Sogni e sintomi

Breve guida musicale al 2014

31 Dicembre 2014

di Antonio Pio Lancellotti

In ambito musicale gli ultimi anni sono stati caratterizzati soprattutto dalla continua rarefazione di macro-scenari in grado di fornire coordinate di lettura chiare nella fenomenologia e lineari nelle tendenze. 

L’assenza di punti di riferimento universalmente riconosciuti, come è stato per il dubstep nei noughties e per il post-rock nel decennio precedente, non ha fatto sconti nell’anno appena trascorso, per il quale anzi lo stesso concetto di rarefazione si rivela troppo fiducioso.

Questo non significa che il 2014 sia stato arido di bellezza e di qualità: anche quest'anno ci sono stati tanti buoni dischi e qualche perla destinata ad eccedere la temporalità. Le classifiche di fine anno sono ormai diventate un must per tante riviste specializzate, blog e siti internet che si occupano di musica. Spesso è solo un gioco divertente, molto più spesso è un modo per dare ordine e senso ad una produzione e ad un consumo di musica che stanno diventando sempre più compulsivi. 

Arriviamo al podio, svelandolo - come nella migliore tradizione festivalesca - a partire dal gradino più basso. 

Qui si colloca "A U R O R A", ultimo lavoro del compositore e musicista australiano Ben Frost, edito da Bedroom Community. A ben quattro anni di distanza da “By the throat”, Ben Frost si cimenta in nuovo difficile lavoro di ricerca sonora, in cui le atmosfere ambient lasciano il posto ad una compatta struttura elettro-noise, che riecheggia i Fuck Bottons ed i Black Dice più emozionali.

Al secondo posto si insedia "Soused" di Scott Walker & Sunn O, licenziato dalla sempreverde 4AD. Cinque pezzi intensi e profondi, che sono allo stesso tempo affreschi carichi di un espressionismo agrodolce in cui il cantautorato sui generis di Scott Walker si amalgama, con rigore quasi scientifico, con le impennate avant-metal di O’Malley e Anderson. 

Lo scettro di "re del 2014" va a Fennesz che con "Bécs" realizza - a mio avviso - il suo disco più bello dopo Endless Summer del 2001. L’artista austriaco è stato tra i pionieri e massimi esponenti dell’epopea glitch-elettroacustica, iniziata a metà anni Novanta grazie ad un manipolo di musicisti sperimentali legati all’etichetta Mego (che non a caso ha licenziato anche il suo ultimo lavoro). Epopea che ha raggiunto proprio con il già citato “Endless summer” il suo apice indiscusso. Con “Bécs” arriva a piena maturazione il lavoro di ricerca sulla chitarra, iniziato da Fennesz con "Venice” e proseguito con “Black sea”. Dai drones chitarristici prende forma un suono a geometrie variabili, capace di far godere menti e corpi desideranti. Sentire "Liminality" per credere: dieci minuti, intriganti e misteriosi, che hanno il potere di trasportarci in un’indefinita buffer-zone in cui sogno e realtà si rincorrono in continuazione.

Oltre ai tre citati, altri dischi hanno lasciato il segno nell’anno che sta correndo al termine. 
In quel calderone rock dai contorni sempre meno perimetrabili si segnalano innanzitutto le gesta della californiana Linda Perhacs, al suo ritorno in scena dopo ben 44 anni d’assenza. “The soul of all natural things” è un disco di cantautorato genuino, che non si appiattisce mai nel folk-revival, riuscendo a coniugare una voce sempre perfmativa con melodie particolarmente ispirate. 

Un’altra cantautrice realizza un’opera di deciso spessore: si tratta di Carla Bozulich, che licenzia per la Constellation l'album “Boy”, accentuando, rispetto ai precedenti lavori, la sua vena avant-blues

Di grande rilievo la prova dei C’mon Tigre, autori dell’omonimo disco autoprodotto. Si tratta di un collettivo transnazionale di musicisti, provenienti da Italia, Olanda, Usa, Nord-Africa e Medio-Oriente (tra di loro anche il compianto Enrico Fontanelli degli Offlaga Disco Pax), che mescolano afrobeatfunk ed altre sonorità calde con l’art-rock di Red Karyola o dei più recenti Old Time Relijun. 

Disco omonimo anche per i The Unsemble, vero e proprio power-trio formato da Alexander Hacke degli Einsturzende Neubauten, Duane Denison dei Jesus Lizard e Brian Koltzur dei Silver Jews. Il disco scorre piacevolmente tra impro-rock elegante e poderosi sprazzi di noise strumentale.

