Mi Ami 2013

Mostri innamorati a Milano, Musica importante a Milano.

11 Giugno 2013
 - Momo

Se sei ad Amsterdam e sbagli hashbar può capitarti di prendere un pacco. Finisci in un posto pieno di luci ed insegne blu-giallo-rosse e ritrovarti più italiani su di giri che nel tuo quartiere dopo una vittoria di una squadra d'eccellenza, a cantare le canzoni più improbabili del tridente d'attacco Ramazzotti - Pausini - D'Alessio.

Se sei a Milano e sbagli hashtag può arrivare un pacco di "like". Il like è una delle 'strange currencies' di cui parlavano gli R.E.M. nel '94, è una merce di scambio, è fonte d'erezione se sulla foto della persona che ha premuto "like" hai fatto lo stesso a colpi di bava. Ma nel magico triumvirato Ramazzotti diventa un amaro, le piccole pause sono per restare nel barely-illegal e sul palco c'è D'Amico.

Tutto questo perché se scrivi #miami anziché #miamifestival americani iniziano a premere "like" su foto di concerti italianissimi e meneghini.

Mi Ami è state of mind, eterogeneo nella frequentazione che vede l'hater dei volti noti affiancarsi alla ragazzina a cui hanno appena regalato la reflex, mentre bevono una birra a fianco del ragazzo in trasferta che rovescia un Negroni sullo smartphone. Mi Ami rende un posto già bello come Magnolia un parco dei divertimenti, dove anche a distanza di anni riesci a perderti nella spirale di banchetti o nelle vie d'accesso ai tre palchi, come a Gardaland per fare il terzo giro al Colorado Boat. Qui però non ci sono code, se non per il tozzo di pane, i decibel sono pochi (ma pure nel resto del mondo si ricorda solo Ruggeri) e ci si ingegna come si può per l'ubiquità, per ritrovare il resto della famiglia, per riscoprire sotto l'acqua una band in mezzo alla fanghiglia, per un bacio per te da chi ti si piglia.

Al Mi Ami, spesso il venerdì, c'è la pioggia, ma Dargen urlava fanculo la finestra cambio disco e cambia il cielo e, anche se non la fa nemmeno sul palco il sabato, già il venerdì tutti hanno capito bene che fare e restano in fronte agli altari di quelli che solo a volte sono idoli, più spesso sono nomi che si sono sedimentati come cerume benigno nel condotto uditivo ed attendono d'esser rinfrescati da un buon impianto, in altri casi ancora solo lettere unite in modo carino, in un programma da scoprire per la prima volta.

Ed è così che con il suo migliore live di sempre L'Orso suona quando alla tv un pinguino insegna, alzandoti gli angoli della bocca per farti far pace con i Linea 77 che non sapevi come fossero dopo un cambio di formazione, e che ti ricordano che le canzoni sono come l'andare in bicicletta che desideravo avere tempo fa.

I tuoi amici iniziano a volare davvero durante il live più intimo, sebbene più urlato, quello dei Gazebo Penguins, che a dispetto del nome non rappresentano compagnie telefoniche arricchite, ma di discussioni serie un bel po'ne sanno, e fanno volare pure chi, come me, ha sbagliato le scarpe e sta fermo, urlando.

Sei partito da Padova quando avevano appena finito di suonare i Bachi da Pietra, arrivi a Milano e vedi i Bachi da Pietra. Loro hanno capito tutto, e non solo della tanto agognata ubiquità. Arrivano Noyz e Chicoria e mentre ti chiedi come sia il gabbio capisci che non si tratta di Gubbio, perché le parole arrivano violente col sorriso mentre il tuo vicino piange perché fino a domenica non si fa il Mojito. Pestati Hasta la Muerte.

Gli Hardcore Tamburo ti ipnotizzano, ma per fortuna non ci sono bancomat e risparmi per svuotarti il conto. Ti chiedono solo un po'd'affetto, che arriva puntuale tra lo stordimento da stomp stirato stiloso con stile nel tempo.

