A Perfect day Festival - Domenica 2 Settembre - Live Report

Sigur Ros, Mark Lanegan Band e dEUS.

4 Settembre 2012

Sono le mura del Castello Scaligero di Villafranca (Vr) a fare da cornice all’”A Perfect Day Festival” che ha visto alternarsi sul palco, durante i tre giorni in cui si è svolto, davvero grandissimi nomi della scena indipendente internazionale.
Franz Ferdinand, Mogwai e Killers, tanto per fare dei nomi.
Non potendo assistere a tutte le tre le serate ho scelto quella di domenica, con gli islandesi Sigur Ros a farla da padroni.

Ma andiamo per ordine, perché il programma di questa serata non prevedeva solo loro, anche se è facile da intuire, la maggior parte della gente era qui principalmente per questo.

Al mio arrivo hanno appena finito di esibirsi Temper Trap di cui sento commenti positivi. Io invece sono molto curioso di assistere all’esibizione di dEUS.
La band di Tom Barman negli anni Novanta era una realtà davvero singolare. Di provenienza belga, proponevano un pop rock visionario e per i tempi assolutamente originale e innovativo. Non era il solo mescolarsi di generi ad attirare l’attenzione, ma il modo di proporle, il linguaggio e la solida sfrontatezza di chi non sa bene dove sta andando ma è contento così. Eliminati gli orpelli che facevano dei loro concerti delle vere e proprie imprese da portare a termine, si mostrano al pubblico di Verona nella loro veste più essenziale. A distanza di tanti anni fa un certo effetto ritrovarseli di fronte, anche perché sembrava che il loro percorso fosse arrivato a termine, e della line up originale, a parte Barman è rimasto ben poco. Va aggiunto poi che ciò che proponevano a inizi anni Novanta ha influenzato più band di quante se ne possano immaginare.
Il live è diretto e potente. Tutto molto essenziale, come dicevamo, e Tom Barman a farla da padrone. Memorabile l’esecuzione di “Quatre Mains” e “Fell Off The Floor, Man”. Attinge da tutto il repertorio, molto apprezzata dal pubblico anche l’esecuzione di “Instant Street” dall’album “The Ideal Crash” del 1999. Quello che avrebbe dovuto consacrarli al grande pubblico; fu al contrario un album che la critica non accolse bene, e questo si sa, condiziona non poco le fortune di questa o quella band. A quel tempo poi, determinava eccome.

Finale strepitoso non solo per l’esecuzione di "Suds & Soda" che ha raccolto grande entusiasmo, ma “Roses” non ce l’aspettavamo proprio. Applausi scroscianti.

Mezz’ora ed è tempo di Mark Lanegan Band.
Dimenticatevi il Lanegan introspettivo di “Field Songs”, o quello che collabora con i QOTSA. Meno che meno quello che duetta con Isobel Campbell. Qui è tutta un’altra cosa, la dimensione giusta per lui in questo momento. Un rock sempre più blue(s), un’atmosfera cupa ma allo stesso tempo potente e piena di energia. Ma che voce ha costui? Ti arriva dritta senza che ci si possa difendere in alcun modo. Un’ora secca di performance, suonata e cantata tutto di un fiato. Parte con “The Gravedigger’s Song”, “Sleep With Me e Hit the City”. Fantastica esecuzione di “Ode to sad disco”, la splendida cover di Mark Almond.
Finale che strappa applausi sempre più convinti con “Harborview Hospital” e “Methamphetamine Blues”, due cavalcate che ancora di più chiariscono perché è tanto amato, il nostro.

Sono le 22 e 15, forse qualcosa di più, e comincia il set più atteso, in una serata che fino a questo momento è già di per sé memorabile. Ma quando attaccano con “I Gaer“  è tutta un’altra musica.
Le atmosfere sono inconfondibili, le esecuzioni sono molto fedeli a quelle dei loro dischi, poco spazio per le improvvisazioni. E’ una musica che riempie, quella dei Sigur Ros.

Una band che ha saputo inventarsi un genere valorizzando le proprie caratteristiche. Era il 2000 che usciva “Aegatis Byron” e già da un primo ascolto si era intuito che si era di fronte a qualcosa di davvero unico. Noi che lo si trasmetteva per radio percepivamo e coglievamo lo stupore degli ascoltatori che poi cercavano in tutti i modi per saperne di più su di loro. Sono passati dieci anni e sono una delle realtà più solide del panorama continentale. Il loro live è davvero un’esperienza da vivere appieno. Si “lavorano” il pubblico offrendo loro i brani più rappresentativi della loro discografia, e lasciando i pezzi più ostici e più recenti per il gran finale. L’esatto contrario di ciò che si fa di solito. Li trascinano dalla loro parte per poi portarli ancora più in la, a esplorare territori sempre più lontani. Archi e fiati non sono un corpo estraneo, e questi manipolatori di suoni, sembrano quasi sfidare le loro chitarre, tirate quanto le corde vocali di Jonsi, che si dimostra avere un talento eccezionale.
Olsen Olsen” e “Festival” accolte da uno scrosciare di applausi da parte di un pubblico davvero estasiato, attento, emozionato.

Se si può muovere una critica, certamente ci si aspettava di più dalla parte visual, ma poi in fondo, a pensarci su, a cosa serve un’immagine con tutta questa musica?

 
 
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