Beach House – Thank Your Lucky Stars

by MonkeyBoy (Vinylistics)

29 Ottobre 2015

Solo due mesi fa, Victoria Legrand e Alex Scally dei Beach House hanno pubblicato il loro quinto album Depression Cherry. Ora, come ho scritto anche in quella rece, il duo di Baltimora ha sempre giocato molto d’astuzia con il tempo, alternando album di notevole impatto – e quasi sempre di ottima qualità – a pause studiate sia per decomprimere sia per creare hype, a seconda dei casi. Quindi stupisce come a giro così stretto venga rilasciato Thank Your Lucky Stars, senza pre-ascolto per la stampa specializzata, nei formati vinile e digitale, di fatto scavalcando il supporto CD, almeno per ora.

A detta della band, queste nove canzoni sono state scritte dopo quelle di Depression e registrate alla fine di quelle sessioni, esattamente tra luglio e novembre 2014 allo Studio In The Country. Il team produttivo, ovviamente, è quello consolidato, cioè Beach House più Chris Coady, ma ciò che ha sollevato i maggiori interrogativi sono le tempistiche. Già alcuni fan avevano scoperto easter egg sul sito del gruppo contenenti testi inediti e immagini altrettanto nuove di varie fasi di registrazione. Dopodiché sono gli stessi Scally e Legrand che via social annunciano il nuovo lavoro che, e cito a memoria, non è un gemello di Depression Cherry né una sorpresa né una raccolta di b-side. Due su tre, perché sorpresa la è eccome.

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La prima domanda che mi sono posto approcciandomi all’ascolto di Thank Your Lucky Stars è stata sull’effettiva ragione della sua esistenza. Forse questo era il vero album da fare uscire e la Sub Pop ha insistito per l’altro, ed una volta adempiuto l’onere si sono sentiti liberi di pubblicarlo? Forse avevano delle buone canzoni non proprio all’altezza ma comunque valide e non potevano aspettare i loro canonici 2-3 anni? Forse è la fine di una fase e l’inizio di una nuova? Con in mente questi quesiti, l’ascolto di Majorette dà una risposta sul rapporto di questo LP col suo immediato predecessore: non sono gemelli né fratelli, ma un po’ cugini, tipo di secondo grado. La traccia iniziale – con arpeggino di chitarra, drum machine minimal, tastiere e voce rarefatte – ripropone il lavoro di sottrazione già operato con la release di agosto; qui, il sound è ancora più spoglio ed essenziale, con un deciso ritorno alle sonorità dei primi due album, ossia in era pre-Sub Pop. Il testo, poi, lascia poco spazio all’immaginazione: “Imitation red carnation, nothing is new and neither are you”.

Il buon inizio viene sostenuto anche da She’s So Lovely, brano condotto dall’organo e da percussioni metallizzate, in cui prendiamo coscienza della prima (e forse davvero unica) novità, ossia la ritrovata libertà della chitarra di Scally che qui come più avanti nel disco si smarca dall’essere d’accompagnamento per assurgere a protagonista sancendo i momenti emotivamente più intensi. Il carattere ‘dreamy’ di questa song è inconfutabile, aiutato da un registro vocale che varia tra alti e bassi con sapienza e sicurezza. Quando le tinte si fanno più fosche, Lucky Stars ha un non so che di notturno davvero inedito per i Beach House. All Your Yeahs oltre ad essere uno dei momenti migliori è anche intrinsecamente dark; basa tutto sull’atmosfera che riesce a creare ornandosi anche di un’elettronica molto soft e non invadente. I synth trascinati a mo’ di drone la rendono parecchio derivativa – e le tastiere anni ’80 non l’aiutano a vincere il premio originalità 2015 – ma l’effetto complessivo è assai emozionale, e lo spirito vitale non viene sopito del tutto dall’oscurità (“She’s a rollercoaster and yeah, she’s a fire in the night”).

 

 

l voler eccedere nella troppa semplicità in alcuni casi può sfociare nella prevedibilità. Ora, non sono nessuno per dire ai Beach House come fare il lavoro che svolgono già in modo divino, ma un brano come One Thing che cerca di fare shoegaze senza alcun impegno (immaginatevi il parente scemo alla lontana di Sparks) appiattisce un po’ quanto di buono fatto finora nel disco, con Scally sì in primo piano a reggere il brano ma senza uno spicco vitale che sia uno. Una struttura che sai già dove andrà a parare. Ancora peggio riesce a fare la seguente Common Girl, che inizia esattamente come On The Sea, riciclandone l’incipit quasi fosse sample che però si ripete ininterrotto per tutta la durata e ci fa dubitare sulla reale necessità di questa song, che è la più b-side del lotto. La parte centrale di Thank Your Lucky Stars è certamente la più debole. Chiariamoci, sono tutti momenti in pieno stile Beach House, il mood è quello, la qualità di fondo non manca mai ed ai fan più accaniti piacerà lo stesso, ma pecca di varietà nelle soluzioni, eccezion fatta per The Traveller il cui solito immancabile organo è affiancato da una Legrand in grande spolvero, che ci offre la prova vocale forse migliore dell’intero album. Poi quando ci si avvia a pensare che le cartucce migliori siano state sparate in avvio, arriva il momento più alto in questi quarantuno minuti, Elegy To The Void. Apice lo è per diverse ragioni, prima fra tutte quella di avere Alex e Victoria che si alternano (almeno a tratti) alla voce... contina a leggere su Vinylistics

 
 

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  • Beach House - Elegy To The Void
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