In scaletta c'è Crono che tu non sai più se chiamare Tyler, e quando lo vedi lo abbracci e ridi, perché l'ora è tarda ed anche i giri al bancone e gli avvitamenti sono importanti come sul più grande degli ottovolanti.

Come al solito si passa al Torcida. Ah no, si chiama Deezer, e stavolta non ci metti dischi tu, ma le buone vibrazioni non cercano profili Facebook chiamati Immensamente Giulia per radunarli in un falò, ma hanno nomi che non conosci e che segni sul programma per approfondire a casa. Peccato non avere più 16 anni e un evidenziatore sempre in tasca.

Nel frattempo c'è chi disegna e chi il mangiar non disdegna. C'è chi s'appresta all'after e chi cerca la sua Gretel, e le navette che partono per Lodi trascinano ubriaconi verso ben diversi lidi. Un'Heineken davanti al tribunale di Milano mentre a fianco a te, in macchina, un ragazzo dell'altro si trasforma in personal bidet. E non è un'igienista mentale. Ed è subito sera, perché mentre nell'appartamento dove dormi arrivano in sequenza le più disparate figure professionali, dal pompiere all'idraulico, passando per muratori e piccoli proprietari, nel tempo d'un hamburger sei di nuovo all'idroscalo.

Honeybird & the Birdies sul palco si fanno perdonare quel timbro 'supponente' che in disco non amavi, ma è il tempo più importante: è il tempo degli Amari. L'atmosfera è quella di "Notte prima degli esami", ma il politologo Vaporidis, per fortuna, non c'entra un cazzo: sembra il pezzo di Venditti con il suo s'accendono le luci qui sul palco, ma quanti amici intorno, che viene voglia di cantare. C'è Milano, c'è tantissimo Veneto e c'è Friuli, Puglia e tutte le componenti di una sottospecie di famiglia allargata rom che nessun razzista vorrebbe lapidare. E poi si canta, da Kilometri a Grand Master Mogol and back, ma senza i Savage Garden. Pelle d'oca percepibile, in quel momento in cui noi 'nonni' in prima fila abbiam capelli grigi che diventano un'altra tinta in mezzo alle altre.

Per fortuna oggi l'arcobaleno è solo a altezza uomo, o ad altezza palco, colorato dalle note dei Selton e pure, da come mi viene narrato, in collinetta dove Miss Chain & The Broken Hills spettinano il pubblico. Dannato ridondante topos dell'ubiquità.

Tutto pronto per Dargen e i suoi guest sul palco, dalla backing band composta da due Fratelli Calafuria ad Andrea Nardinocchi, solo per fare qualche nome. Mentre gesticoli per una "Prendi per mano D'Amico" che non arriva, la tua vicina canta gli 883 che del pop al Mi Ami son la deriva. Ed è tutto meraviglioso. Packt like sardines in a crushd tin box, ma la scatola ha la forma di un cuore. E mentre ripensi ai blitz per vedere Dumbo Gets Mad o Jennifer Gentle passi il tempo tra le bancarelle, o di là delle tavole a chiacchierare e sciabolare tra Unhip e Garrincha, fino a quando arrivano i saluti finali, con tutte le persone che hanno diviso con te due giorni molto intensi e con quelle che ancora non avevi visto. E anche se non ci sono i Modena City Ramblers arriva il bicchiere dell'addio. Geldof, al Mi Ami, sguazzerebbe, tra una bibita e uno sfottò alle mode, e un sorriso sottopalco.

Ti perdi la domenica, e con essa Patty Pravo, Appino, His Clancyness, Giovanardi (quello buono, non "quello lì") e Cosmo, ma c'è un'altra parte d'Italia che chiama. Chissà di non ritrovarvi, tutti, nella Foresta di Sherwood nei prossimi giorni. In un mese ce la facciamo.

Mi Ami, Ti Amo. Ancora, anche se non è inverno.

 
 

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