Verdena, Endakadenz vol.1: l'imprevedibilità della coerenza

di Marco Bidin, Sherwood.it

18 Febbraio 2015

Vent'anni dal debutto, un pollaio trasformato in studio di registrazione, ottimi dischi, uno superbo e la forse (definitiva?) maturazione.
Ma come fare a sopravvivere dopo uno dei miglior album di tutti i tempi?

Capiamoci, un disco che mi piace subito al primo ascolto, in toto, è un disco che smetterò di ascoltare pochi giorni più tardi. Cosa molto anni '90, per altro, quella di farsi piacere i cd per sfinimento quando ci si poteva affidare esclusivamente alle parole di una rivista prima di compiere una scelta musicale o a poco altro. (Chi vi scrive sta sta in quella fase in cui sei troppo giovane per essere vecchio e troppo vecchio per essere giovane. Un casino insomma.)

Endkadenz non è assolutamente così, anzi. Non v'è nulla di facile, regalato o scontato. A parte Un po' esageri, furberia pop friendly, per le altre tracce occorrono tempo, pazienza e magari un buon paio di cuffie/auricolari data la natura espressamente low-fi delle registrazioni.

Abbandonato il rhodes e i cori di WOW arriva il pianoforte. Alberto dichiarerà di non voler ripetere ciecamente il suono barocco del precedente disco.
Endkadenz è surrealista, ritornano le distorsioni alle chitarre sentite in Requiem, fuzz a pioggia a creare un effetto ruggine, polveroso, quasi heavy in alcuni sui tratti, Derek su tutte, in cui il ricorda il loro suono primogenito pur mancando in questo primo volume le cannonate di Requiem (tipo Isacco Nucleare NDR).

Raggiungono persino insospettata poeticità nella ballad dagli echi battistiani Contro la Ragione, a mio avviso il momento più bello del disco ed una altrettanto notevole vibrazione in Nevischio, fresca di falsetti costruiti su una suite sufficientemente dark per non essere troppo pop e mielosa.

Addirittura i sintetizzatori e una drum-machine in Sci Desertico, per la serie chi l'avrebbe mai detto, che ammiccano ad un suono decisamente più elettronico e variopinto, quasi britannico.
Appunto, l'esterofilia mai celata del trio bergamasco aggiunge il solito quid in più probabilmente senza però scombinare troppo i termini di un'equazione prettamente nostrana.
È un disco denso, è gasolio, è sia estremo che dolce (a tratti).

Endkadenz è senza dubbio l'elogio del mondo Verdena. Le stesse liriche, inutile quasi a dirsi, rappresentano alla perfezione la metodologia compositiva dei tre. Occorre entrare nel loro mondo e farlo proprio, assimilare anche semplicemente un singolo verbo piuttosto che un ritornello per sentirsi parte di questo ecosistema. Certo, siamo nel paese del cantautorato, dove il testo e l'espressione dello stesso per tradizione debbono fungere da traino principale, mettendo la musica in un leggero secondo piano. Trovo però estremamente gratificante e divertente il loro menefreghismo artistico, pure il loro non appartenere ad alcun “clan” ne geografico, ne musicale, non per apatia o per snobismo ma per puro e semplicissimo gusto del farsi i cazzi propri.

In questo senso i Verdena scombinano ulteriormente le carte, asservendo la loro poetica ad una quasi maniacale creazione musicale. Forse la scena glielo lascia fare e glielo perdona dicono alcuni o forse a loro proprio non frega nulla di tutto ciò. C'è la musica, e va bene così.
Roberta (Sammarelli) dichiarò che per un guasto al registratore, a disco praticamente terminato, hanno continuato a scrivere pezzi sino a comporne 400.

Ed è questo il bello di quel panorama italiano, lontano dall'industriosa metodologia da major; l'artigianalità della produzione che genera dischi di questa magnitudo, anche registrati in picco e magari lontano dagli standard pop. Roba di casa, roba salubre, roba che se uno strumento non va al meglio continui a produrre prima del confezionamento chiusi in quello che una volta era un pollaio. Invece di dedicarsi ad un meritatissimo e libero pomeriggio di cazzeggio ad esempio. Dedizione, intraprendenza, ma soprattutto passione, alla faccia dell'hype, delle teorie del complotto ed annesse presupposte paraculate, alla faccia pure della scena.

Contestualizzare i Verdena quindi non è facile ne mai probabilmente lo sarà. Non è un gruppo al quale applicare una semplice equazione, per così dire, non sono una band catalogabile tipo “quelli che fanno quella cosa”.
Non vi resta quindi che seguire la teoria di Kegel, padre dell'effetto Endkadenz e tuffarvici dentro con tutta la forza possibile, aspettando il Vol.2.
Magari al Centro sociale Rivolta di Marghera (VE), per il loro concerto sabato 28 febbraio.

Per rimostranze, segnalazioni, consigli o insulti (twitter@marcobidin).

 
 
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