Uno dei piĆ¹ intensi documenti morali della nostra epoca

ReadBabyRead #131 del 27 giugno 2013

Vercors: "Il silenzio del mare" (3/3)

28 Giugno 2013


Vercors

Il silenzio del mare (parte 3 di 3)


per info su F. Ventimiglia e C. Tesser:

Lettura e altri crimini
iTunes podcast

Legge: Franco Ventimiglia


Le silence de la mer

1. «Noi i solitari, noi i muti»

Quando nel 1940 i tedeschi occuparono la Francia, furono molti gli scrittori che scelsero di  tacere come forma di protesta nei confronti del nemico.
All’epoca Vercors si chiamava Jean Bruller e non aveva pubblicato altro che alcuni album di disegni satirici, ispirati a un humour noir profondamente scettico e disimpegnato. In un primo momento, anche lui ritenne opportuno reagire all’invasione con il più rigoroso silenzio creativo. Ma per poco. Quasi subito ebbe l’idea geniale che fece di lui il maggior simbolo della resistenza  
attiva e trasformò per sempre il disegnatore Bruller nello scrittore Vercors: in luogo di tacere sterilmente, parlare attraverso il silenzio. Come? Raccontando la storia di una parola rifiutata.
Le trecentocinquanta copie di quel libretto di 96 pagine stampato e diffuso clandestinamente sotto pseudonimo suonarono come un imperioso richiamo morale all’azione. Il successo fu inaudito.  
Fatto tradurre da De Gaulle, venne paracadutato sull’Inghilterra perché servisse ai soldati d’incitamento. La gente si interrogava sull’identità del misterioso autore, Maurice Schumann dai microfoni di Radio Londra gli lanciava appelli perché si facesse conoscere. Per poter continuare a parlare, Vercors rimase invece nell’ombra.
Fu quella la scelta di un destino, la rinuncia definitiva alla propria identità. Quando, finita la guerra, il mistero fu svelato, Vercors si era ormai lasciato dietro l’ex disegnatore Bruller come un altro da sé. Non vi fece più ritorno, e continuò a essere sino alla morte, nel giugno del 1991, lo scrittore dell’ombra, eroe del silenzio.
Scrisse molti altri libri dopo il primo, nel corso della vita, una quarantina. Ma per i più rimase autore di quello solo, il suo capolavoro e anche, per certi versi, la sua prigione. Con gli anni, divenne infatti per lui un assillo l’aver legato se stesso a un simbolo.
Vissuto sempre a Parigi, dov’era nato il 26 febbraio del 1902, nell’età avanzata era andato ad abitare in uno strano alloggio, piccolo e affacciato sulla via, nell’Île de la Cité. A entrarci, si provava una impressione un po’ opprimente: il soffitto era basso, le pareti scure come quelle di  
un’antica tipografia. E tutt’intorno, in quella stanza dov’egli riceveva e che pareva un negozio, erano appesi dei quadri: un Monet, un Sisley, un Pissarro, due Braque, due Picasso, un Léger.  
Vercors lasciava che ci si sorprendesse e solo dopo un po’ spiegava: quelle tele erano copie, da lui eseguite applicando alla pittura a olio la tecnica della serigrafia. «Callicromie», le chiamava, per la stupenda resa dei colori riprodotti in acrilico. Erano cosi perfette che una volta Picasso, posto di fronte a una dozzina di copie di una sua vecchia «chitarra cubista» tra le quali si  
nascondeva il quadro originale, esitò a lungo fino a spazientirsi, prima di ritrovare il vero tra i falsi.
Vercors visse così gli ultimi anni della sua vita, fingendo di giocare con il pensiero dell’identità perduta, ma assai tristemente in realtà. Lo diceva senza fatica, a chi andava a trovarlo per chiedergli ancora di quel passato lontano, del Silenzio del mare, della Resistenza. Spiegava come non fosse la morte a fargli paura, ora che vicino ai novant’anni vi era molto prossimo, bensì il  
suo contrario, l’immortalità. Già l’aveva provata in parte da vivo, diceva, «l’idea di esservi condannato questa volta eternamente, sarebbe insopportabile, spaventosa». Pativa di essere stato dimenticato come persona, era sicuro che la massa della gente lo ritenesse già morto da molto tempo, come provava il fatto che mai veniva invitato a una trasmissione televisiva. Un record in negativo: due volte sole in più di trent’anni. Chi sapeva ancora che era stato lui, nel '42, a fondare le sempre feconde e celeberrime Editions de Minuit ? Quelle che in seguito pubblicarono Beckett, i nouveaux romanciers, Marguerite Duras...
Era spessa la veste di malinconia in cui si era avvolto. Ma era poi facile convincerlo a raccontare: di Jean Bruller, com’era andata, la casa editrice. La voce era pacata, stanca. Parlando però, negli occhi tornava a brillargli la piccola vanità dell’uomo che da giovane era stato bello, persino un po’ troppo, a scapito per un certo periodo dell’intelligenza.

