Studio per uno spettacolo presidenziale fa sorridere di continuo lasciando però la bocca ingolfata di amarissimi lampascioni

Report - Ascanio Celestini - Discorsi alla Nazione

Rivolta PVC, Marghera (Ve) - Venerdì 8 Febbraio 2013

12 Febbraio 2013

Ragionar per metafore è un mestiere rivelatore. Si tratta di traslocare un significato da un significante ad un altro, diverso e parallelo, e come per incanto tutto diviene limpido come un laghetto senza fango, chiaro come un cielo sempre blu. È questa un'arte propria dei poeti e dei teatranti, di filosofi e narratori. Man mano che il senso originale si allontana della parola che abitava, pare inspiegabilmente avvicinarci ad una verità più antica e dimenticata. Ascanio Celestini, però, è un teatrante nel quale sarebbe comodo non imbattersi mai: tu credi di vedere, arriva lui, ti accende la luce e ti ritrovi nel buio più profondo e inconsolabile.

Discorsi alla nazione: studio per uno spettacolo presidenziale”, andato in scena lo scorso venerdì al Rivolta PVC di Marghera, è un allestimento in fieri, ossia ancora in lavorazione (uno studio, appunto), scrittura in scena, che fa sorridere di continuo lasciando però la bocca ingolfata di amarissimi lampascioni.

Lo spettacolo si articola in una successione di discorsi che vari tiranni pronunciano in libertà dal podio davanti ai loro sudditi/elettori. C'è il dittatore capitalista, quello razzista, il socialdemocratico e così via. Scopo del gioco: conquistare il consenso, utile non tanto a governare, che i tiranni governavano già prima e governeranno anche dopo, ma a celebrare l'irreversibilità della propria dittatura. E questo alternarsi di arringhe superbe pian piano prende la foggia di una picaresca avventura: quella del capitalismo alla conquista dei nostri culi addormentati. Il voto dei cittadini allora non è più un esercizio democratico, ma la busta paga del dominato, lo zucchero per addolcire l'inaccessibilità del potere. Tutto molto marxista.

Nelle trasfigurazioni di Celestini i tiranni non hanno neppure più bisogno di vestire i panni del politico, ma spadroneggiano sfacciatamente, irrisoriamente, ghignano e sfottono. Noi spettatori ridiamo e sprofondiamo, ci ripariamo sotto le scarpe dell'uomo con l'ombrello, la posizione ideale per non bagnarsi, ma anche per raccogliere briciole e mozziconi di cicca, e sporcarsi di merda quando il tiranno defeca. D'altronde la gravità è una forza di natura, mica la si può invertire.

Se una speranza rimane è quella del gramsciano ottimismo della volontà, ma un popolo satollo difficilmente interromperà lo spettacolo della tirannia per trovarsi rivoluzionato ed affamato. E così ogni reazione viene inglobata, diventa un vezzo del mondo padronale, una smorfia buffa, un wine bar benedetto dal Che là dove prima sorgeva un Centro Sociale Occupato.

Celestini può non anche non piacere, con la sua insistita cadenza retorica, schiavo com'è dell'anafora almeno quanto il sottoscritto lo è di ossimori ed endiadi, però ci restituisce fedelmente il punto di vista di una sinistra che sotto sotto disprezza la propria ideologia passata e ora si trova incapace di guardare al futuro.
Si conferma comunque un narratore sopraffino, capace di plasmare storie e immagini nelle nostre menti col solo uso dell'arte retorica e recitativa, addolcendoci con parole rassicuranti, spiazzandoci con paradossi, dilaniandoci con iperboli grottesche, così sinistramente familiari.

Lo spettacolo sarà completo solo in aprile, ma il messaggio appare già strutturato, crudele e maligno.

 
 

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