The Libertines – Anthems For Doomed Youth

by MonkeyBoy (Vinylistics)

23 Settembre 2015

Sono ben undici anni che in molti stanno aspettando il momento in cui i Libertines decidano di uscire dal morbo ‘Chinese Democracy’ e pubblicare il nuovo album, che per loro è solamente il terzo. Per chi non leggesse l’NME o i peggio tabloid inglesi, i Libertines si formano nel 1997 e in soldoni sono la storia di due amici: Pete Doherty e Carl Barât. Chi vi scrive non ha mai avuto una passione sfrenata per la band londinese pur riconoscendone alcuni meriti; nati all’indomani dello strepitoso successo degli Strokes oltre oceano, hanno contribuito alla new wave indie-rock in terra d’Albione e, sdoganando una certa attitudine musicale oltre che riproponendo una dimensione sociale che tanto deve al punk, favorito il successo di band come Arctic Monkeys, Franz Ferdinand e compagnia. Proprio la band di Alex Turner è, agli inizi, la più indebitata nei confronti di Doherty & Co.. La differenza sostanziale è che là dove i due squatters di Richmond costruivano la loro personale mitologia raccontando il peggio di sé e del deprimente contesto umano che li circondava, Turner e amiz – al netto di provenire da un ambiente medio-borghese – allargavano lo sguardo e alleggerivano le tematiche con un bel po’ di lucidità analitica in più.

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Dopo due dischi di buon successo commerciale e di critica come Up The Bracket (2002) e The Libertines (2004), la band implode sotto la pressione delle dipendenze da alcol, eroina, crack e quant’altro soprattutto di Doherty e si scioglie sulle pagine dei giornali britannici. Barât cercherà fortuna (poca) nei Dirty Pretty Things, Pete nei privé con Kate Moss e in studio coi Babyshambles, nessuno dei due ovviamente riuscendo a replicare i risultati dei Libertines. Nel 2010 c’è una prima svolta, il gruppo si riunisce per suonare al Reading And Leeds Festival; nel 2014 fanno il pieno ad Hyde Park. A questo punto il ritorno è solo questione di tempo e quando nel gennaio di quest’anno si è saputo che Doherty fosse in Thailandia per disintossicarsi pronto a raggiungere i compagni aiKarma Sound Studios ormai era fatta. Prodotto da Jake Gosling (Ed Sheeran, One Direction – sì avete letto bene), Anthems For Doomed Youth viene completato a giugno e pubblicato venerdì scorso per Virgin EMI.

Quando passa così tanto tempo tra due dischi, quando la tua vita è quella di Pete Doherty e Carl Barât, quando sei inglese e devi sostenere quel tipo di pressione il tuo ritorno non potrà mai essere in punta di piedi bensì sotto i riflettori, ma quelli grossi, e la critica avrà quattro occhi ed otto orecchie solo per te. A tutto ciò, la band risponde scegliendo come titolo quello di un poema diWilfred Owen, come produttore uno che è la cosa più lontana dal garage-punk che io possa immaginare ed infine come luogo di registrazione la Thailandia, dove puttane e droghe non sono esattamente tabù. Di questi elementi, il contributo che rimane più impresso è quello di Gosling scelto, molto furbescamente, per addolcire il sound rendendolo confortevole e maggiormente adatto al pubblico del 2015. A partire dall’iniziale Barbarians – molto barocca, western e Last Shadow Puppets – per continuare con pezzi come Belly Of The BeastHeart Of The Matter e The Milkman’s Horse l’impressione è quella di trovarci davanti a qualcosa che una decina di anni fa sarebbe stato più urlato che cantato, più rabbioso che pacato.

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