Anello Metafisico

“Cerco il momento della verità, cerco di raccontare nel profondo qualcosa”. Gianfranco Rosi

26 Settembre 2013

Non è fiction e non è documentario Sacro GRA di Gianfranco Rosi, Leone d'oro all'ultima Mostra veneziana. Va detto subito. Perché è in questo avventurarsi a squadernare le categorie fondamentali del linguaggio cinematografico che il lungometraggio esprime la sua massima originalità - il che ravviva il dispiacere per avere lo scorso anno mancato la visione del precedente El sicario - Room 164, incartato nel dedalo delle proiezioni del Lido.

Rosi, che romano non è, adotta una sorta di tecnica mista che mette a valore l'aver percorso in minivan per tre anni i 68,223 km del Grande Raccordo Anulare di Roma e la mappa di storie e persone redatta da Nicolò Bassetti, urbanista e paesaggista, che l'ha percorso a piedi per 300 km in venti giorni, zigzagando in solitudine. Una ricognizione antropologica e un approfondimento di relazioni cui sono seguiti quintali di girato. Il montaggio finale consegna al pubblico un mix di documentario puro e di rielaborazione in chiave fiction di scampoli di vita vissuta: un'operazione molto complessa e molto ambiziosa.

Rosi è responsabile di regia, sceneggiatura, fotografia, suono, Luca Bigazzi è alla supervisione dei colori. Naturalmente ci mette anche dei quattrini. Confeziona un oggetto che immediatamente produce un effetto di spaesamento, di scivolamento lieve verso un non luogo. Le prime immagini sono notturne: le luci dei veicoli dilatate e confuse in un cromatismo dal sapore vagamente lisergico. Stacco in un'ambulanza in corsa: la camera fissa dal basso inquadra una declinazione dell'interno della limousine di Cronenberg o di un modulo spaziale di Kubrick. Poi, finalmente: asfalto, auto, prati, pecore. Il primo personaggio è un terapeuta delle palme dotato di tecnologie elettroniche per condurre la sua battaglia mortale contro il Punteruolo Rosso, temibile parassita che si diffonde in gruppi massificati, organizzati e disciplinati. Difficile capire se recita o è preso in diretta, domandarselo viene istintivo. Anche perché di seguito altre clip sono inequivocabilmente riempite da personaggi che recitano sé stessi. Poi chi vuole può scoprire che Rosi si è fatto circa 200 viaggi in ambulanza, che le prime volte non aveva nemmeno con sé la camera, che quelle scene sono vere. Come autentico è l'odio del “medico” verso il parassita (rosso e simpatico peraltro - forse perché organizzato) mentre gli prepara “l'antipasto della vendetta”. Così come autentici sono tutti gli altri uomini e donne anche se la posizione della camera denuncia la scrittura delle battute, frutto della raccolta di conversazioni rese possibili da un lungo percorso di avvicinamento.

Personaggi tutti con cui è impossibile non simpatizzare: dalla prostituta in disarmo al nobile decaduto, dal pescatore di anguille all'attempato attore di fotoromanzi, dal viado al principe autoproclamatosi tale (villa hollywoodiana ricavata da una rimessa di autocorriere, vasca da bagno che nemmeno Tony Montana, spazi adibiti a “bedembrevas”).

Il GRA inteso come anello stradale è un fondale incerto e fluttuante, solo ad intermittenza percettibile come confine, muraglia, fossato attorno al castello. L'atmosfera è avvolgente anche se la camera è quasi sempre fissa, mai un controcampo, nemmeno quando dalle finestre di alveare si indicano cupole o baracche. Ci si mette un po' a realizzare che l'effetto di spaesamento è in buona misura dovuto al lavoro fatto sul suono, risolto in sottrazioni e accentuazioni continue, che arrivano ad annientare un rombo di fuoribordo e a farci percepire l’appetito del Punteruolo Rosso. Se c'è un limite è nella determinazione a non farci intrecciare con la parte brutta, sporca e cattiva del GRA, e non mi riferisco solo a commercialisti e avvocati.

Rosi non elabora (verosimilmente non vuole) un punto di vista politico, racconta “un luogo fine a se stesso, che maschera e nasconde le contraddizioni della città” (Renato Nicolini, cui il lavoro è dedicato) in una chiave che sembra contenere il superamento di una propria paura. Vuole esprimere il punto di arrivo di un innamoramento per uno spazio metafisico attraverso un espediente che riesce a coniugare la forma del documentario, restituendole valore e senso, con quella del cinema di finzione unendo indagine, rigore, sperimentazione. Cuore. Perché credo che, senza quest'ultima merce, la singolare alchimia che connota il rapporto con uomini e donne sottratti per un breve periodo alle loro vite per metterle in scena recitando difficilmente si sarebbe realizzata.

Marco Rigamo per Sherwood.it

 
 

Links utili:
www.sacrogra.it

 
 
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