Se il 2014 è stato un anno memorabile sia per i Swans, che regalano l’ennesima perla di una trentennale carriera, sia per giovani interpreti delle nuove tendenze psichedeliche, come Guardien Alien e Black Dirt Oak, si è mosso poco dalle parti del rock più tradizionalmente inteso. Uniche eccezioni sono rappresentate dai nostrani A Toys Orchestra, che realizzano con “Butterfly effect” il loro miglior disco, e i Dead River, band di Chicago che rappresenta una sorta di spine-off assai ben riuscito dei mitici U.S. Maple.

In ambito elettronico non è facile tracciare un quadro della situazione, visto il proliferare disordinato di micro-scene e di fugaci tendenze. Dal calderone post-dubstep emergono l’elegantissimo “Ghost of then and now” di Illum Sphere, l’intimista “Faith in strangers” di Andy Stott e “Ghettoville”, che segna la fine dichiarata del progetto Actress regalandoci un disco ambizioso ed a tratti irresistibile.

Si conferma produttore di altissimo livello l’italiano Lucy (al secolo Luca Mortellaro), il cui “Churches schools and guns” rappresenta la punta di diamante di un abstract-techno che in un futuro prossimo può affermarsi come l’unica vera scena in grado di traghettare la musica elettronica verso la fine del decennio. Discorso a parte merita Diamond Version, progetto formato da Carsten Nicolai (meglio conosciuto come Alva Noto) e Olaf Bender (aka Byetone). L’album “Ci”, edito dalla Mute records, regala indimenticabili momenti di fusione tra le attitudini più sofisticate dell’elettronica sperimentale ed il pop d’autore.

La black music esce dal 2014 con molte certezze in più, a partire dal fatto che meglio di altri generi riesce ad esprimere il carattere denso e meticcio della metropoli contemporanea. Soprattutto l’hip-hop, tra vecchi maestri (Sage Francis) e nuove speranze (Shabazz Palace), sembra aver ritrovato quella verve creativa che mancava ormai dagli anni migliori della Anticon. 

Su tutti il secondo album dei californiani Clipping, rumoroso e sintetico come il Dalek di “Abscence”, entra di diritto tra i lavori in assoluto più intriganti dell’anno. Accattivante come l’opera prima dell’australiano Chet Faker, che combina trip-popr’n’b con reminiscenze chill-wave che pagano pegno al Gonjasufi degli esordi. L’eclettico soul di Neneh Cherry, il modern funk di Anthony Joseph e l’originale downtempo elettronico di Raz Ohara completano un quadro ricco di stimoli e tensioni.

Passiamo alla cosiddetta musica sperimentale
Prima di avventurarci in improbabili classifiche è necessario definire con chiarezza l’oggetto in questione. Il concetto di “musica sperimentale”, coniato da John Cage a metà degli anni ’50 per definire quelle composizioni che rompevano gli schemi della musica classica ed orchestrale, ha subito nel corso della storia tante mutazioni e precisazioni. Carlos Palombini, docente di Musicologia presso l’Università federale di Minas Gerais a Belo Horizonte, nel 1993 definisce la musica sperimentale, riferendosi in particolare al compositore francese Pierre Schaeffer, “spazio di ricerca di nuovi elementi costitutivi della musica, oltre a ritmo, armonia, melodia e timbro” (1)

Più recentemente Daniela Cascella, critica musicale e collaboratrice della rivista Blow Up, ha parlato di sound-art, ossia di quella ricerca musicale che, scevra da tecniche e strumenti tradizionali, si contamina in maniera organica con le arti visive ed in generale con l’arte contemporanea (2)

(1) - C. Palombini, Machine Songs V. Pierre Schaeffer: From Research into Noises to Experimental Music. In “Computer Music Journal”, A. 17, No. 3, Autumn 1993, pp. 14-19
(2) - D. Cascella, Scultori di suono. Percorsi nella sperimentazione musicale contemporanea, Tuttle edizioni, 2005

