Red+White&Green, Atto I - Drink To Me

di MonkeyBoy, Vinylistics

12 Novembre 2013

La mia scarsa simpatia per la musica italiana moderna passa anche attraverso la scarsa qualità complessiva della stessa. C’è un ma. Qualcuno fa eccezione, qualcosa si muove nella giusta direzione. Tutta musica più o meno indipendente, che nessuno si illuda; mentre i nomi grossi tirano verso la pensione facendoci chiedere come abbiano mai fatto a piacerci, ci sono quattro gruppi che si staccano dal consueto panorama e ci fanno pensare che non tutto è perduto, che la salvezza per il Made In Italy sia possibile anche nella musica, che il futuro è ancora da scrivere e che alla fine andrà tutto bene. Che poi 3 su 4 cantino in inglese è qualcosa che dovrà essere analizzato da eminenti sociologi, qui ci limiteremo a presentarvi questi italici eroi nel deserto, che con generi, provenienze, modalità diverse stanno facendo la voce grossa e tirano pizze in faccia a Jovanotti tutto il mainstream.

I Drink To Me nascono non troppo lontano da Torino, ad Ivrea, nell’autunno del 2002 ed inizialmente si chiamano O_range. Marco Bianchi (voce, chitarra, synth), Carlo Casalegno (basso, voce), Francesco Serasso (batteria, voce) e Pierre Chindemi (chitarra) all’epoca hanno poco più di vent’anni, una grande dedizione alla causa della musica e – parole loro – una imbarazzante capacità tecnica. Insomma, sono 4 ragazzi italiani nella media cresciuti nella provincia piemontese, che non è propriamente Bristol, interessati a mettere su un gruppetto per fare qualche serata e probabilmente guadagnare due soldi. Fin qui è il quadro generale di sempre, la differenza è che evidentemente hanno le idee piuttosto chiare sul loro futuro. Passano un anno intero a provare prima di esibirsi in concerto, nell’ottobre del 2003 arriva il momento del loro primo live, e da lì in poi inizia il mito e nulla sarà mai più come prima.

La loro atipicità sta anche nell’idea di fondare e gestire una propria etichetta indipendente la Stuprobrucio Records, per la quale tra il 2004 ed il 2006 incidono una serie di EP a testimonianza della loro lenta ma inesorabile evoluzione; Drunk-On’S, The Beauty – che cattura l’attenzione del Madcap Collective che li chiama per aprire la tappa torinese dei Franklin Delano – e Kralle Brau Session. Dopo aver pubblicato quest’ultimo mini-album, nell’autunno del 2005 ricevono una chiamata dall’etichetta londinese Midfinger, che è una di quelle cose che ti cambiano la vita in dieci minuti, dato che la label propone alla band di registrare il primo album a Londra. Sono passati solo tre anni e per i Drink To Me è arrivato il momento di varcare la soglia, andare oltre, fare il passo decisivo. Il loro momento see you on the other side.

Nell’agosto del 2006, mentre tutti noi eravamo ancora duramente ubriachi per la conquista del mondiale, i quattro volano a Londra per registrare il loro primo album ufficiale Don’t Panic, Go Organic! che poi uscirà solo nel febbraio del 2008 - dopo che Pierre avrà abbandonato la band – e preceduto dall’EP Organic del 2007. Prodotto da Andy Savours (Blonde Redhead, Yeah Yeah Yeahs, The Killers, The Horrors - sticazzi eh!), quest’esordio è costituito da inediti e ripescaggi dai precedenti EP ed è un debutto piuttosto coraggioso ma entusiasmante. Un mix di post-punk, psichedelia ed elettronica con un bel carico di noise a fare da collante, in parte fin quasi eccessivo per i canoni del Bel Paese. E’ rabbioso e dirty in brani come Insane e Dancing On Tv, qua e là furbescamente virato in pop (Desert Eyes o Frozen George), senza paura di risultare melodiosamente cupo come nella bella Because Because e pure nella lunga e conclusiva Camposanto. Insomma, per essere un esordio di una band italiana, ce n’è un botto, roba da gridare quasi al miracolo.

Il 2008 è speso in un lungo e faticoso tour in giro per l’Italia, che si snoda praticamente su tutta la penisola da nord fino alla Sicilia. I tre si fanno il mazzo ma parallelamente acquisiscono una notevole esperienza live che sarà loro utilissima per l’immediato futuro, che si chiama Brazil, e se non è un miracolo poco ci manca.

Pubblicato nel 2010 e prodotto da Alessio Natalizia per l’etichetta bolognese Unhip Records è il manifesto dell’idea che sta alla base di tutta la musica dei Drink To Me, quell’imperativo che comanda di destrutturare, mischiare, confondere e ricostruire sempre, alternare gli stati d’animo, la razionalità alla follia, l’apollineo al dionisiaco. Crescono le qualità di composizione e di espressione, aumentano le tastiere e diminuiscono le chitarre, in una commistione di generi che va dall’elettronica al pop.

