The Very Best Of 2013

di MonkeyBoy, Vinylistics

7 Gennaio 2014

Il 2013 è stato un anno musicale incredibile per qualità e quantità di uscite. Il livello è stato davvero molto elevato, fate conto che nella mia personalissima classifica top10 che troverete qui di seguito si entrava con una votazione minima di 7,5. Ci sono state alcune delusioni - anche molto grosse - tra cui i The National che con Trouble Will Find Me hanno sì confermato il loro standard ma sono apparsi stanchi e forse un po’ svuotati, non aggiungendo nulla di nuovo alla loro rispettabilissima discografia. L’esordio degli Atoms For Peace, Amok, era molto atteso dal sottoscritto ma non ha rispettato del tutto le mie aspettative, soprattutto pensando al potenziale da cui si partiva; ritorno così così anche per i My Bloody Valentine ed il loro MBV, non ai livelli del passato ma giustificati in parte a causa della lunga assenza dalle scene.

Discorso a parte per gli esordi annuali, tanti e quasi tutti di buonissimo livello. Da ricordare, Performance degli Outfit, i Factory Floor ed il loro omonimo album, quello che forse può essere definito l’esordio italiano dell’anno ossia Fate dei Soviet Soviet ma soprattutto Jacco Gardner che se ne esce con Cabinet Of Curiosities e ridefinisce il concetto di retrofuturismo. Tuttavia, la mia scelta per il debutto dell’anno va a:

Savages - Silence Yourself

Un album potente e violento, che esprime l’urgenza e la voglia di gridare al mondo la propria esistenza. Post-punk è un termine anche troppo abusato, ma si parte da lì per capire le Savages ed il loro esordio. Tecnicamente già molto avanti, queste quattro girls dimostrano una chimica di squadra davvero invidiabile, su cui svetta la furia vocale di Jehnny Beth. Che è pure una discreta f**a. Tra gli 11 brani, da segnalare Shut Up, I Am Here, She Will e Husbands. Una delle poche band quest’anno ad aver salvato il rock. Il futuro passerà anche da loro.

Ok ci siamo, i convenevoli sono finiti, è arrivato il momento del Best Of 2013 definitivo. Appena fuori dalla top10 ho dovuto lasciare album validissimi, tra cui vorrei citare Loud City Song di Julia Holter, Kanye West ed il suo fottutamente geniale Yeezus, {Awayland} dei Villagers e l’EP Totale Nite dei Merchandise.

Ora, in una tirata unica dalla 10 alla 1, la classifica è pronta a conquistare l’internet.

10. Fuck Buttons - Slow Focus

E’ stata la mia prima recensione e come tale non la scorderò mai. Lande fredde e sconfinate fanno da cornice ad un LP oscuro ed intimista, dove il duo di Bristol mischia a piacimento drones e hip-hop, elettronica, dub e dancefloor. Alla terza fatica, i Fuck Buttons si assicurano un futuro completamente aperto, dove la continua contaminazione dei generi sarà il sentiero da seguire, provare The Red Wing per credere. Uno degli album più emozionali dell’anno.

9. Local Natives - Hummingbird

Difficile trovare un lavoro che unisca sofisticatezza e attitudine pop come il sophomore dei Local Natives. Sono 44 minuti di grandissime melodie, con una qualità davvero eccezionale se si pensa che la band californiana è soltanto al suo secondo lavoro. Il video di You & I denota anche una certa attenzione per la forma visiva, confermando la vena artistica a 360° del gruppo. Per chi vi scrive, sono ormai pronti a fare il grande salto.

8. Suuns - Images Du Futur

Una delle sorprese del 2013 ed ennesimo sophomore dell’anno. I canadesi Suuns stravolgono la loro musica e danno vita ad un album obliquo e notturno, da ascoltare nella penombra, avvolti nella nebbia metropolitana. Krautrock, elettronica e neo-psichedelia sono gli ingredienti fondamentali, e tutti sono racchiusi nella magnifica 2020. Gli anni ’80 raccontati dai Suuns non sono mai stati così belli e dimenticateveli presto perché al prossimo giro si cambierà nuovamente.

7. Willis Earl Beal - Nobody Knows.

Anche Willis Earl Beal arriva al suo secondo album con moltissimo hype alle spalle, e non delude le attese. Più un secondo debutto che un vero e proprio seguito, più edulcorato ed educato ma con la stessa rabbia e la stessa disillusione sulle cose del mondo. Everything Unwinds è una perla tra le perle, per un LP che pone il cantante anti-folk di Chicago tra le prossime cose grosse da tenere d’occhio.

6. TOY - Join The Dots

L’ultimo grande album di quest’anno, un finale davvero grandioso. I TOY tornano a distanza di soli 12 mesi dal loro debutto ed estendono i loro orizzonti musicali andando oltre il kraut e la psichedelia per trovare un nuovo equilibrio tra noise e pop. Ci riescono perfettamente e sfornano alcuni numeri di altissima scuola come l’infinita e selvaggia cavalcata di Join The Dots. Qualsiasi cosa sarà quello che verrà dopo, le attese sono assai elevate.