2. Le armi del silenzio

Il silenzio del mare è la storia di una resistenza privata alla forma più pericolosa di occupazione, quella subdola travestita da collaborazione. Lo zio e la nipote sanno opporre con tenacia il rifiuto della più piccola parola, nonostante l’ufficiale Werner von Ebrennac sia gentile e colto. Ed è nella  
loro capacità di intransigenza, nello sforzo sovrumano per non scendere a patti con alcuna concessione ai sentimenti, il nodo centrale della narrazione.
Vi si legge in trasparenza il biasimo per chi si lascia sedurre dall’apparenza, per quella Francia che cede alle lusinghe del nemico credendo alle sue profferte ignobili di falsa amicizia, volte a un tradimento mille volte più feroce.
Il racconto è scandito in otto tempi. Brevi e descrittivi i primi sette, che sono come il percorso in lungo e in largo della superficie, del mare «tetto tranquillo» secondo la definizione di Valéry.  
Sette parti rese con stile secco e rapido, a frasi brevi e incalzanti.
L’ultima parte, l’ottava, è più estesa. Rappresenta da sola un terzo della lunghezza complessiva, ed è l’immersione in profondità. Lo scandaglio che va a sondare nei tumulti sottostanti la finta quiete.
Dopo la prima diffusione del Silenzio del mare, mentre trecentocinquanta lettori si chiedevano ammirati e incuriositi chi mai avesse potuto - «con il piede straniero sopra il cuore» - osare tanto, una seconda tiratura di quasi cinque volte superiore veniva realizzata.
Il generale De Gaulle, letto il libro, ne chiedeva una «consegna» immediata in Inghilterra per i francesi che lo avevano seguito dopo il 18 giugno. E lo faceva poi tradurre in inglese [Put out the light, Mac Millan, London 1944), perché le due versioni su carta leggera da volantini fossero paracadutate con gli aerei, nuovo potente appello alla resistenza.
Diffondendosi la fama, divenuto ormai Vercors un simbolo, nel corso dello stesso 1944 il libro venne tradotto anche in spagnolo {El silencio de Francia, Ed. Ayacucho, Buenos Aires), in olandese (De Stìlte derzee, de Bezige bij, Utrecht) e, sorprendentemente, in persiano (a cura di H. Chahid-Nouraì, Société des Ed. Sehamì, Teheran). Nel '45 usciva poi la prima edizione italiana Einaudi a cura di Natalia Ginzburg, mentre per la prima edizione tedesca si dovette attendere il '48 (Das Schweigen des Meeres, Verlagsbuchhandlung Prometheus, Lahr im Schwarzwald).
Dal 1951, anno in cui il libro passò alla casa editrice Albin Michel, si sono susseguite traduzioni in decine di lingue.
Molta fortuna ha avuto l’adattamento cinematografico del libro realizzato da Jean-Pierre Melville (1947, interpreti: Nicole Stéphane, Howard Vernon nella parte dell’ufficiale, e J.-M. Robain). E una versione per il teatro, a cura dello stesso Vercors, venne messa in scena il 22 febbraio 1949 al Théàtre Edouard VII per la regia di Jean Mercure, con buon successo di pubblico (interpreti:  
Christiane Barry, Pierre Blanchar nel ruolo di Werner von Ebrennac, e Constant Rémy).

Gabriella Bosco


Le Musiche, scelte da Claudio Tesser

The Group for Contemporary Music, String Quartet (1979) [Morton Feldman]
The National, Racing Like A Pro (The National)
The National, Ada (The National)
The National, Gospel (The National)

 
 

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Howard Vernon in una scena del film "Le silence de la mer" (1947) di Jean-Pierre Melville, tratto dall'omonimo racconto di Vercors.

 
 

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