Blonde Redhead + God Is An Astronaut

Live Report - #Diserzioni – 11 luglio

di Enrico Brunetta

29 Luglio 2015

Premesso che aspettavo con ansia questa data, ero convinto dello spettacolo della strumentale potente e mistica che avrebbero potuto offrire i God Is An Astronaut, irlandesi e artisti europei di punta nel moderno post-rock, e del valore internazionale del noise indie alternative rock dei Blonde Redhead. Due certezze che arrivano a Sherwood Festival per un doppio show che richiama fan anche da altre regioni d’Italia, e non solo, dato che sento parlare inglese già poco dopo l’apertura dei cancelli. Ulteriore conferma che i britannici (o gli stranieri, insomma, non l’italiano medio) non arrivano all’ultimo per magari vedersi solo una band. Sono infatti quattro i gruppi che si esibiscono nella serata, a cominciare da Winter Dust e Ropsten sul second stage.

Sono soprattutto i primi a sorprendermi con suoni graffianti ma non banali, potenti ma non ripetitivi. C’è grande intensità e un bel muro di suono, mentre la voce è di contorno e trova spazio solo in certi frangenti: post-rock sono suoni, melodie, chitarre pulite e sporche, batterie che in un tira e molla aumentano e diminuiscono di volume, teste che vanno su e giù in automatico.

Ancora c’è luce quando salgono sul palco i God Is An Astronaut, ma per poco. Sono ancora lontano quando cominciano con The End of the Beginning. Tutti in nero, capelli lunghi sul volto, ci mettono poco a rendere l’atmosfera più oscura. Echoes la sparano per seconda e mi fiondo davanti per godermeli al massimo. Sono precisi, rumorosi, totalmente in simbiosi: escono suoni extraterrestri e mi sento in viaggio, come un’astronauta in esplorazione di nuovi orizzonti. Come era prevedibile eseguono diverse tracce dell’ultimo lavoro in studio Helios/Erebus, da Agneya a Pig Powder, da Vetus Memoria a Centralia, fino al brano che dà il nome al disco e che mi sembra il più incisivo con i suoi 8 minuti in crescendo che regalano picchi del post-rock più incisivo. In chiusura non è da meno Suicide By Star e questa volta è davvero l’ultima (un encore eseguito senza uscire di scena, dato che la band resta sul palco terminata Agneya, che avevano annunciato come ultima canzone). C’è qualcosa di magico e trascendentale in questi irlandesi e penso che vorrei vederli in un luogo chiuso, senza un cielo sopra di noi che fa disperdere suoni rubandoli in lungo e in largo, proprio per assaporare e lasciarmi travolgere da tutta la loro forza. Sarà realtà: la band ha annunciato pochi giorni fa che tornerà in Italia per tre date in autunno.

Sono al contrario tutti e tre in bianco i Blonde Redhead ed è subito il primo contrasto evidente tra le due band protagoniste. Con loro non solo torniamo a sentire una voce, ma ben due: quella maschile del chitarrista Amedeo Pace (nato in Italia ma cresciuto in Canada insieme al gemello Simone, alla batteria) e quella femminile di Kazu Makino al basso. L’alternanza è interessante e sentirle mischiarsi continuamente è piacevolissimo, con la voce più bassa del primo e quella più acuta della seconda. Un concerto diverso dal precedente: ancora più introspettivo, raffinato, sicuramente più “complesso” da apprezzare, e da ascoltare con un orecchio attento ed allenato. La loro musica mi rilassa, ma non mi rapisce ed è proprio per questo, forse, che mi risulta difficile non perdermi tra una canzone e l’altra, abbassando il livello di attenzione che invece avrei voluto tenere al massimo dall’inizio alla fine. La prossima volta cercherò di impegnarmi di più. Segnalo le due canzone che più mi sono piaciute, ovvero Dripping e 23.

 
 
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