Intervista a Livio Pepino, autore del libro "Non solo un treno"

La democrazia alla prova della Val Susa

11 Dicembre 2012

In occasione del dibattito su "Resistenza No TAV e repressione", a partire dalla presentazione del suo libro "Non solo un treno... la democrazia alla prova della Val Susa", organizzato a Trento lo scorso 15 novembre dal Coord. trentino No TAV, abbiamo intervistato l'ex magistrato Livio Pepino.

Livio Pepino dal 2006 al 2010 è stato membro del Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autogoverno dei giudici. In passato ha ricoperto i ruoli di consigliere di Cassazione, sostituto procuratore generale a Torino e presidente di Magistratura Democratica.
E' direttore di Questione Giustizia (Franco Angeli), rivista bimestrale promossa da Magistratura Democratica e co-direttore di Narcomafie (Gruppo Abele Editore), mensile "redatto in stretta collaborazione con Libera". E' co-direttore scientifico di Diritto, immigrazione e cittadinanza (Franco Angeli), rivista trimestrale promossa da Asgi e da Magistratura Democratica.

Perché avete scelto un titolo che giá insinua che dietro questa vicenda ci sia molto di piú della costruzione di un'opera legata al trasporto?
La nostra convinzione é che la vicenda della Val Susa sia una vicenda esemplare di una storia piú ampia di ció che sta succedendo nel Paese. É un microcosmo in cui si vede sia in positivo, ossia una crescita di rapporti,di cultura, di autodeterminazione, di democrazia; sia in negativo cioé nei termini di risposta inadeguati della politica che finiscono per rendere una grande questione che interessa tutti, che é una questione sociale, politica ed economica in una questione di ordine pubblico. Questo ci sembra che sia uno sbaglio e abbiamo voluto portare un piccolo contributo nel cercare di svelare questa manovra e di aiutare a capire che sia forse tempo che la politica si riappropri di quelli che sono i suoi doveri e, come io credo, si renda conto che quest'opera non serve ritornando sui suoi passi, potendo riguadagnare credibilitá.

Lei ha avuto modo di esprimersi in diverse occasioni a proposito dell'inchiesta aperta a gennaio dalla procura di Torino. Citando le sue parole ha sottolineato "come l'intervento giudiziario si sia trasformato da mezzo di accertamento delle responsabilitá individuali a strumento di gestione dell'ordine pubblico". Ecco lei crede che questo sia un discorso che vale solo per le vicende che ruotano intorno al TAV o visti anche gli ultimi avvenimenti di questi ultimi giorni intorno alla giornata del 14 novembre coinvolge tutte le mobilitazioni sociali che si vedono in questo Paese?
É un problema complicato, ed é un problema che riguarda non solo la Val Susa, ma che riguarda tutti i momenti in cui ci sono delle tensioni sociali e dei conflitti sociali. All'interno dei conflitti sociali possono accadere anche episodi di violenza, o piú semplicemente accadono fatti che secondo il nostro codice penale, possa piacere o meno, sono dei reati. Io credo che se dei reati vengono commessi, il compito della magistratura sia quello di preseguirli; qui peró il ragionamento diventa delicato, perché ci sono diversi modi per perseguirli. Ed io nel mio intervento sopracitato ho proprio voluto mettere il dito su questo punto: compito dell'intervento giudiziario non é quello di garantire l'ordine pubblico, ma il suo compito é quello di accertare se ci sono stati o meno quei reati di cui parlavo prima.
Qui si pone il momento dell'interpretazione, io ho spesso segnalato di come storicamente intorno a vicende di grande conflittualitá si tenda a dilatare la responsabilitá individuale. Vuol dire che se una persona in un corteo commette un atto di resistenza, o un danneggiamento questa responsabilitá non si estende a quelli che stavano con lui in quel corteo, in quella manifestazione; a meno che anche loro abbiano compiuto dei gesti che hanno contribuito alla realizzazione di quel reato. Questo é il principio della responsabilitá individuale, a volte nei momenti di conflitto l'intervento giudiziario tende a dimenticare questo principio e ritengo che non sia una buona cosa né per la giurisdizione, né per il Paese complessivamente inteso.

