Intervista a Cordepazze

“L’arte della fuga” è il loro secondo lavoro autoprodotto

27 Novembre 2013

Il gruppo siciliano Cordepazze ha esordito nel 2008 con “I Re Quieti” ristampato poi nel 2010. Alfonso Moscato, cantante e chitarrista, ha una voce limpida e ficcante. Racconta la sua visione del mondo e fa intravedere la sua luce con eleganza, disperazione e sobrietà assieme. Completano la band: Francesco Incandela al violino, Vincenzo Lo Franco alla batteria e Michele Segretario alle tastiere. Quest’ultimo ci racconta del secondo album autoprodotto della band “L’arte della fuga”.

Dopo “I Re Quieti” uscito nel 2008, siete tornati con il vostro secondo album sulla lunga distanza “L’arte della fuga”. Un disco che esorta l’ascoltatore a riflettere e a non smettere mai di pensare, come quasi un fratello maggiore. Come viene fuori questo incitamento alla presa di coscienza che ha ispirato il disco?

Viene fuori dalla situazione che stiamo vivendo. Una situazione di perenne crisi, infatti, non può che generare riflessioni di questo tipo. Ci sarebbe da meravigliarsi se così non fosse. L'incertezza  generata dall’attuale e ottusa classe politica europea ha trasformato i temi esistenziali de “I Re Quieti” in oggettivazioni, in immagini e storie che aggiungono all'io di “Sono morto da cinque minuti” il noi di “Ora pro no”.

Cosa è rimasto del disco d’esordio e cosa invece avete cambiato rispetto al vostro modo di comporre per questo disco nuovo?

Rispetto al precedente, “L'arte della fuga” è un disco che ha ovviamente una maggiore consapevolezza che, dal punto di vista della forma sonora, si traduce in una maggiore compattezza rispetto a I Re Quieti. Molti dicono che quest'ultimo sia un disco più elettronico, più rock, più indie del precedente. E' vero, nel senso che tutti questi elementi c'erano già in minor misura nel nostro primo disco. Insomma, gli ingredienti sono uguali, abbiamo rivisto le dosi.

Gli umori del disco rispettano e non oltrepassano le atmosfere acustiche in un manto avvolgente grazie alla melodia e ai testi schietti ma mai volgari. Il tappeto sonoro come lo concretizzate?

Generalmente è un lavoro di gruppo che conduce a definire l'arrangiamento, partendo magari da un'intuizione ritmico-melodica di uno di noi, come è successo ad esempio per “Credi a me” con il riff di piano minimale. Credo sia un lavoro tipico dei gruppi.

Ci sono dei dischi di altri che sono entrati inconsapevolmente nelle vostre canzoni?

Certamente e tanti. Siamo in quattro quindi ciascuno ha i suoi ascolti che per forza di cose influiscono sulla costruzione musicale globale di ciascun pezzo. Oltre ovviamente ai dischi  di quegli artisti che inevitabilmente, credo, influenzano i dischi di quasi chiunque –  i Beach Boys di “Pet Sounds” e “Smile”, Beatles, Radiohead -  Mi ricordo di avere ascoltato molto Bowie in quel periodo, Morgan, Nick Cave e anche Stockhausen.

“Gli scienziati americani” che chiude il disco ha un anima profonda. Ci si perde nelle trame ondulate della voce. Come nasce?

“Gli scienziati americani” è pezzo che potrei definire “cubista”, fosse solo perché è una specie di collage di brani incompiuti che abbiamo unito tra di loro. È il brano in cui volutamente affiorano vari riferimenti più o meno espliciti. In cui ci è piaciuto osare un po’ di più, andando al di là delle forme classiche della canzone.

La title track è stata la prima canzone del disco? Comunque è sicuramente il centro di qualcosa. Si sente un cratere in fondo ad un cuore che cerca di riempirsi di coraggio per appunto andare via…

“L'arte della fuga” è stato in realtà uno degli ultimi brani a venire fuori. Il suo spirito però ha aleggiato per tutta la fase di preparazione di questo ultimo lavoro, sino a condensarsi nel brano che ha dato il nome al disco. Questa canzone è nata, come molte nostre canzoni, da un provino portato da Alfonso, ricordo che in quel periodo leggeva Carmelo Bene, infatti il brano parla di annichilimento e della voglia/necessità di fuggire dalle cause di questo annullamento dell'essere: gli americani (come simbolo di tutta la politica occidentale), i soldi, le illusioni che ci inganno sulla vera natura di ogni cosa. La perdita del senso critico.

Dove e come è stato registrato il disco?

Abbiamo iniziato con una lunga pre-produzione in casa, durata circa dieci mesi, perché non vivendo di musica siamo costretti a occupare del tempo anche in altre attività. In questa prima fase, oltre a fare uno screening dei suoni e a finalizzare e verificare gli arrangiamenti, abbiamo registrato quasi tutte le chitarre acustiche, i sintetizzatori e alcune voci che poi ci siamo portati in studio. Abbiamo scelto il Sonoria Studio Rec. (Scordia-CT) di Vincenzo Cavalli. Un fonico eccellente, che ha missato il disco e che ci ha dato una grande mano nella realizzazione e nel venire a capo dei mille imprevisti in cui si imbatte registrando un disco.

Il disco è autoprodotto ma per quale etichetta italiana vi piacerebbe fare uscire il prossimo album?

Per una etichetta che abbia  buone idee e chiare sui modi, sui tempi di uscita e di promozione. Non importa il nome.

Per avere il disco e guardare i video, cosa bisogna fare?

Qui https://itunes.apple.com/it/album/larte-della-fuga/id684590449 potete acquistare il disco

Qui https://soundcloud.com/cordepazze/sets/larte-della-fuga-2013 potete ascoltarlo

Qui http://www.youtube.com/results?search_query=la+rivoluzione+cordepazze&sm=3 potete vederlo.

Com’è strutturato il vostro live-set?

Proponiamo i brani dei nostri due dischi unitamente a due/tre cover. L'ultima arrivata è Il Manichino, un brano di Joan Manuel Serrat, tradotto da Gino Paoli, del quale proponiamo una versione elettrica, psichedelica. Da qualche tempo nel nostro live abbiamo inserito delle parti strumentali elettrico-elettroniche di grande energia, che ci divertiamo a espandere sempre un po' di più.

Avete delle date per le prossime settimane?

Dal 28 novembre saremo a Trapani al Bandini e il 29 a Favara al Farm Cultural Park. E dall'anno nuovo inizieranno i concerti anche al centro-nord

Francesca Ognibene

 
 

Links utili:
cordepazze.it
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