Back To The Future, Part IV - Temples

di MonkeyBoy, Vinylistics

29 Ottobre 2013

Una cosa che accomuna la Liguria (dove sono cresciuto e vivo) e la zona attorno a Kettering è il fatto di non avere alcuna degna scena musicale di riferimento. Se per la mia terra questo è solo uno dei tanti aspetti che ne fanno, a ragione, un paese per vecchi, per la città del Northamptonshire ciò è assolutamente un bene, poiché ha dato modo a James Bagshaw ed a Tom Warmsley di crescere scevri da particolari influenze musicali, costringendoli a mettere il naso fuori dal cortile per poter dire la loro. I due sono membri e fondatori dei Temples, e questa è la storia di come è nata la migliore nuova band d’Inghilterra.

Bagshaw (voce e chitarra) e Warmsley (basso) sono cari amici d’infanzia, passano l’adolescenza a scambiarsi i dischi della musica e negli anni dell’università decidono di mettersi insieme e formare una band. Siamo alla fine dell’estate del 2012 e mentre la lotta alle zanzare sta volgendo al termine, nella stanza da letto di Bagshaw vengono composte e registrate quattro canzoni - Shelter Song, The Golden Throne, The Guesser e Keep In The Dark - che successivamente sono caricate su Youtube così, tanto per vedere se qualcuno se le caga. Il responso è così clamorosamente positivo che viene presa la decisione di formare un gruppo, contattando altri due amici di vecchia data, Adam Smith (tastiere) e Sam Toms (batteria). I quattro scelgono come nome per la neonata formazione Temples, spirituale e grandioso come la musica che vogliono creare. Sono tutti grandi fan della psichedelia britannica e dei vecchi dischi della Popsike, ma nel contempo amano il suono primordiale e sperimentale delle band degli anni ’70 - progressive, glam, folk ed elettronica - derivando da esso una musica il più possibile imponente e cinematografica.

La mossa di Youtube paga alla grande, Jeff Barrett della Heavenly Recordings ascolta i pezzi, rimane folgorato come san Paolo sulla via di Damasco e li mette sotto contratto in tempo zero. Il 12 novembre dello scorso anno vede la luce il doppio singolo Shelter Song/Prisms e l’Inghilterra grida già alla Next Big Thing. Il lato A è un’impressionante canzone costruita attorno ad una chitarra a 12 corde, registrata con suoni ed effetti sperimentali, senza la minima paura di osare; risente parecchio dell’influenza della West Coast e di band come The Byrds e Quicksilver Messenger Service, è molto istintiva ed ha quel giro di batteria Tomorrow Never Knows su cui sono cresciute parecchie generazioni di inglesi. La caleidoscopica Prisms, invece, è un gioiellino impacchettato in una confezione regalo zuppa di acido anni ’60, ed è quasi un secondo lato A. Quello che funziona alla grande negli studi Pyramid, dove ora la band registra, è la collaborazione con Claudius Mittendorfer (già al lavoro con Franz Ferdinand, Muse e Mars Volta) che capisce da subito il mood dei quattro di Kettering e lo spinge oltre, al di là della dimensione casalinga delle registrazioni originali.

Appena diventati qualcuno, arriva pronto il sostegno di Brett Anderson dei Muse che li vuole in tour con sé, sono citati sia da Johnny Marr che da Noel Gallagher come la migliore band emergente in U.K. e aprono concerti per Mystery Jets, Kasabian e Vaccines. A proposito di nomi spessi, le influenze dei Temples sono da ricercare sia in califfi come The Byrds, Marc Bolan e Soft Machine - artisti che riuscivano a suonare musica pop seppur alienante ed inconsueta - sia in produttori capaci di creare sonorità originali come Jack Nitzsche, sia in se stessi, nelle loro collezioni di dischi piuttosto che nella musica ascoltata in qualche pub inculato il sabato sera. Tutto ciò si riversa anche nei due singoli del 2013, Colours To Life - dove la band si mette alla prova creando molteplici armonie e linee melodiche su cui campeggia la vellutata voce di Bagshaw - e la già citata Keep In The Dark, pubblicata il 7 ottobre scorso, che riprende il demo originale ma che ora viene virata in tonalità glam rock, con buona pace dei T-Rex. Questo è anche l’anno in cui aprono ad Hyde Park per i Rolling Stones, confermando la loro spiccata attitudine a rendere speciale l’esperienza live, suonando dal vivo versioni differenti delle loro song perché, come affermano, è interessante vedere fin dove possano portare le loro canzoni sul palco.

I Temples sanno benissimo che è facile cadere nel calderone delle revival band che spopolano di questi tempi, ma il loro obiettivo è contemporaneamnte quello di omaggiare le origini ed aggiungere qualcosa di veramente nuovo ad esse. Per capirci, una canzone come Sun Structures parla di qualcosa di contemporaneo usando un immaginario figurativo antico e la religione orientale. Proprio ora, tutta la loro attenzione è focalizzata sul darsi da fare per pubblicare l’album di debutto, cosa che avrebbero potuto fare quest’anno avendo un sacco di materiale già scritto, ma a sentirli la gente non era ancora pronta per un loro esordio: sono in continuo progresso ed hanno voluto aspettare fino ad essere in grado di garantire un grandissimo LP. Prodotto da Mittendorfer a New York, il disco dovrebbe vedere la luce della vita l’anno prossimo. Qualcosa si è già sentito nei concerti più recenti, Move With The Seasons è suonata con le 12 corde ma ha un beat quasi anni ’90 sullo sfondo, ed è un’ennesima contaminazione melodica che dal passato si muove in avanti. Sarà un album destinato ad imporre la band al vertice della piramide degli artisti retrofuturistici - con influenze che ondeggiano dalla psichedelia anni’60 alla Motown, passando per il glam ed il Krautrock - e sicuramente manterrà sempre le canzoni al centro di tutta quella allucinogena realtà che è il mondo visto attraverso il caleidoscopio dei Temples.

 
 

(Nelle ore in cui stavo scrivendo questo articolo, Lou Reed moriva all’età di 71 anni. Senza troppa stucchevole retorica, che già da ieri sta riempiendo internet, vorrei solo far presente che da oggi il pianeta Terra farà un po’ più schifo.)

Tratto da:
http://vinylistics.altervista.org

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