Battles – La Di Da Di

by MonkeyBoy (Vinylistics)

15 Ottobre 2015

Ho un ricordo ben preciso del 2007, quando mi capitava di guardare i video musicali e Mtv aveva ancora a che fare con la musica. Insomma, c’era questo video assolutamente geniale di un brano magnifico e così spiazzante allo stesso tempo. Il pezzo ovviamente era Atlas, loro erano i Battles e all’epoca stavano parecchi metri avanti. Il loro esordio, Mirrored, venne giustamente incensato dalla critica. Rock sperimentale, math-rock chiamatelo come volete. Tyonday Braxton, Ian Williams, John Stanier e Dave Konopka – tutti veri califfi dei loro strumenti, provenienti da altre esperienze tipo Don Caballero, Lynx ed Helmet – avevano spostato l’asticella un po’ più in là, in quel confusissimo mare magno che è il post-rock. Poi come capita anche nelle migliori famiglie Braxton decide di abbandonare all’inizio delle registrazioni del sophomore; così, Gloss Drop esce piuttosto confuso dato che per sopperire alla mancanza di quello che non solo ci metteva la voce (seppur strana) ma che era anche il frontman, la band chiama una sfilza di guest star che vanno da Gary Numan a Kazu Makino passando per Matias Aguayo e Yamantaka Eye senza però un’idea precisissima di dove andare.

L’elaborazione del lutto non lascia poche tracce sui restanti tre componenti della band. Il loro terzo disco, questo La Di Da Di, in un certo senso porta su di sé ancora quel trauma cercando di metabolizzarlo esattamente al contrario di quanto fatto cinque anni fa. Registrato tra la fine del 2013 ed il 2014 al Machines With Magnets in Rhode Island per la Warp Records e prodotto dai Battles col supporto di  Keith Souza e Seth Manchester, La Di Da Di è un album interamente strumentale, “un monolite di ripetitività e loop infiniti” come lo definisce la nota di accompagnamento. Di certo, sia la cover – che nel rappresentare una tipica colazione all’americana destrutturata allude alla food porn mania di questi anni – sia il titolo preso da una canzone di Slick Rick (!) vogliono urlare al mondo leggerezza, scanzonatezza e il senso di reiterazione come colonne portanti delle dodici tracce.

Battles

Una delle differenze più evidenti è che non ci sono singoli che si possano propriamente definire tali. Il disco è omogeneo per volontà dei suoi creatori, da fruire nella sua interezza come fosse un un’unica lunga traccia, una suite elettro-rock. Per cui, se mi seguite, l’iniziale The Yabba è il miglior manifesto possibile del nuovo corso che i Battles sembrano aver intrapreso. È un mid-tempo dal sound pieno ed avvolgente, che su un background da colonna sonora di film anni ’70 ha tutti gli elementi che ti aspetteresti da loro: il basso pieno di Konopka, loops, synth che simulano una sezione fiati, la chitarra distorta di Williams e le percussioni agghiaccianti di Stanier che sul finale ti esplodono nelle orecchie. Se volevano darci un’idea di cosa sia un mantra per loro, questa e la successiva Dot Net svolgono assai bene il loro compito. Quest’ultima, cinetica e con una batteria da Big Beat, è anche il primo episodio in cui l’estrema precisione tecnica nell’esecuzione ci arriva senza tanti fronzoli, nuda e cruda.

I Battles hanno sempre gradito malvolentieri la categorizzazione della loro musica in ambiti specifici. In La Di Da Di pare evidente l’intenzione di giocare tanto coi generi quanto coi suoni, confondere per non dare punti di riferimento precisi. La terza traccia FF Bada è, credetemi, il loro modo di intendere qualcosa di reggae (almeno nello spirito), una sorta di afrobeat a 128 bit di math-guitar e parte ritmica sugli scudi. Summer Simmer le si accoda abbastanza naturalmente, con l’aggiunta di tastiere a ripetizione che non cambiano però il tono generale. Quello che invece si comincia a percepire proprio da questo punto in avanti è una certa mancanza di, passatemi il termine, cuore. C’è molto cervello, il trio crea spesso un collage di suoni a cui manca solo la parola (e che invece vogliono proprio sostituire) che farebbe felice Peter Frampton ma quel tocco di calore umano, anche freak se vogliamo, che dava Braxton ora non c’è e probabilmente al gruppo va bene così.

Arrivati al primo (e migliore dei tre) interludio Cacio E Pepe la sensazione è che vada tutto abbastanza bene. Vi risparmio la disamina del suddetto e di Tyne Wear e Flora > Fauna vista la loro scarsa utilità. La seconda parte si apre con Non-Violence in cui il massiccio uso di blips, suoni elettronici e loop vari ...continua a leggere su Vinylistics

 
 

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