Inner Circle + Patois Brothers

Live Report – Reggae Day – 10 luglio

di Enrico Brunetta

28 Luglio 2015

Nel volantino ufficiale sotto il nome Inner Circle leggo: “Storica band Reggae giamaicana fondata nel 1968.” Non male come premessa, ed infatti fa presa anche su un inesperto del genere come il sottoscritto. Attendo curioso questo Reggae Day a qualche settimana di distanza dallo show degli italianissimi Mellow Mood sempre qui a Sherwood Festival. Se la musica è un fenomeno universale e tecnologia e globalizzazione fanno sì che sia materiale fruibile a un numero sempre maggiore di persone, è anche vero che nessun genere può essere meglio contestualizzato e incastrato nell’anima di un popolo come il Reggae e la Giamaica.
Ma andiamo per ordine. Poco dopo le 20 si esibiscono gli Infuso, trio alt/post-rock del padovano, a cui viene ritagliato un breve spazio su un palco improvvisato vicino ad uno dei tanti bar, forse non la migliore posizione possibile. L’aperitivo musicale mi sembra poco coinvolgente e lasciato un po’ a se stesso, purtroppo. I ragazzi fanno del loro meglio e durante le ultime canzoni riesco a contare una ventina scarsa di persone che ascoltano. “Pochi ma buoni!” cerco di incoraggiarli. Gli ultimi due brani mi sembrano i più orecchiabili e al termine noto con piacere un ragazzino, il più attento tra i presenti, avvicinarsi alla band per fare alcune domande e tutti e tre si fermano rispondendogli gentilmente. Bravi e umili.


Per quanto riguarda il vero e proprio tema della serata, i primi a salire sul Main Stage sono i Patois Brothers, band reggae veneta uscita quest’anno con il primo disco Mighty Mask. Nella copertina figurano in otto, ma sul palco sono in sei. Partono subito forte: chitarre in levare, la voce calda e rilassata, batteria con suoni belli pieni. Tutti hanno il loro momento per far risaltare le proprie doti con lo strumento, ma nessuno mi conquista come il sax e i suoi morbidi acuti che mi fanno istantaneamente chiudere gli occhi, lasciandomi trasportare a movimenti del corpo totalmente involontari (e me ne rendo conto anche scrivendo questa recensione con in cuffia proprio loro). C’è lo spazio per un po’ di solidarietà regionale verso tutte le persone e famiglie colpite dal maltempo e dal tornado (sì, tornado in Veneto e non ho sbagliato a scrivere… poi ancora si nega il cambiamento climatico!) che ha colpito mercoledì 8 luglio soprattutto cittadine in provincia di Venezia.


Passano il testimone agli Inner Circle e la presenza sul palco è percettibilmente rilevante. Impossibile non notare i lunghi dread e la grinta del cantante o i due chitarristi e le loro peculiarità: uno è piacevolmente elegante old-style in completo bianco dalla testa ai piedi, chitarra compresa, mentre Roger Lewis, uno dei fondatori della band, si appoggia di continuo su una sedia, salvo alzarsi solo di rado. Quest’ultimo (64 anni) mi sembra un po’ sofferente sul palco, ma come seconda chitarra fa il suo dovere e suona quasi sempre ad occhi chiusi, scusate se è poco. Il fratello Ian, invece, si prende più volte il centro del palco andando a pizzicare le corde del basso guardando il pubblico con espressioni divertite. Questo è un aspetto fondamentale perché, non più giovanissimi, sul palco sembrano starci ancora alla grande. Vedo un bel concerto proprio perché sanno farsi ascoltare riuscendo a penetrare anche nelle menti di chi il reggae non lo mastica o vive tutti i giorni. Esperti, carismatici e rilassa(n)ti.


Immancabili nella parte conclusiva i classici come Games People Play, Sweat e Bad Boys. Sono queste tre pietre miliari della loro discografia a diffondere nell’aria la massima contaminazione della band giamaicana con il pubblico invitato a muoversi all’unisono prima verso sinistra e poi verso destra (per un momento ho pensato “e adesso ci chiedono anche di prenderci per mano?”) ed in seguito spronato a cantare. In chiusura di un brano intonano il ritornello di Young, Wild and Free e qui anche chi non conosce una loro canzone può sentirsi più partecipe alla festa.

 
 
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