Interpol - El Pintor

By Aria, Vinylistics

8 Settembre 2014

Voto: 7/10

Quattro anni fa, esattamente in questo periodo, usciva Interpol, l’omonimo album della band di New York che lo scorso decennio ci ha fatto proprio un bel regalo. Sì, sto parlando proprio di quel regalo lì, quello che è diventato una vera e propria pietra miliare della musica. Quello che se non lo avete tra i vostri dischi farete meglio a correre sul vostro account Spotify e a metterlo tra i preferiti…Si ma mica adesso, sciocchini. Tornate immediatamente qui che tra due giorni esce il loro nuovo album e noi abbiamo già voglia di parlarvene.

Si chiama El Pintor questo quinto album e il titolo altro non è che l’anagramma del loro nome. Bisogna riconoscergli una certa originalità eh.. Ma diciamoci la verità, quattro anni fa quando hanno ritenuto che era proprio indispensabile sfornare un disco come Interpol, le aspettative erano davvero alte. Avete idea di quanto pesi l’album di un artista che decide di chiamarlo con la propria firma? A mio modo di vedere le cose, ci sono solo due casi in cui ha senso scegliere di farlo: o lo fai all’inizio quando vuoi far vedere al mondo chi sei o lo fai in quel momento della tua vita quando decidi di volerti ritrovare dopo un periodo di smarrimento. Paul Banks & Co. facevano sicuramente parte di questa seconda schiera, dato che avevano ampiamente dimostrato al mondo di cosa fossero capaci con Turn On The Bright Lights. Tanto che dopo ciò, nulla è stato capace di eguagliare quel lavoro e proprio con l’uscita di Interpol, che doveva rappresentare il momento della rinascita, c’è stata l’ennesima rassegnazione da parte della maggioranza di noi: gli Interpol ci avevano già dato la loro fetta migliore, il resto sarebbero state solo briciole.

Ebbene, dato che la carta OmonimoAlbumDellaRibalta se la sono tristemente bruciata quattro anni fa, la mossa dell’anagrammare il proprio nome è stata davvero un colpo di genio. Del resto si sa che le soluzioni più semplici sono sempre le migliori. Che poi abbiano avuto anche una gran botta di culo a trovare qualcosa che avesse anche un significato sensato in un’altra lingua è solo un valore aggiunto.

Così dopo un periodo abbastanza lungo in cui ognuno ha avuto modo di raccogliere le idee e di sperimentare e collaborare in altri progetti paralleli, hanno deciso che era arrivato il momento di tornare. (Del resto alla fine abbiamo sempre continuato a sperarlo tutti. C’eravamo anche un po’ stufati di queste continue date di Paul Banks a casa nostra. Se Morrissey da solo non fa gli Smiths, il buon vecchio Paul da solo non fa gli Interpol.)

Ormai lo sappiamo tutti, gli Interpol si sono persi un pezzo per strada, il bassista Carlos Dengler e quindi adesso sono un bel trio e la cosa a quanto pare non si è rivelata propriamente come un male. Scritto e prodotto da loro stessi, El Pintor è stato registrato a New York con la collaborazione di James Brown (Arctic Monkeys) e Alan Moulder al missaggio (My Bloody Valentine e Nine Inch Nails).

Un album che con i suoi 10 pezzi in meno di 40 minuti si ascolta tutto e alla fine la prima, la primissima, cosa in assoluto che direte sarà: “Oh ma è proprio un disco degli Interpol!

Eh già. El Pintor è l’album che riapre un partita che per tanti era già chiusa da un pezzo. Non gasatevi troppo, non siamo comunque ai livelli del grande esordio di un tempo, ma le atmosfere lo ricordano molto e suona fottutamente bene.

Same Town, New Story, dice il titolo di una delle loro nuove canzoni (una delle più belle per la sottoscritta) e non c’è frase più appropriata per descrivere questo disco che fin dall’inizio sembra tanto riprendere quelle sonorità di quegli Interpol che tanto sono piaciute a tutti: nessuno stravolgimento, piuttosto una revisione del suono che viene alleggerito e privato di quel sovraccarico di tastiere e stratificazioni sonore che in questi anni sembravano più che altro voler camuffare una mancanza di idee alla base. Come dicevamo prima anche l’assenza del bassista si fa sentire, ponendo inevitabilmente in secondo piano il ruolo del basso, dando invece maggiore spazio alle chitarre che fin dalla prima traccia, All The Rage Back Home ci mostra come i pezzi risultino anche più dinamici e la sensazione di averli ritrovati diviene man mano sempre più reale, fin troppo però quando ci si accorge che My Desire suona un po’.. ehm, un po’ tanto TOTBL che ricorda davvero.. ehm, davvero tanto Obstacle1. La sensazione non sparirà fino alla fine di tutto l’album ma pezzi come Anywhere e Everything Is Wrong sono davvero irresistibili e un’inaspettata My Blue Supreme dimostrerà che gli Interpol hanno saputo variare e aggiungere nuove idee alla loro musica.

Purtroppo la sensazione resta sempre quella che un bis di quel regalo lì difficilmente lo avremo ma è rincuorante vedere che almeno per loro, a differenza di tanti altri loro colleghi apparentemente destinati a fare grandi cose, la fine è ancora lontana. E poi chissà, magari troveranno ancora un altro modo di anagrammare Interpol… la curiosità di vedere cosa ne uscirebbe fuori sarebbe sempre tanta.

Qui sotto c’è il secondo singolo estratto dall’album. Ora, prima ve lo ascoltate e dopo potete correre subito su Spotify, che se non sbaglio avete una cosuccia da fare.

 
 

Tratto da:
vinylistics.altervista.org

 
 

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