Basterebbe la traccia iniziale Small Town per rendersi conto di cosa sia cambiato in soli due anni e per toccarsi la fronte per capire che si è qui ed in questo momento; il groove è denso, compaiono drones e synth che è un piacere e c’è una confusione controllata di fondo che si ritrova anche nella successiva B1 che ricorda parecchio i Battles, non a caso una delle ispirazioni dichiarate del gruppo, insieme a Kraftwerk, Alanosaxis, e (tenetevi) Steve Reich.

Da Amazing Tunes con i suoi innesti dance così scanzonati, a B9 che è tribal come nulla prima, passando per David’s Hole fino ad arrivare al dream-ambient di A Stain In The City, quest’album è tutto un ibrido tra krautrock, cenni di afrobeat, minimalismo ed elettronica, un’evoluzione pazzesca per una band al secondo atto, tipo l’Homo Erectus. E’ un successone, tutti si accorgono di loro, iniziano un tour europeo che li terrà impegnati per tutto il 2011, arrivando ad aprire per gli Editors, e Roberto Grosso Sategna (basso e percussioni) si unisce a loro.

Charles Darwin mi ucciderebbe ma non voglio dilungarmi troppo per cui ecco a voi S, l’Homo Sapiens. Esce il 9 marzo 2012, prodotto sempre da Unhip, registrato da Massimiliano Moccia tra le colline torinesi, mixato da Andrea Suriani agli Alpha Dept Studios di Bologna, ed infine masterizzato da Carl Saff a Chicago è per chi vi scrive l’album italiano del 2012 ed uno dei più influenti degli ultimi 10 anni.

La cosa che maggiormente colpisce dei Drink To Me di S è la loro inarrestabile evoluzione ed il loro miglioramento continuo, dovuto in parte ai tanti concerti in mezza Europa ed in parte alla loro capacità di assorbire ed elaborare influenze sempre diverse, cosa che si ripercuote anche nell’uso di nuova strumentazione. Le coordinate le fissa Henry Miller, sia come autore - la storia vuole che il giorno della morte dello scrittore di Tropico del Cancro sia lo stesso della nascita di Francesco Serasso, e comunque influenza la stesura delle canzoni - sia come canzone d’apertura, dove il gruppo fa capire senza troppo giri di parole come il rock li abbia francamente annoiati. E’ un brano potente, con un tappeto elettronico denso e pulsante di stampo Foals ed insieme a Future Days e Space rappresenta molto probabilmente il punto più alto dell’intero disco.

Si sentono molto gli Animal Collective, mentre le influenze della musica nera – tipo J Dilla, Erykah Badu, Nina Simone – si accompagnano alla ripetitività del kraut (sentire per credere Dig A Hole With A Needle) più minimalista ed alle percussioni afrobeat sempre più invadenti, creando quel miscuglio originalissimo che fa di S un album quasi d’avanguardia, almeno alle nostre latitudini. Non mancano gli episodi più melodici, come nella splendida Picture Of The Sun, le derive elettro-pop di L.A. 13 pt.1 che quasi sconfinano addirittura nel chillwave di L.A. 13 pt.2. e se poi a chiudere si lascia quella Airport Song così Flaimng Lips, nel suo miscuglio di elettronica e psichedelia, non si farà fatica a capire come il terzo album dei Drink To Me sia allo stesso tempo un punto di arrivo – la summa di tutto quello che ha influenzato la band dal 2002 ad oggi – ed un trampolino per il non ritorno, uno standard fissato per il futuro della musica indipendente italiana.

Mentre Marco Bianchi è impegnato nel progetto solista Cosmo - sotto il cui moniker ha pubblicato il suo esordio, nel maggio di quest’anno, intitolato Disordine - il resto della band pare essersi preso un periodo più o meno lungo di riposo dall’attività sia live che in studio. Questo tempo darà loro modo di trovare nuove ispirazioni e nuovi stimoli per comporre, mentre a noi che ascoltiamo permetterà di assimilare tutto quello che la band ha fatto fino ad ora. Che se ci si pensa bene è qualcosa di incredibile, esportabile ovunque, ricercato, contaminato ed innovativo per tutti i motivi detti fin qui, che dimostra che curiosità e talento possono trovare appagamento anche dove è più difficile lasciarsi permeare. E’ innegabile che nella musica moderna (e purtroppo non solo in quella) l’Italia oggi rappresenti troppo spesso la periferia, il margine esterno dell’impero e se mai sarà diverso, se mai saremo redenti, state sicuri che la salvezza della musica italiana passerà anche attraverso i Drink To Me.

 
 

Links utili:
www.drinktome.net
Drink to me su Facebook
www.locusta.net

 
 
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