Hey Sun! Festival report

Parco Fantasia, Padova (PD) - 2-3-4 giugno 2011

6 Giugno 2011
 - Momo

Ci sono posti che senti "casa". Via Ticino, a Padova, è uno di questi. Alcune tradizioni ci mettono anni a diventare tali e a sedimentarsi nel tuo cuore, altre ci mettono di meno.

E'il caso dell'Hey Sun, giovane festival padovano nato dalle menti di alcuni operatori musicali della città che di esperienza (e di tacche sul fucile, pacifico) ne hanno in abbondanza, Unwound e La Mela di Newton.

L'anno scorso nasce un festival che porta nomi noti e meno noti della musica in un giardino pubblico, dove i bambini che giocano di giorno si trasformano in bambini cresciuti la sera, alle prese con gonfiabili, tappeti elastici, toro meccanico, minigolf, punto di ristoro… con tutto questo quasi dimenticavo la musica. La regina della serata in cui tutti torniamo bambini, o entusiasti e curiosi come tali.
I live sono al coperto, ci sono una piastra e un capannone aperto ai lati che, grazie ai graffiti sul lato del palco, fanno sembrare la location ancora più familiare, a metà tra un parco e un centro sociale. Uno di quelli che non fa più paura, se non hai votato per la Moratti.

In questa edizione 2011, dopo una defezione dell'ultimo minuto, sono i genovesi Ex-Otago ad aprire la festa. Perché è proprio di festa che si può parlare. La band nata ormai parecchi anni fa, ma passata agli onori delle suocere dell'indie nostrano e del pubblico sorridente da 5 anni, ha dalla sua un album di freschissima fattura, "Mezze stagioni", prodotto con l'azionariato popolare dei fan. Musica lo-fi che viene dal basso, con molto da dire e che resta ancorata saldamente al cervello, un po'per i tormentoni ("Amato the greengrocer" e "Giorni vacanzieri", ormai assurte al ruolo di anthem, su tutte), un po'per i cori da stadio (pure questo meravigliosamente non-violento), molto per i testi che, con il cavallo di Troia della 'melody melody melodia' e della 'simpathy-simpathy-simpatia' si legano a te e non ti mollano più. Se qualcuno, a suo tempo, ha comprato il primo disco del Teatro degli orrori per meglio comprendere il messaggio in mezzo al bel frastuono sentito live, beh, lo farà anche per gli Ex-otago, per capire che resta dopo la festa. E non è merito solo dei milioni di tattoo del Pernazza o della sua immagine di coniglio-del-chiambretti-night, ruolo che ha avuto per la sua abilità in un freestyle sgangherato e prezioso. La band suona e felicità dona. Questo è ciò che conta tra luci, tastiere, strumenti di ogni epoca, ordine e grado e Marco che corre e correrà. Forse anche Padova, per una sera, può diventare Costarica.

La seconda sera è quella dei The Wave Pictures. L'oceano può separare, ma non dividere, e dopo una compianta defezione di una data pordenonese dei mesi scorsi, in molti possiamo gioire, sorridere e piangere sulle note di pezzi che sparano anch'essi pacificamente dritto al cuore, passando dai padiglioni auricolari e dal cervello. Un gruppo che dimostra una volta in più, e con maestria, che "musica indipendente" non fa solo rima con "maglietta a righe + quattro accordi". Assoli, cambio di ruoli e tanto amore per la musica che fa loro saltare la cena per sfidare a calcio staff ed avventori. Amore vero, corrisposto da un pubblico visibilmente emozionato sulle note di "I love you like a madman" o "You are pregnant", e bramoso di nuova linfa in sette note anche confezionate pregevolmente su vinile, plastica e cotone. C'è chi ha fatto molta strada per arrivare e filma l'intero concerto, torturandosi per il bene comune di youtube, o per la prossima visione privata sulla tv di casa, senza poter cantare a squarciagola, limitandosi ad un labiale silenzioso che i vicini di posto fa quasi commuovere. Anche chi ha fatto poche centinaia di metri, comunque, gradisce e si commuove. Questo ve lo posso garantire, mentre già sogno una prossima data di un grande trio ormai sentito "dentro" come poche altre band al mondo. Sì, l'ho detto.

E' nuovamente il turno dell'Italia. Sul palco, si intende. E se so che l'indomani mi perderò gli Annie Hall, la mia curiosità per la mia prima occasione di vedere i Carpacho e l'ansia di riconfrontarmi con uno show dei Mariposa sono grandi.

La band romana ha l'onere di aprire un sabato sera in cui si suona presto, troppo presto (grazie, orario imposto dal quieto vivere del menga). E accusa. Al punto da farmi venire un maligno pensiero "ma non vi eravate sciolti? perché siete tornati insieme?". Poi cambia. "Regole per un cervello difettoso" fa cantare un po'tutti, e penso anch'io che in fondo in fondo "se ti senti stronzo lo sei". La band sa suonare. Forse i suoni non sono al top, forse al cantante non riesce bene di fare il simpatico a tutti i costi mentre di gente non ce n'è ancora tanta, forse una battuta infelice non ci stava, ma la musica sì. E onore ai Carpacho, evviva i Carpacho che si sono rimessi assieme e che hanno percorso centinaia di km per arrivare nel freddo (anche di temperatura) Nord a parlare del loro credo in quattro quarti. Certe cose vanno digerite, ed anche per il loro concerto vale questa regola. "Parla poco in pubblico", certo, ma "ci sarà un momento per confonderti agli idioti e forse lo rimpiangerai". Tutto in testa sembra prendere un senso, pure se il cervello è difettoso. E quando urlano "C'è qualcuno? Rispondete", forse, sarebbe stato il caso di farsi sentire un po'di più. "Sei al sette", avrei detto fossi stato un prof. Tornerò.

Arrivano Fiori, Gabrielli e il contorno meravigliosamente assurdo del resto dei Mariposa. Potrei dire che Fiori in mutande c'ha fatto tutto il concerto. Potrei dire che ha fatto la verticale. Che Gabrielli sembrava un incrocio tra un hippie e Little Steven. Ma non serve dire nulla sui Mariposa se non che dovete vedere i Mariposa. E che un paio di coglioni che disturbavano, lamentandosi a gran voce in mezzo a un insieme di teste pensanti adoranti, sono utili a capire che il mondo è bello perché è vario, e che lo show va davvero avanti comunque. Psichedelia, dissonanze, confusione, testi improvvisati e testi incisi, il tutto in un connubio meravigliosamente armonico che ti porta in testa un intero peyote che continua a fare effetto fino al giorno dopo. Fiori è definito giustamente da qualcuno "dadaista" e tutto prosegue anche dopo il live, con un esercizio di stile con uno di quei sacchetti di carta ripieno di lumino e sassi che ricorderemo almeno fino all'estate prossima, fino al prossimo Hey Sun, fino al prossimo bagno, pomeridiano o di mezzanotte che sia, nella piscina dell'isola felice in mezzo a case, macchine, capannoni.

E ora tocca a noi, Sherwood. Un inchino a chi ha colorato Padova al meglio. Del bianco e nero, onestamente, ne avevamo piene le palle.

(Foto di Gil Frison)

 
 

    foto

  • Mariposa all'Hey Sun 2011
  • Carpacho all'Hey Sun festival 2011
  • Ex-Otago all'Hey Sun festival 2011
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