La Val di Susa ha visto l'unione di tutti i paesi che ne fanno parte contro una societá organizzata che privilegia le banche, le grandi imprese e tutti gli interessi economici che ne conseguono. D'altra parte peró vediamo anche quanto la nostra politica non vuole rinunciare a questo progetto. Lei crede che non si voglia principalmente rinunciare a una posizione di mero potere?
Io credo che i problemi siano due, uno é un problema che riguarda specificatamente quest'opera che evidentemente é un opera sostenuta da una serie di processi economici che da una visione di uno sviluppo che ha certe caratteristiche e questo ´il motivo piú contingente. Alle spalle di questo, nel corso degli anni, é intervenuto anche qualcos'altro. In questa vicenda, e per questo abbiamo usato il titolo "Non solo un treno", sembrano essere venuti al pettine una serie di nodi che vanno ben al di la di quest'opera. Sembra che lo stato ci stia mettendo la faccia, che abbia un timore di aprire un dialogo con la Val di Susa perché cosí dimostrerebbe una sua debolezza e questo é uno degli errori fondamentali della politica. Credo che una politica intelligente e lungimirante debba guardare i problemi e se si si accorge che certe scelte sono state sbagliate debba avere la capacitá e l'intelligenza di modificarle e non di ribadirle solo per dimostrare la propria faccia forte. Questo non fa parte delle migliori tradizioni della politica.

Il 9 marzo 2012 il governo ha pubblicato sul proprio sito intituzionale un documento in cui ha motivato in quattordici ragioni perché sia giusto realizzare questa grande opera. A questo é stato risposto con un altro documento con quattordici punti per il no redatto da circa trecento tecnici indipendenti. La cosa che mi ha colpito é stato uno dei punti del sí, ovvero che il governo Monti afferma che questo progetto non riguarda un treno ad alta velocitá.
Questo é un paradosso. C'é un punto in cui i tecnici della Valsusa, rispondendo a un affermazione del governo dicono " non é vero che tra venti o trenta o quarant'anni ci sará un miglioramento dell'impatto amibientale, lo abbiamo giá visto in altre parti d'Europa." La risposta é stata:" Avreste ragione se fosse un treno ad alta velocitá. In realtá non lo é perché all'interno della galleria la velocitá del treno sono ridotte". Credo che ció induca piú o meno tutti a riflettere sul fatto che se é vero che neppure quel treno é un treno ad alta velocitá forse bisognerebbe avere l'umiltá di mettersi attorno a un tavolo e discutere seriamente di quelle che sono le necessitá e le esigenze della Valsusa e complessivamente del paese e provare a verificare la compatibilitá di queste esigenze con le scelte che fino ad oggi sono state adottate.

Perché secondo lei la vicenda del TAV riguarda tutto il paese e non é circoscritta soltanto a lotte territoriali?
Perché alla vicenda del TAV sono sottostati almeno tre problemi fondamentali. Uno, il tipo di sviluppo a cui vogliamo guardare e certamente le grandi opere implicano un tipo di sviluppo, mentre c'é una strada alternativa possibile. Secondo c'é una visione della democrazia della partecipazione, di come si vogliono coinvolgere i territori e le persone nelle decisioni che li interessano. Oggi riguarda la Valsusa ma domani puó riguardare il Trentino o qualunque altra regione o realtá italiana. Terzo é la considerazione di come i problemi irrisolti a livello politico rischiano di essere demandati in termini di pura gestione dell'ordine pubblico agli apparati di polizia e magistratura e in questo modo non si fanno passi avanti perché per definizione gli apparati non risolvono i problemi, affrontano alcune patologie ma non é loro compito quello di affrontare i problemi e buttando la soluzione dei problemi in un luogo improprio si fanno danni, non solo in Valsusa ma ovunque i problemi si manifestino.

 
 

Tratto da:
Globalproject.info

 
 
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