I Cranchi : "Volevamo uccidere il re"

Folk rock padano, nostalgico e carico di storie di vita

29 Gennaio 2013

I Cranchi, band padana composta dal mantovano Massimiliano Cranchi, voce e chitarra acustica, e dai rodigini Marco Degli Esposti (chitarra elettrica, fisarmonica, pianoforte e banjo), Simone Castaldelli (basso e cori) e Federico Maio (batteria, percussioni e cori), arrivano all’opera seconda dopo “Caramelle Cinesi”, album del 2011, che viaggiava tra le regole del cuore in storie mitiche e storiche (Marco Polo, Ulisse, Il filo di Arianna) o dentro gli smottamenti interiori di più anonima e comune esperienza.

Si ripresentano con un progetto che si dimostra chiaro, impegnato ed equilibrato, coerente con il precedente nelle scelte musicali che sono per un malinconico e caldo folk rock con radici americane e padre putativo in Francesco De Gregori, ma che vira fortemente nei temi delle liriche, questa volta tutte o quasi concentrate sulle gesta anarchiche e sul tema della libertà, e di chi, per essa, s’è sacrificato con gesti disperati, estremi, spesso individuali, per tentare comunque, anche di fronte al fallimento e alla morte, di spostare di un grado almeno il rigido asse del potere e di deviare il corso degli eventi.

Volevamo uccidere il re” apre con “Cecilia” (Francesca Amati seconda voce), un romantico saluto a quei sentimenti personali, privati, che regolavano i discorsi precedenti e che decisamente non bastano più, schiacciati dall’urgenza di sopravvivere, dietro questa lunga emergenza fatta ormai sistema, senza progetti che facciano nemmeno sognare, coi tempi della politica dettati ormai per tutti dagli indici economici e da quel nuovo demone e re chiamato spread, spostati e distanti anni luce da quella felicità collettiva che gli americani rivendicavano anche nella costituzione e che noi più modesti avevamo chiamato, nella nostra, garanzia per i più deboli, in un vergognosamente disatteso articolo tre.

Con “La Primavera di Neda” i Cranchi cominciano loro personale rivoluzione civile, il cambio di registro è copernicano, il fraseggio drammatico, il refrain bello e forte, l’assurda emblematica morte di una ragazza, Neda (Voce in persiano) diventata il simbolo mondiale troppo presto dimenticato della rivoluzione verde in Iran, di una condizione femminile mondiale che non sembra avere possibilità neanche nei paesi occidentali che vorrebbero esportare una democrazia fortemente imperfetta, con l’Italia che nel 2012 ha finalmente riconosciuto un fenomeno sottaciuto da sempre, il femminicidio.

I riferimenti nel testo riguardano anche il sacrificio di Jan Palach nel gennaio 1969 e quello incerto e oscuro del ragazzo che fermò i carrarmati cinesi diretti a Piazza Tien An Men. “Poteva essere fine Giugno od il sedici gennaio / Quel fuoco non si spegne a colpi di mortaio… / Neda, verrà di sicuro primavera anche qua / Al sicuro tu lo sei già…

Puntuale ed emozionante è la storia del cuoco salernitano Giovanni Passannante, autore del primo attentato, fallito, alla figura di Umberto I°, reso poi pazzo dalle disumane condizioni in cui fu costretto in galera sull’Isola d’Elba, tema del brano “Il cuoco anarchico”. All’attentato seguirono manifestazioni e repressioni in tutta Italia, fino a costringere il paese natale dell’anarchico a cambiar nome, da Salvia a Savoia di Lucania. Pascoli scrisse un’Ode a Passannante che poi distrusse, si ricorda la frase “con la berretta da cuoco faremo una bandiera”. Il corpo fu decapitato e il cervello studiato negli istituti di criminologia, e solo nel 2007 è stato ricomposto nel cimitero del paese natio, dopo le proteste di tanti artisti tra cui Erri De Luca, Marco Travaglio e Dario Fo. L’efficace ritornello è la frase gridata da Giovanni nel tentativo di accoltellare il sovrano, “Morte al re! Evviva la Repubblica Universale!”

“Gaetano” è il Bresci, anarchico che riuscì dove il Passannante aveva fallito, a colpi di pistola, sull’onda di indignazione seguita alla repressione sanguinosa di Bava Beccaris sulla folla durante la “Protesta degli Stomaci”, nella Milano del 1898, che aveva causato più di cento vittime, e per la quale il generale aveva ricevuto persino decorazioni e onori. L’anarchico fu poi “suicidato” in cella, a Ventotene. “Dicono che sono un assassino, è vero / Dicono che dentro le conchiglie si sente il mare / e che un anarchico per forza debba sempre fallire / Ma fosse stato l'ultimo, / fosse stato l'ultimo / avreste detto / Gaetano hai fatto bene…”

Per Hobsbawm, quello de “Il secolo breve”, i briganti sono “banditi sociali, fuorilegge contadini trattati dallo stato come criminali, ma che rimangono all'interno della società contadina, e sono considerati eroi, campioni, vendicatori, combattenti per la giustizia, forse anche leader della liberazione, in ogni caso uomini da ammirare, aiutare e sostenere. Questa relazione tra il contadino ordinario e il ribelle, fuorilegge e rapinatore è ciò che rende il banditismo sociale interessante e significativo, uno dei fenomeni sociali più universali noti alla storia”.

Di Giuseppe Musolino narra “Il brigante Robin Hood”, bandito per necessità dopo un processo che lo aveva visto condannato per assassinio pur avendo dimostrato le false testimonianze dei suoi accusatori. Sarà una evasione di vendetta quella che lo porterà a cinque omicidi e quasi tre anni di latitanza che gli valsero fama internazionale.

Un dolce ballata, che tanto deve al maestro De Gregori, è quella che descrive “Il ritorno di Maddalena” e la sua scelta di dimorare sulle rive del Giordano e di non seguire i discepoli nella predicazione della Parola di Dio che le aveva sottratto lo sposo.

Ho lasciato il tuo amore” è un omaggio delicato e rispettoso dei maestri dichiarati, il già citato Francesco e, nel ritornello esplicita citazione, Fabrizio De André.

Chiude l’album la bella “Anni di piombo”: “Volevamo uccidere il re perché capissero che era solo il primo / volevamo combattere un concetto per vedere se moriva come un contadino. / Volevamo crocifiggere Maria perché l'unica a non aver pianto / volevamo colpire il suo Dio per vedere come sanguinava un santo…

Chi cerca innovazione come se lì fosse la chiave del futuro può anche restare indifferente alle scelte stilistiche dei Cranchi, chi invece aspetta nuova linfa nella canzone d’autore impegnata avrà molto da gustare in questo bell’album, pregno di sentimenti e idee, nostalgico e ben suonato, pieno di storie di vita, storie di uomini coraggiosi, di chi non si è piegato alla legge del più forte, perché aspira ancora a un mondo migliore. Morte al Re!!! Evviva la Repubblica Universale!

 
 

Tratto da:
www.bielle.org

 
 
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