La scelta del naufrago

Derive o approdi nell’oceano di suono?

30 Ottobre 2014

Leggendo varie riviste e saggi "specializzati" sembra che l’oceano di suono nel quale siamo immersi delinei due prospettive: un’offerta talmente grande da rendere impossibile per il fruitore orientarsi nel presente della musica e, come diretta conseguenza, un rifugiarsi nel passato, in quei nomi ormai conosciuti che costituiscono una garanzia.

Questi scenari  e la domanda sempre presente riguardo i  giovani e il loro rapporto con la musica, mi hanno spinto a tornare sul “nostro” rapporto con questa forma artistica.

Con “nostro” intendo della generazione «pre-digitale»  cresciuta con ascolti consapevoli, scelti e pagati profumatamene. Ci siamo fatti fuori interi stipendi per costruirci la nostra cultura musicale.

La musica è sempre stata per noi molto più di semplice evasione.

Semmai dovremmo parlare di diserzione, sottrazione, via di fuga dell’anima e nascondiglio dove rilassare il corpo.

Anche quando il corpo era intrappolato nella vita reale, l’anima e la mente sapevano che c’era rifugio nella musica. Questo creava comunanza, sensibilità comuni, identità con altri estranei all’omologazione.

Insomma era facile trovarsi anche se minoranze resistenti.

I tempi sono cambiati, le nuove generazioni hanno radicalmente cambiato il modo di usufruire della cultura musicale. Adesso è accessibile a tutti, fortunatamente.

La musica è un flusso continuo, un’enorme ricchezza, ma  spesso diventa un cimitero di file che popolano gli hard disc di milioni di giovani che non ne sanno godere.

Ora che l’anima e la mente è sempre connessa e messa al lavoro è possibile quella sottrazione che la “nostra “ musica ci ha sempre permesso?

Ora che siamo sommersi di suoni, spersi nell’oceano di dati che ogni giorno ci attraversano è possibile trovare il buon rifugio rilassato, è possibile la fuga dal mondo cellularizzato e connesso 24 ore su 24?

La musica può essere ancora diserzione critica?

Forse no.

Perché la prima generazione videoelettronica non è più capace di estraniarsi, di rilassare il corpo.

Perché la prima generazione che riceve più informazioni da macchine che da suoi simili non riesce più a godere del contatto e nemmeno dell’autonomia della solitudine.

Perché la comunità obbligatoria impedisce di restar soli e allo stesso tempo questo affollamento privo di corpi è oppresso dalla solitudine.

Come portare il nostro portato di passione per il suono in questo desertoceano?

Mi sembra che il problema sia la sottrazione dalla massa infinita di rumore, ricreare le condizioni per l’ascolto del silenzio, per un ritrarsi.

Silenzio! Così finisce un film di David Lynch, e sembra di esserci dentro a quel film, storditi e dispersi naufraghi in miriadi di sensazioni.

E allora prepariamo la zattera e buttiamoci nell’oceano di suono, creando scie sonore dove sia più dolce la deriva, dove si impari nuovamente il calore dei suoni.

Forse fin qui ho focalizzato troppo in quella che è la dark side del network (per me dark è sempre assieme inquietante e affascinante) e poco sul new gold dream.

Condivisione, messa in comune di competenze, invenzioni e innovazioni, torrenti che si uniscono, bit che siano beat-i.

La rivoluzione digitale della musica è stata devastante.

La WARP, etichetta simbolo di questa rivoluzione (il cui acronimo sta anche per We Are Reasonable People/Weird And Radical Projects) ha dato voce e colonna sonora alle nostre isolate bedroom discoteque mentre il network si formava.

Le nuove generazioni di ascoltatori sono esposte ad una quantità di suggestioni senza precedenti.

In questo caotico e invitante mare gettare la zattera significa abbandonare la grande nave mainstream e magari perdersi e scoprire possibilità che non si sarebbero trovate attraverso la successione normale, prevista e programmata.

E ora sia la rete che le culture della nuova elettronica ci indicano i sentieri del mash-up: un modo di dire Creolo che ci parla di fare ibridazione, poltiglia, distruzione creatrice di nuovi incroci e strumenti.

Ecco che troviamo assieme l’oscura rabbia anti-Thatcheriana di Joy Division e l'algida freddezza nordica di Pan sonic, il romanticismo classico di Mahler e l’inquietudine dei migliori Cure, lo shoegazing sognante di Slowdive e il glicth errorista di Oval .

E poi soprattutto troviamo un sentire comune espresso attraverso quel suono post-dubstep  che fonde frammenti vocali, rumori metropolitani, spleen notturno e profondi bassi comunicando un romantico spaesamento condiviso in ogni angolo del mondo.

Il naufrago beat-o ha perso la bussola e si è perso nel tempo che si è dissolto, oramai neanche l’orologio serve, che liberazione!

….e suoniamo  l’infinità presente e così potremmo fare a meno dell’ I- watch!

 
 

 
 
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