“I film coreani non sono poi così difficili da comprendere” - Bong Joon-ho

Recensione del film "Snowpiercer" di Bong Joon-ho

Binario Circolare

19 Marzo 2014

Lo dico subito: non è il mio genere. Mi riferisco a Snowpiercer, presentato fuori concorso allo scorso Festival del Film di Roma, ultimo lungometraggio di Bong Joon-ho. Quarantaquattrenne regista e sceneggiatore sudcoreano campione d'incassi nel 2003 con The Host, nel 2011 presidente della giuria Caméra d'Or a Cannes. Ritengo la precisazione necessaria per non incontrare la disapprovazione degli appassionati del genere fantascientifico-catastrofista davanti alla mia povera conoscenza dell'opera di quello che scopro essere un regista di culto, non solo nel suo Paese. In realtà mi ha spinto alla visione la presenza tra i produttori del regista suo conterraneo Park Chan-wook, essendo nel 2005 rimasto folgorato da Old boy, perno centrale della sua Trilogia della Vendetta, che a Cannes si portò a casa il Premio della Giuria. La mia intuizione si è rivelata essere felice e l'apporto di Park Chan-wook forse non limitato a un carattere esclusivamente economico.

Nel breve prologo datato luglio 2014 il mondo sta per essere annientato dal surriscaldamento globale. Una decisione planetaria conviene per l'utilizzo del CW7, una sostanza che sparsa nell'atmosfera dovrebbe contrastare il processo di global warming. L'effetto è invece quello di una inarrestabile glaciazione che ricopre l'intera crosta terreste di uno spesso strato di neve e ghiaccio, distruggendo ogni forma di vita. L'azione si avvia così nel 2031 con l'unico residuato di umanità rinchiuso nello Snowpiercer, un lungo treno rompighiaccio ad alta velocità, dotato di motore a moto perpetuo, costantemente in movimento su un unico binario che gira attorno al pianeta in un percorso circolare. In testa il padrone e inventore del treno e i ricchi che vivono nel lusso, in quadri che ricordano il futurismo orwelliano, in coda i poveri, malnutriti e straccioni, confinati nella loro condizione da guardie armate. Finché non arriva il momento di andare a prendersi la testa del treno.

Il piano di lettura immediato propone una potente visione di fantascienza distopica, direttamente proveniente dal genere post apocalittico, dalle radici saldamente impiantate nel terreno del disastro ecologico. Il mondo compresso e stratificato dentro i vagoni di un treno blindato. L'umanità ridotta a una sua sparuta rappresentanza che conserva tutte le differenze di classe fino alla loro estrema declinazione. Il conflitto sedato e paralizzato dall'esercizio della forza istituzionale. Lo status sociale, dalla coda alla testa, si trasfigura fino a diventare religione, alla quale le nuove leve del potere vengono indottrinate. La selezione naturale viene sostituita da sacrifici funzionali al mantenimento dell'ordine costituito. Sfruttamento e privilegio possono convivere fino a quando la vecchia e sana lotta di classe non romperà l'equilibrio fondato sull'oppressione e il comando. Ma anche qui, come nel percorso del treno, può celarsi una circolarità sorprendente.

Realizzazione ad alto budget internazionale, il più costoso della storia cinematografica coreana, non integra soltanto un'efficace opera di intrattenimento più vicina al blockbuster che al film d'autore. Alla cupa riflessione filosofica sulla natura dell'Uomo e sul destino che il suo agire sta riservando all'umanità associa una serie di fughe nell'ironia e nel grottesco, che trovano la massima espressione nel personaggio interpretato da una cinica, crudele e truccatissima Tilda Swinton alle dipendenze del “divino” Ed Harris. Ma quella di Bong Joon-ho, prendendo spunto dalla graphic novel degli anni '80 Le Transperceneige, è soprattutto una lezione su come il cinema possa dilatare e rendere fluido uno spazio claustrofobico. Se l'azione ha un incedere da videogame la padronanza con cui viene affrontato ogni successivo ambiente del treno ne spezza lo stesso carattere fortemente perimetrato. La flessibilità del ritmo conferisce senso plastico a ogni progressione dell'azione. Le dinamiche subiscono accelerazioni e rallentamenti di alta suggestione coreografica. Qui affiora il centro di Old boy, cui il regista non può non guardare in un lungo momento della risalita dei ribelli verso il primo vagone, armati solo di martelli, spranghe, armi di fortuna. Il tossico maestro di chiavi è un doppio del suo protagonista, rimasto rinchiuso per quindici anni in una prigione privata. Metafora finale: la sua droga è ottenuta della sintesi di rifiuti industriali.

 
 

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Bong Joon-ho su Wikipedia

 
 
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