Feels like home

Norah Jones Live Report

Milano Jazzin’ Festival, Arena Civica - 20 luglio 2010

21 Gennaio 2011

Apple pie! Non so quale sia la strana correlazione che il mio cervello mette in moto, ma …apple pie! Forse perché c’era una atmosfera rilassante, forse perché c’era odore di storia della musica americana forse perché…ma andiamo per gradi e partiamo dall’inizio. Un inizio deludente per questa mia prima presenza all’arena civica di Milano, in quello che considero il peggior sito che abbia mai visto per un concerto: pieno di zanzare -’eh, ma sei a Milano, qui è peggio dell’amazzonia’, mi si dice-. L’arena è in centro, a parco Sempione per l’esattezza, quindi trovare parcheggio è un’odissea -’si, ma sei a Milano!’-. La gestione dei posti a sedere è allucinante: parterre divisa dalla tribuna da una spessa inferriata e tanto per essere sicuri che non vediate niente mettiamo le bancarelle col merchandising e i paninari in linea orizzontale tra voi ed il palco. Ma io non demordo! Sono deciso a vedermi ed ascoltarmi Norah Jones senza lasciarmi influenzare negativamente dalle avversità indigene. Ah, ecco, Norah Jones, è per quello che sono qui: figlia di un mostro sacro della musica, Ravi Shankar, ma attenzione, so cosa pensate e taglio subito corto. Non è una raccomandata ed il rapporto col padre non c’è mai stato, tant’è che la passione per la musica è mutuata dalla madre con la quale è cresciuta e dalla quale ha preso il cognome e poi…tanta tanta gavetta! Gavetta vera, partendo dal conservatorio -piano e sax- per passare al sostentamento economico cantando e suonando ai pranzi di nozze ed arrivando infine a più di 40 milioni di dischi venduti ed al record di 5 grammy tutti in una sera. Ma torniamo al concerto di Milano, Arena civica, l’unico posto dove i bibbitari urlano: ’coca fanta autan’! L’atmosfera sul palco è decisamente rilassata e tutto sembra studiato per emanare questa sensazione, dalle luci, ai suoni, ai vestiti. Partiamo dalle luci, per lo più blu e viola, che si riverberano su dei lunghi teloni bianchi che cadono sullo sfondo del palco e che mi ricordano un sacco le tende della nonna -apple pie- con delle abat-jour sul pianoforte. Manca la poltrona ed il caminetto, ma l’atmosfera famigliare c’è tutta! I suoni, molto morbidi in generale, poche chitarre distorte, molte semi-acustiche ed acustiche, come quelle che la stessa cantante newyorchese alterna al pianoforte. E poi le voci. Seconde e terze voci giostrate molte bene e molto ben eseguite, che accompagnano quella bellissima e caldissima della Jones. Perché è questa la vera protagonista della serata, la sua voce! Anche la sezione ritmica si adegua, infatti la batteria è "dietro", gli accenti sono nascosti nella sillabazione, dietro la cadenza delle parole, accompagna, insomma. Tutto è costruito attorno a questa dominante: una voce sussurrata, placida, mai urlata o nevrotica, mai arrabbiata, una voce che si vorrebbe sentire tutti i giorni, di quelle che ti rassicurano e ti ricordano che in fondo, le cose possono anche andare bene…almeno qualche volta. Ed è questo che emerge inequivocabilmente in pezzi come "Don’t Know Why" o "Sunrise" quest’ultima cantata e suonata da lei seduta all’immancabile pianoforte. Eh si, perché non dimentichiamoci che lei è una musicista vera, ed infatti ha suonato ininterrottamente dall’inizio alla fine. Questo non vuol dire che il concerto sia per settantenni cardiopatici, tutt’altro! L’energia c’è eccome! Certo, non è stato un concerto per chi ama i picchi di virtuosismo sfacciati -che servono generalmente a buttare fumo negli occhi- ma chi ha la pazienza e le capacità di cogliere le sfumature melodiche, chi preferisce lasciarsi cullare da una ben ponderate ed avvolgente tessitura armonica, ecco, lui non è rimasto deluso ed anzi aspetterà senz’altro il ritorno di Norah Jones in Italia. E c’è anche qualcos’altro che non mi aspettavo di trovare ma mi ha comunque fatto un gran piacere ascoltare, un piccolo bignami degli stilli statunitensi: dixieland, country, blues ed l’immancabile jazz. Questo è un altro indizio del fatto che Norah ha studiato per benino. A mio avviso il rischio di mescolare generi e stili è infatti quello di risultare scolastici, ed è una caratteristica che si ritrova in chi non ha ancora capito qual è la sua strada e fa di tutto un po’. Mi sento di dire che non è questo il caso del concerto che ho ascoltato. Il risultato finale è infatti un jazz contaminato molto cool, moderno, dolce, adatto alla sua voce, un jazz casalingo, se così posso dire, di quelli che ti fa venire in mente la torta della nonna. Apple pie!

 
 

http://it.wikipedia.org/wiki/Norah_Jones

http://www.norahjones.com/index.php

http://www.myspace.com/norahjones

http://www.norah.it/

 
 
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