tipo “I hate your taste in music […]I want your fingers down my throat” come in When In Love, non stai semplicemente valutando i miei gusti musicali preferendo loro il mio gusto dentro di te, ma ti concentri sull’aspetto più carnale e sensuale dell’amore in modo da comprarti la mia attenzione per sempre.

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A due anni e mezzo dall’esordio Silence Yourself (nominato al Mercury) che le portò rapidamente all’attenzione di tutti, la band post-punk delle Savages decide di tornare per Matador con un disco registrato agli studi RAK di Londra, prodotto dal solito Johnny Hostile (compagno di Beth) e remixato a Copenaghen da Trentemøller. L’estenuante tour a supporto del primo album ha permesso a Jehnny Beth (voce), Gemma Thompson (chitarra), Ayse Hassan (basso) e Fay Milton (batteria) di accumulare per due anni una quantità enorme di nuove esperienze in giro per il mondo. Tuttavia al momento di entrare in studio per scrivere il nuovo materiale Beth, che aveva sempre evitato di scrivere canzoni d’amore, si rende conto di non riuscire a comporre altro che quelle, ed ogni volta che prova a fare qualcosa ‘alla Savages’ il risultato finisce direttamente nella spazzatura.

Da qui la decisione di accettare questa ispirazione facendola propria, in sostanza giocando sul dualismo ‘Amore Vs Rabbia’, perché le scorie di Silence evidentemente non sono state lavate via del tutto. Se sei un’artista dotata come Jehnny Beth cercherai in ogni modo di evitare i cliché anche quando tratti il tema più abusato della storia della musica. Perciò non stupisce il fatto di non trovare alcuna traccia di romanticismo (almeno nell’accezione tradizionale) e di avere invece un pezzo come l’ottima Sad Person che, tra un basso feroce e percussioni martellanti, ad un certo punto dichiara “Love is a disease, the strongest addiction I know. What happens in the brain is the same as the rush of cocaine: the more you have the more you crave”. Ancora più in là si spingono nell’iniziale The Answer, un pezzo fenomenale, che vive di pause e riprese con riff rabbiosi ed un groove pulsante di vita. Qui i testi si fanno primitivi (“If you don’t love me you don’t love anybody”), ancestrali (“I’ll go insane!”), come se a parlare fosse la parte più animalesca dell’essere umano che si staglia di fronte al mistero dell’amore come una belva ferita ma indomita.

 

Per stessa ammissione della band la loro intenzione era di fare di Adore Life un album duro, pesante e penetrante. Lo hanno perfino definito una ‘bestia’, un lavoro il più chiassoso possibile. È una mezza verità. Da un lato, il secondo singolo pubblicato, T.I.W.Y.G., è emblematico del loro modo di essere punk in senso classico, dove per una volta i testi pur penetranti e carichi di significato (“Suffering, straight from gods, no medicine no drugs”) cedono il posto alla furia di una chitarra che non dà tregua e lascia sfiniti. D’altra parte, però, l’esperienza di questi anni le ha rese indiscutibilmente più sagge e precise, potrei quasi dire riflessive. Evil, un classico post-punk con un giro di basso che non ne preclude affatto la ballabilità, è una trionfo proprio perché dimostra che le Savages hanno imparato dove picchiare per far male anche senza l’urgenza folle o la frenesia del debutto.

All’ottenimento di queste fondamentali skills ha contribuito l’aver testato le nuove canzoni durante 9 concerti tenuti a New York nel gennaio del 2015. Il banco di prova fornito dalla reazione dei fan americani (e non di casa) è stato un modo furbo ed efficace per correggere successivamente le cose che funzionavano di meno, in alcuni casi portando al riarrangiamento completo dei pezzi che giravano meno bene. Non che la componente live non abbia il suo peso anche qui. I Need Something New è stata letteralmente scritta on stage sotto una parte recitata da Beth e poi elaborata per un intero anno dal resto della band a partire dall’improvvisazione di quel momento. Tra parentesi, non è l’unica canzone che risente dell’influenza degli Swans, con cui le Savages hanno stretto un rapporto di reciproca stima e da cui per Adore Life hanno mutuato più di qualcosa nel loro sound, in aggiunta ai classici riferimenti come Siouxsie And The Banshees e Joy Division.

Savages performing live on stage at the 10th edition (2015) of the Latitude Festival in Southwold, Suffolk

Detto ciò, questa ‘bestia’ si regge su tutti e 4 gli elementi della band in parti uguali, oggi come non mai. Il wall of sound sporco e riverberato della minacciosa Surrender o il mid-tempo della sinuosa e Nick Cavesca Slowing Down The World ci mostrano un gruppo estremamente coeso, in cui il peso certamente maggiore di Beth e Thompson viene diluito da un basso più aggressivo che in passato, pesante e sempre molto carico, e da una batteria precisa che batte senza sosta suonando magnificamente semplice anche nei momenti più tirati. Il fatto che a differenza di Silence – registrato dal vivo – Adore Life veda ogni membro suonare la propria parte da solo, ha permesso a tutte e quattro di spingere e sperimentare il più possibile. Le stesse parti vocali (che pur nulla hanno perso in potenza) sono diventate più ‘cattive’ tanto quanto a tratti intriganti, conquistando un’estensione ancora maggiore.

In questa formula a dire poco vincente e sicuramente entusiasmante, la componente fondamentale è la sincerità con cui la band anglo-francese continua a fare quello che fa. L’empatia che riescono a creare col loro pubblico è dono di pochi grandissimi al mondo....continua su Vinylistics

 
 

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  • Savages - "The Answer"
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