In una produzione sterminata ed il più delle volte di non facile reperibilità segnalo cinque uscite interessanti e sintomatiche di un fermento che, nonostante la parabola discendente registrata dalla scena elettroacustica negli ultimi anni, rimane decisamente vivo. Partiamo con il tedesco Jaap Blonk, che con “Polythong” regala 8 stralci di una performance live registrata in quadrifonia. Delizioso anche “Unbeakannte” dell’austriaco Jason Grier, che ha all’attivo importanti collaborazioni con Lucrecia Dalt, da molti definita la nuova Diamanda Galas. L’intreccio tra field recordings e pennellate acustiche si rivela molto convincente sulla lunga distanza e capace di dare vita a pezzi di assoluta bellezza come “My Love Knows No Fascism”. Per la Rune Grammofon è uscito “Maelstrom”, disco che mischia jazz d’avanguardia con il post rock più dilatato, che segna la collaborazione tra il chitarrista norvegese Stian Westerhus ed i Pale Horses. Da segnalare infine “Quixotism”, del polistrumentista australiano Oren Ambarchi, ormai un veterano del settore, e “Slippingcontrol” del new-yorkese Ben Vida, uscito per la “Shelter press”.

Chiudiamo la carrellata con il jazz, che negli ultimi anni ha avuto il merito di uscire dall’ambito specifico di ultra-specializzati del genere e di allargarsi ad un pubblico più eterogeneo e giovane. Questo anche per merito dei Fire! Orchestra, progetto capitanato dal sassofonista svedese Mats Gustafsson giunto con “Enter” alla terza prova. Rispetto ai precedenti, più votati al free-jazz, in quest’ultima opera i Fire! Orchestra accentuano la componete kraut, richiamandosi in maniera più diretta a mostri sacri del genere come Can e Amon Duul. 

Sempre dalla Svezia arrivano gli Angles 9, un collettivo di jazzisti che con “Injuries” sembra essere arrivato al pieno della maturazione artistica. Molto interessante il lavoro dei Polar Bear, “In each and every one” edito da leaf, che si autodefiniscono post-jazz nella misura in cui accentuano consapevolmente la componente improvvisata, sia a livello di scrittura che di esecuzione. 

Delicato e suadente lo stile del batterista e compositore  britannico Dylan Howe, che in “Subterrean” rilegge in chiave jazz i capolavori di David Bowie, periodo berlinese. Come ultima segnalazione propongo “Thumbscrew, uscito per i tipi della Cuneiform ad opera di un intrigantetrio, composto da Mary Halvorson alla chitarra, Michael Formanek al contrabbasso e Tomas Fujiwara alla batteria.

Le classifiche

Migliori album

1 FENNESZ bàcs (editions mego)
2 SCOTT WALKER & SUNN O))) sounsed (4ad)
3 BEN FROST a u r o r a (bedroom community)

Waves/Indie/Pop/Songs
LINDA PERHACS the soul of all natural things (asthmatic kitty)
GUARDIAN ALIEN spiritual emergency (thrill jockey)
CARLA BOZULICH boy (constellation)
SWANS to be kind (young gods)
BLACK DIRT OAK wawayanda patent (norman records)
the UNSEMBLE the unsemble (ipecac)
BLIND THORNS blind thorns (new atlas)
C’MON TIGRE self titled (autoprodotto)
A TOYS ORCHESTRA butterfly effect (urtovox / ala bianca)
DEAD RIDER chills on glass (drag city)

Elettronica
ILLUM SPHERE ghosts of then and now (ninja tune)
DIAMOND VERSION ci (mute)
LUCY churches schools and guns (stroboscopic artefacts)
ANDY STOTT faith in strangers (modern love)
ACTRESS ghettoville (ninja tune / werk)

Blach/Hip Hop/Urban
NENEH CHERRY blank project (smalltown supersound)
RAZ OHARA moksha (albumlabel)
ANTHONY JOSEPH time (Heavenly Sweetness/Naive Records)
CHET FAKER built on glass (downtown / future classic)
SAGE FRANCIS copper gone (strange famous records)

Experimental
JAAP BLONK polyphtong (elegua)
BEN VIDA slipping control (shelter press)
OREN AMBARCHI quixotism (editions mego)
STIAN WESTERHUS & PALE HORSES maelstrom (rune grammofon)
JASON GRIER unbekannte (human ear music)

Jazz
FIRE! ORCHESTRA enter (rune grammofon)
ANGLES 9 injuries (clean feed)
POLAR BEAR in each and every one (leaf)
DYLAN HOWE subterrean (motoric)
MARY HALVORSON, MICHAEL FORMANEK, TOMAS FUJIWARA thumbscrew (cuneiform)

 
 

Immagine di copertina tratta dalla pagina Fb di Raz Ohara

 
 
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