Perché la libertà non è un'invenzione dell'Occidente

ReadBabyRead #27 del 30 giugno 2011

Amartya Sen: "La democrazia degli altri”

30 Giugno 2011

Amartya Sen

La democrazia degli altri (brani)


per info su Franco Ventimiglia e Claudio Tesser:



www.letturaealtricrimini.it


Legge: Franco Ventimiglia




Premio Nobel per l’Economia nel 1998, Amartya Sen (Santiniketan, Bengala, 1933) è uno dei massimi esperti al mondo di economia del welfare, nonché una delle voci internazionali più autorevoli impegnata nella lotta a povertà e disuguaglianza. È professore di Economia e Filosofia a Harvard. Ha insegnato a Calcutta, Cambridge, Delhi, alla London School of Economics, a Oxford.

Tra i suoi scritti fondamentali figurano: "La diseguaglianza", Il Mulino, Bologna (1994), "La ricchezza della ragione. Denaro, valori, identità", Il Mulino, Bologna (2000), "La democrazia degli altri. Perché la libertà non è un'invenzione dell'Occidente", Mondadori, Milano (2004), "Identità e violenza", Laterza, Bari (2006), "L'idea di giustizia", Mondadori, Milano (2010).

Ciò che Amartya Sen si propone di porre al centro della propria riflessione è la discussione sulla disuguaglianza, letta però in una “nuova direzione” che si contrapponga a quelle tradizionali e prevalenti. L’idea di disuguaglianza (inequality) deve secondo Sen confrontarsi con due diversi ostacoli: a) la sostanziale eterogeneità degli esseri umani; b) la molteplicità dei punti focali a cui la disuguaglianza può essere oggetto di valutazione. Al di là della “potente retorica dell’uguaglianza”, che trova il suo apice nella nota asserzione per cui “tutti gli uomini nascono uguali”, Sen è convinto che gli individui siano del tutto diversi gli uni dagli altri e che dunque il pur ambizioso progetto egualitario debba muoversi “in presenza di una robusta dose di preesistente disuguaglianza da contrastare”. Sen è d’altro canto convinto che la misurazione della disuguaglianza dipenda dalla variabile focale (felicità, reddito, ricchezza, ecc.) attraverso cui si fanno i confronti: la misurazione della disuguaglianza dipende cioè dai parametri assunti per definirla. La prima conseguenza di ciò sta nel fatto che, se tutte le persone fossero identiche, l’eguaglianza in una sfera (ad esempio nelle opportunità o nel reddito) tenderebbe ad essere coerente con eguaglianze di altre sfere (ad esempio, l’abilità di funzionare). Ma poiché le persone non sono affatto identiche, ma anzi vige un’assoluta “diversità umana”, ne segue che l’eguaglianza in una sfera tende a coesistere con disuguaglianze in altre sfere: così, ad esempio, redditi uguali possono coesistere con una forte disuguaglianza nell’abilità di fare ciò che si ritiene importante (un sano e un malato, pur avendo lo stesso reddito, non possono fare le stesse cose), ecc. La seconda conseguenza fondamentale scaturente dal fatto che la misurazione della disuguaglianza dipende cioè dai parametri assunti per definirla sta nel fatto che la disputa non si innesta tanto fra egualitari e anti-egualitari, giacché tutte le più importanti teorie etiche degli assetti sociali sono comunque favorevoli alla “eguaglianza di qualche cosa” (e infatti nelle loro scelte politiche tendenzialmente egualizzano una qualche dimensione della vita umana). Interrogarsi sull’uguaglianza significa dunque innanzitutto interrogarsi su quali siano gli aspetti della vita umana che debbono essere resi eguali.



La democrazia degli altri


Due le tesi che Amartya Sen, premio Nobel per l'Economia nel 1998, vuole dimostrare nel suo libro "La democrazia degli altri".

La prima è che il concetto di democrazia non è appannaggio esclusivo dell'Occidente.
Le radici della democrazia, com'è noto, risalgono all'antica Grecia, ma considerare la civiltà greca «come parte integrante di una specifica tradizione occidentale» è una cosa difficile da sostenere, secondo l'autore.
Inoltre, «c'è un'ampia storia di sostegno alla tolleranza, al pluralismo e alla deliberazione pubblica anche in altre società». Tra queste Sen cita l'Africa, l'Iran, l'India e persino i principi musulmani del mondo arabo e della Spagna medioevale che «potevano vantare una lunga storia di integrazione degli ebrei quali membri a pieno titolo della comunità sociale». La democrazia, per Amartya Sen, non va considerata tale solo perché in uno Stato vengono indette libere elezioni, ma «secondo la più ampia prospettiva della discussione pubblica».

La seconda tesi sostenuta da Amartya Sen è che l'ascesa della democrazia è stato l'evento decisivo del XX secolo ed è da considerarsi un valore universale. «Per tutto il XIX secolo i teorici della democrazia consideravano perfettamente naturale chiedersi se un determinato Paese fosse pronto per la democrazia. Questo atteggiamento è cambiato solo nel XX secolo, quando si è riconosciuto che la domanda stessa era sbagliata: un Paese non deve essere giudicato pronto per la democrazia, ma lo deve diventare mediante la democrazia». 

Indubbiamente i due saggi contenuti in questo libro offrono uno spunto notevole alla discussione in atto sulla possibilità di 'esportare' la democrazia e suggeriscono a un occidentale di allargare la propria visione del mondo verso un oriente che molto spesso si conosce poco e si giudica molto, inevitabilmente, attraverso luoghi comuni o, peggio, pericolosi pregiudizi.


Raffaella Soleri

 
 

Logo di articolo: Una foto di Amartya Sen.

 
 

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