5. The Black Angels - Indigo Meadow

Al quarto album la band texana fa il botto e dà vita ad uno dei dischi forse più sottovalutati dell’anno. Non inventano nulla di nuovo ok, ma il loro semi-citazionismo ha pochi eguali in giro. Tutto funziona alla perfezione, 13 tracce per 45 minuti circa che filano via tiratissimi, con pochi momenti di respiro tra una coltellata e l’altra. Indigo Meadow è la title track definitiva, che sa definire lo standard come poche. Chitarre, tastiere e batteria…è tutto quello che ci serve no?!

4. Gap Dream - Shine Your Light

Di Gabe Fulvimar si è già detto anche troppo su questo blog. Ennesimo sophomore ed ennesimo colpaccio anche per la mente dietro alla band ormai californiana. La Burger Records può andare fiera di avere tra le sue fila uno dei prospetti più interessanti del futuro che, partito dal nulla, si è fatto strada fra garage e psych-rock per approdare a qualcosa che varia dal glam, al synth-pop, dal glitch all’elettronica ed è anche arduo da poter definire. Di sicuro un grandissimo album, pieno di qualità, melodie e divertimento e che alla fine ti fa venire voglia di berti una birra e fumare qualcosa insieme a Fulvimar ed ai suoi amici sciroccati.

3. Arcade Fire - Reflektor

Sul gradino più basso del podio un (doppio) disco di cui si è già detto il possibile e l’impossibile, anche su queste pagine. Un lavoro enorme per gli Arcade Fire, tanto ambizioso quanto riuscito, che spazia tra generi e concetti artistici anche molto distanti tra loro, consegnandoci una band ormai consapevole del proprio status gigantesco nel mondo della musica. La collaborazione con Bowie ha fatto molto parlare, così come tutto l’hype che si è sviluppato attorno all’uscita dell’album ed ai graffiti sparsi per il pianeta. Un marketing chirurgico e spietato, quindi, ma che non ha minimamente intaccato quello che è il punto cruciale degli Arcade Fire, ossia quel fuoco che brucia loro dentro e che pare non consumarli mai.

2. Arctic Monkeys - AM

Al secondo posto un album che se non avesse già dalla sua il fatto di essere il capolavoro di una delle band imprescindibili del nostro tempo ha anche l’indubbio merito di salvare il rock’n'roll in un anno come questo. Gli Arctic Monkeys non arrestano la loro evoluzione e danno alla luce un disco tanto eterogeneo nelle premesse quanto omogeneo nel risultato, dove tutti e quattro riescono ad esprimersi al massimo delle loro capacità e spaziano dal glam all’hip-hop, dall’indie al blues muovendosi da una costa all’altra degli States e soffermandosi con piacere nel deserto, a casa Homme. Do I Wanna Know? è il mid-tempo perfetto, che suona già classico dopo dieci minuti. Le Scimmie concludono la loro trilogia americana e si pongono nell’invidiabilissima posizione di poter fare – da ora in avanti – davvero quello che vogliono.

1. Daft Punk - Random Access Memories

Sul gradino più alto c’è l’album che avrei voluto recensire se solo avessimo aperto il blog un po’ prima. L’avessi fatto, avrei dato 10/10 perché qui non si parla solo del disco dell’anno ma di uno dei lavori del decennio, con la canzone che meglio ha rappresentato questo strambissimo 2013. Anticipato da una campagna virale diffusissima ma assai classica – che ha creato un’aspettativa davvero senza precedenti nella storia del pop – questo album è una summa di tutto quello che c’è da sapere sulla musica che i Daft Punk davvero amano e che è stata di fondamento per la loro carriera. Il duo parigino dopo aver rivoluzionato per ben due volte il mondo della EDM ha deciso di tornare umano, sostituendo alle macchine i vari collaboratori che mano a mano hanno ospitato, nomi come Giorgio Moroder, Pharrell Williams, Panda Bear, Julian Casablancas e soprattutto Nile Rodgers, vero deux ex machina di questo progetto. Qualità altissima, produzione sovrumana, gusto per il trash immutato e coolness senza pari fanno di questo LP un vero e proprio capolavoro, la maniera migliore in cui i Daft Punk potessero rispondere ai tanti imitatori nati negli anni: ehi, noi siamo qui che suoniamo dal vivo con le leggende, diventando a nostra volta leggendari. Provate a raggiungerci! E poi, su tutto, la quote dell’anno: My name is Giovanni Giorgio…

Oh, sembrava impossibile ma abbiamo finito. Se siete sopravvissuti a questo sproloquio mi prendo ancora un minuto per augurarvi buon Natale, darvi appuntamento all’anno prossimo e ringraziarvi per la pazienza e la costanza con cui ci seguite. Siamo solo all’inizio, facciamo ancora un sacco di cazzate ma miglioreremo sempre di più.

Su, tutti a bere, mangiare e tirare i botti per strada!

See you soon, folks.



 
 

Tratto da:
http://vinylistics.altervista.org

 
 
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