Ascoltare con gli occhi

la perfetta imperfezione

19 Novembre 2013

Leggo su Repubblica: “Instagram, le immagini sostituiranno le parole”.

E penso: E’ probabile, immagini perfette, ritoccate con Photoshop al posto giusto, pose da Vip postate da star e da perfetti sconosciuti., tramonti, paesaggi, animali domestici e oggetti levigati e lisci invadono già la rete. E’ la democrazia dell’estetica digitale. Mah, sarà, però a me provoca una certa inquietudine.


Qualche anno fa la pubblicità di una nota casa automobilistica diceva più o meno così:

“Cosa c'è di meglio che amare i propri piccoli difetti?” Risposta lapidaria: “Non averne nessuno”.

Il linguaggio pubblicitario può celebrare la perfezione di sé e dei suoi prodotti senza paura di smentita. Non teme obiezioni: agisce a senso unico, è autoritario non prevede contraddizioni.

Ma non è il linguaggio pubblicitario che mi interessa qui, ma il culto della perfezione che un simile slogan esprime e che viene propagato anche in rete e nei social network. E mi stupisce che tale presunta perfezione possa essere spacciata come segno di valore, come qualità invidiabile.

Poi mi chiedo se questa assenza di difetti venga ricercata anche in musica. Del resto coloro che pubblicano le loro ritoccate e perfette foto e che hanno il maggior numero di follower sono le star musicali, e questo nonostante le immagini di Instagram non abbiano suono, nemmeno quello delle dita su una tastiera.

Ormai sempre più spesso ci capita di ascoltare e vedere , in esibizioni televisive e non, performance di cantanti perfetti/e che rifanno vecchie hit, cover-musici che migliorano tecnicamente l'originale. Usano la musica come un programma di fotoritocco.

Attenzione non parlo solo i talent show dove le fredde pianificazioni commerciali sono evidenti, ma anche del locale sotto casa, del club “alternativo” dove si preferisce l' asettica perfezione di una cover band (sembrano gli originali, anzi forse meglio, si dice) all'espressione vitale ma rischiosa di nuove sonorità. Saranno perfetti, non c'è che dire, ma anche equivalenti,sostituibili. In una parola sono superflui.

A me invece continuano a piacere soprattutto le musiche che mostrano le crepe, che scavano in profondo, che esibiscono le loro mancanze.

Suoni oscuri e introspettivi, suoni sintomo di conflitti irrisolti con il mondo e con se stessi.

Ecco che l'imperfezione diventa plusvalore, tensione, ricerca, trascendenza, rivolta.

Qualche anno fa’ la  glitch music usava l’errore digitale come parte integrante delle composizioni.

E' interessante notare come in ambito underground  il rumore e l'imperfezione, un tempo osteggiato e vilipeso e considerato vera e propria anti-musica, sia diventato dopo la glitch music importante anche nella musica modern classic, sia adottato dagli sperimentatori legati all'elettronica, da qui sia transitato via via verso le nuove  sonorità  quali la post dubstep, il future garage, la witch house fino all'ambient music.

La precarietà del reale è infatti difficilmente rappresentabile nello spazio liscio e liquido della rete e nonostante il successo di social come Instagram se non emerge pure lì il marciume digitale, i rumori metropolitani, i frammenti della  vocalità meticcia, questi diventano pellicola insensibile.

Lo scambio simbolico avviene spesso senza empatia. Per interfacciarsi in connessione occorre perfetta compatibilità e spesso non viene tollerata l'imperfezione  della presenza in carne e ossa.

Lo scambio empatico richiede tempo e sensibilità e soprattutto ascolto sotto la superficie dell'astratta perfezione di un algoritmo matematico.

Ecco perchè per ridare calore e empatia  al suono è forse il caso di ricercare la “difficile”,  complicata, malinconoiosa musica che da sempre racconta le inquietudini del presente ma che sa contemporaneamente  riattivare passioni  mai sopite.

Magari usando gli occhi e le orecchie per guardare e sentire dentro il mistero dell'imperfetta complessità della vita.

 
 

 
 
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