Servo per due (One man, Two Guvnors) di Richard Bean

Una recensione dello spettacolo tratto da "Il servitore dei due padroni" di Carlo Goldoni

5 Dicembre 2013

liberamente tratto da "Il servitore di due padroni" di Carlo Goldoni
adattamento teatrale Pierfrancesco Favino, Paolo Sassanelli, Marit Nissen, Simonetta Solder
con gli attori del Gruppo Danny Rose
il ruolo del servo è interpretato da Pierfrancesco Favino
canzoni e musiche eseguite dal vivo dall'orchestra Musica da Ripostiglio
scene Luigi Ferrigno
costumi Alessandro Lai
regia Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli
una produzione Gli Ipocriti e Associazione REP la Compagnia di Repertorio

All'età di 15 anni, durante uno di quei pranzi estivi abnormi alla casa-ammare della zia, presi perfetta coscienza dei limiti del mio stomaco. A quel tempo mi ingozzavo già parecchio, e anzi ricevevo grandi incoraggiamenti da tutto il parentado per la mia fame eroica e per quella nuova panciotta rotonda da esibire in spiaggia, così che nessuno pensasse che quella famiglia di poverelli non fosse in grado di ingrassare i propri figli; ma quel giorno la zia frisse enormi bistecche di tonno in un letto di 30 cipolle fritte. E ogni cosa d'un tratto crollò, fuori e dentro di me: c'era dunque un limite alla digestione umana, anche a quella di un insaziabile bambino ciccione meridionale.

"Servo per due", di e con Pierfrancesco Favino, in scena al Toniolo di Mestre dal 4 all'8 dicembre, ha di nuovo oltrepassato quel limite fetente. E di brutto.

Si tratta di una riscrittura de "Il servitore di due padroni", commedia (dell'arte) di Carlo Goldoni, con Truffaldino/Arlecchino al servizio sia di Pantalone che di Beatrice, ma prima di tutto della propria fame da Zanni. Ma poco importa, perché qui siamo decisamente più dalle parti della Sagra dello Gnocco, del Bagaglino, del Teatro di Rivista, della più decadente Polvere di Stelle, ma con in più "una strana, colorata, luccicante frociaggine, smaliziata e allegra come una cazzo di Lambada". Per un totale di circa tre ore. E non è un modo di dire: 180 minuti di amabili stacchetti italian-swing con l'orchestra Musica da Ripostiglio, sketch slapstick, giochi degli equivoci, travestimenti, amabili stacchetti italian-swing con l'orchestra Musica da Ripostiglio, qualche attore canissimo, cadute, bizzarrie linguistiche, balletti puntualmente scoordinati, amabili stacchetti italian-swing con l'orchestra Musica da Ripostiglio, scorregge.

Fa ridere? Sinceramente sì, e il merito è soprattutto di Favino (brillantissimo, poco da fare) e Pupazzo Gnappo (Ugo Dighero, santo honoris causa). Ma anche il tonno fritto nella cipolla fritta della zia in fondo era buono. Però era insostenibile. Qui siamo di fronte a un calderone di qualsiasi cosa, tivù compresa. C'è davvero di tutto, e tanto di troppo.

E poi io sono francamente a disagio quando il pubblico viene coinvolto direttamente nello spettacolo. Perché è un espediente che apre le porte di Tannhäuser agli abomini più imbarazzanti. Ieri, ad esempio, Favino ha iniziato con il chiamare sul palco un omo-maròn, a cui ne è seguito immediatamente un altro, ugualmente maròn. E passi, fa molto teatro ragazzi ma ora un bell'applauso e tornate pure al vostro posto. Però mica tutto il pubblico è normodotato, quindi quando venti minuti dopo Favino, da novello Zanni, ha chiesto alla platea se qualcuno avesse la bontà di offrirgli qualcosa da mangiare, una Allegra figliola ha alzato la mano. Giuro.

L'attore l'ha dapprima ignorata, ma dopo un minuto ha dovuto interrompere incredulo l'improvvisazione e spiegare all'Allegra figliola di abbassare la mano, giacché trattavasi di battuta teatrale. Ma l'Allegra figliola ha insistito, offrendogli il suo minchia di Biancorì, come se fosse la sua ultima occasione di dimostrarsi divertente e talentuosa agli occhi del suo toy-boy, prima di venire massacrata da me. E non parlerò di quel che è successo poco dopo, con un'altra spettatrice chiamata a salire sul palco, semplicemente perché non credo a quel che ho veduto e non vorrei passare per credulone. Vi basti sapere che se oggi leggerete su La Nuova Venezia che una spettatrice si è sentita male dopo essere stata messa a pecorina e poi innaffiata con un estintore, beh per me era tutto preparato.

Non mi dilungo affatto sulla trama perché non l'hanno fatto nemmeno gli attori (tutti del gruppo DANNY ROSE, in missione per conto di un teatro che racconti la vita e coinvolga lo spettatore nel processo creativo, parole loro), ma sappiate che, dulcis in fundo, alla fine di una tale pantagruelica abbuffata arriva anche la mentina di Creosoto: una bella citazione finale di Fellini con l'apparizione del Rex di Amarcord, sbagliata e inopportuna come la conversione di Claudia Koll.
Ma ripeto: fa ridere.
Ma ripeto: dura tre ore.
Auguri.

 
 
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