Amycanbe – Wolf

by Aria (Vinylistics)

29 Aprile 2015

Chi pensa che la Romagna sia solo terra di spiagge piadine e discoteche si sbaglia di grosso. Non sono di certo i primi, ma oggi sono proprio gli Amycanbe a dare un’altra conferma dell’importanza che questa regione sta acquisendo nel panorama italiano della musica indipendente. Eh già, difficile a crederci ascoltando il loro dream pop elettronico dell’ultimo disco che trasporta in ben altri luoghi, diversissimi dalle atmosfere calde e solari della loro terra natale.

E invece gli Amycanbe sono davvero originari della Romagna, precisamente di Cervia, dove nel 2002 Marco e Mattia diedero origine alla band che inizialmente era, appunto, un duo e che solo tre anni dopo con l’ingresso in squadra di Francesca e Paolo è diventato un quartetto prendendo il nome che state continuamente leggendo in questo articolo: Amycanbe. Non riesco a smettere di ripeterlo, scusate.

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Gli Amycanbe iniziano suonando in vari locali e club delle loro zone portando poi in giro per il Bel Paese il loro primo EP, autoprodotto, intitolato Yellow Suit. Le cinque canzoni, tutte cantate in inglese, attirano l’attenzione di tanti e guadagnano altrettanti consensi, tanto da essere visti con un certo interesse anche dalla critica e dalle band della scena musicale internazionale, aprendo concerti per nomi importanti come Skin, Sophia e i Devastations. Due anni dopo arriva il disco d’esordio, Being a Grown-Up Sure Is Complicated,che li porterà a fare anche un fantastico tour di successo in Gran Bretagna. Per motivi che la sottoscritta ignora (o per meglio dire, che decide di ignorare in modo da non far diventare questo articolo l’ennesima denuncia verso chi impedisce la riuscita delle cosebbelle a casa nostra) in Italia ci abbiamo messo un po’ a scoprirlo. Un sound folk, fresco e delicato, da giornate estive fatte di passeggiate al sole, chitarre suonate in campi di grano e raffinati momenti notturni diretti dalle sezioni di fiato, destinati a diventare più sfrontati con la carica della batteria. Come dei Beirut un po’ più pop. Nel 2012 pubblicano anche il secondo disco intitolato Mountain Whales, un altro colpo andato a segno che mostra la band romagnola in vesti ancora più elettriche e distorte. Una buona base che si sposa magnificamente col timbro vocale di Francesca Armati che diventa ancora più seducente e super protagonista delle scene.

 

 

Settimana scorsa è arrivato il terzo disco, con qualche giorno di ritardo rispetto alla data prestabilita, Wolf, e tutto si è evoluto ancora.

Come un paesaggio che cambia a seconda del clima e del periodo, anche gli Amycanbe cambiano i colori e le atmosfere di una strada ormai riconoscibilissima ma che muta e si espande a vista ad occhio e i territori esplorati diventano innumerevoli.

Come dicevamo all’inizio, le atmosfere sono tutt’altro che estive e solari, anzi. Wolf è quel disco perfetto per salutare le calde giornate e migrare verso quei paesaggi nordici illustrati anche nella copertina. O semplicemente quel disco in grado di trascinarci in posti lontani, lentamente, senza quasi accorgercene, proprio come un lupo che segue il branco e che allo stesso tempo si muove in un percorso solitario. E proprio come dei lupi in branco che percorrono il loro cammino, gli Amycanbe continuano a percorrere la propria strada su trame sonore ancora una volta all’insegna del dream pop e degli elementi elettronici, aumentando il dosaggio del trip hop che conferisce alla loro terza fatica discografica un fascino intrigante e ancora più variegato.

Grano apre queste danze dai toni bassi con leggiadria fino a sconfinare in I Pay, dove la sensualissima Francesca ci guida in un viaggio onirico che non vorremo finire mai. C’è tanta eleganza in questo disco. In pezzi come Bring Back The Grace lo si apprezza appieno quando il minimalismo della trama sonora si arricchisce di tappeti elettronici per dare corposità al brano e poi, come un’onda che si ritrae, torna nella dolcezza della sua essenzialità. In Febbraio il tempo reale si ferma e i minuti, i secondi, sono scanditi da un ritmo ripetitivo e ipnotico, così come in White Slide resa ancora più intrigante dalla voce di Francesca doppiata e ripetuta.

C’è poco da fare. Ogni brano cattura e incanta con talmente tanta semplicità che si arriva all’ultima traccia, il pezzo strumentale Orata, con la voglia di SENTIRE tutto da capo. Ancora e ancora e ancora.

 
 

Vinylistics

 
 
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