ReadBabyRead #224 del 9 aprile 2015

Danilo Kiš: “Il liuto e le cicatrici” (1/5)

9 Aprile 2015


Danilo Kiš
Tre racconti da “Il liuto e le cicatrici”

Il senza patria
Jurij Golec
Il liuto e le cicatrici

(parte 1 di 5)


per info su F. Ventimiglia e C. Tesser:

Lettura e altri crimini
iTunes podcast


Legge: Francesco Ventimiglia


Di tutti gli scrittori della sua generazione, francesi e stranieri, che negli anni Ottanta vivevano a Parigi, era forse il più grande. Di certo il più invisibile” scrive Milan Kundera di Danilo Kiš, precisando poi: “La dea chiamata attualità non aveva motivo di puntare i riflettori su di lui. Non ha mai sacrificato i suoi romanzi alla politica. Ha potuto così cogliere quel che vi era di più straziante: i destini dimenticati sin dalla nascita”. Parole che sottolineano, e ammirano, la refrattarietà di Kiš a qualsivoglia appartenenza, anche in momenti e in luoghi in cui certe lusinghiere etichette avrebbero garantito vaste simpatie. Giacché l’unica patria di Kiš è la letteratura, e l’unica sua militanza è quella di “scrittore bastardo venuto dal mondo scomparso dell’Europa centrale”. E in ogni pagina rivendica la ricchezza polimorfica e la sostanziale unità della tradizione europea di cui l’anima balcanica è parte insopprimibile, la necessità della riflessione metafisica e, contro la riduzione dell’uomo a “zoon politikon”, le ragioni dell’homo poeticus e in ogni pagina rivendica la ricchezza polimorfica e la sostanziale unità della tradizione europea e il delirio di un secolo.


Torna il Danilo Kiš dei racconti
Il liuto e le cicatrici molto vicino a Enciclopedia dei morti


Grande scrittore jugoslavo, visto che è scomparso a 54 anni nel 1989 senza arrivare ad assistere al crollo del Muro di Berlino e di tutto quel mondo, figlio di un ebreo morto in un lager nazista e di una donna montenegrina, Danilo Kiš è uno degli autori più interessanti e significativi del secondo Novecento europeo, che, come pochi, rese lo spirito del tempo giocando tra autobiografia e ricostruzione documentaria più o meno artistica.

I racconti che oggi pubblica Adelphi in buona parte sono nati assieme a quelli che sono andati a costituire il suo capolavoro “Enciclopedia dei morti” nei primi anni '80 e messi da parte all'ultimo, come ci racconta la curatrice del volume, uscito postumo, e sua prima moglie Mirjana Miočinović. E di quelle pagine conservano l'invenzione esemplare ben radicata nella realtà e la storia, spesso in questo caso con riferimenti alla vita di letterati del recente passato, da Ödön von Horváth a Ivo Andrić, oltre a un'apparente frammentarietà e incompiutezza molto moderne.

I primi tre, dei sette racconti qui riuniti, ci restituiscono il Kiš migliore col suo senso di sradicamento e solitudine, con le sue storie di morti ineluttabili e tragiche, come quella de ''Il senza patria'', scrittore con la paura degli ascensori che va incontro al suo drammatico destino a Parigi (dove anche Kiš visse l'esilio dal suo paese che lo censurava) che gli era stato annunciato dal mago Gottlieb ad Amsterdam. “Jurij Golec” figura invece come un amico dell'autore scampato da Auschwitz, disperato per la morte della moglie molto più di quanto lo fosse stato nel lager e che decide di suicidarsi sparandosi, non avendo il coraggio di farlo con altri mezzi, finendo sotterrato accanto alla sua compagna di 30 anni di vita comune: “Un ottimo bilancio per una vecchia coppia di ebrei”. Nel lavoro di Kiš, nel suo modo evocativo e poetico di scrivere, c'è tutto il peso di chi porta il senso e gli interrogativi di chi sente un sopravvissuto alle grandi tragedie che hanno insanguinato il Novecento nel segno dei grandi regimi totalitari, dei loro silenziosi e drammatici massacri collettivi e di singole persone, rimaste senza nome e senza tomba.

Esemplare il racconto che dà il titolo a questo volume, l'unico della raccolta ambientato a Belgrado (e si avverte una leggera nota di malinconia nostalgica nel riferire pur senza sentimentalismo alcuno di certi luoghi e persone) e legato a un viaggio a Mosca al seguito di una compagnia teatrale, occasione per andare alla ricerca di segni di alcune persone scomparse nel nulla, in realtà vissute sotto lo stalinismo “come se fossero morte”. Il tema della morte in Kiš si intreccia sempre con la presenza e la riflessione sullo scrittore e la scrittura, sul suo destino e la sua sopravvivenza. La letteratura è il segno di una dignità e una resistenza che non viene mai meno.

Paolo Petroni
ANSA, 2 febbraio 2015


Le Musiche, scelte da Claudio Tesser

Klára Körmendi, Musiques Intimes Et Secretes [Erik Satie]
Klára Körmendi, 3 Nouvelles Pieces Enfantines [Erik Satie]
Klára Körmendi, Caresse [Erik Satie]
Klára Körmendi, Danse De Travers #1 [Erik Satie]
Marcin Wasilewski Trio, Austin [Marcin Wasilewski]
Marcin Wasilewski Trio, Spark of Life [Marcin Wasilewski]
Marcin Wasilewski Trio, Sleep Safe and Warm [Krzysztof Komeda]
Marcin Wasilewski Trio, Largo [Grazyna Bacewicz]
Jerry Karlewicz: Polish National Radio Chorus Kracowice, Amen [Henryk Mikołaj Górecki]
Brad Mehldau, Bard [Brad Mehldau]
Nick Drake, Pink Moon [Nick Drake]
Jerry Karlewicz, Three Pieces In Olden Style #1 [Henryk Mikołaj Górecki]
Jerry Karlewicz, Symphony #3, Op. 36, 2. Lento E Largo [Henryk Mikołaj Górecki]
Jerry Karlewicz, Three Pieces In Olden Style #3 [Henryk Mikołaj Górecki]
John O'Conor, Nocturne #12 In G [John Field]

 
 

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Il libro “Il liuto e le cicatrici” di Danilo Kiš (2014, Adelphi, Piccola Biblioteca 667; traduzione di Dunja Badnjević).

 
 

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