ReadBabyRead #90 del 13 settembre 2012

Jean Giono: "L'uomo che piantava gli alberi"

13 Settembre 2012


Jean Giono

L’uomo che piantava gli alberi


per info su Franco Ventimiglia e Claudio Tesser:



www.letturaealtricrimini.it



Legge: Franco Ventimiglia


L'uomo che piantava gli alberi

Schivo, generoso, radicato come una pianta tenace alla terra della sua Provenza (di cui amava le luci e i profumi, i paesaggi e i sapori speziati), ma romanticamente assorto nel documentare e sognare le sue origini italiane, più esattamente piemontesi, Jean Giono ci appare innanzitutto come un inclassificabile, come una di quelle figure cui la storia letteraria stenta a trovare la casella giusta, la formula che possa semplificare una complessità e una ricchezza straordinarie. Refrattario ai giochi della società letteraria parigina, si recò per la prima volta nella capitale a trentaquattro anni, per firmare le copie destinate al servizio stampa di Collina, il romanzo che gli diede la notorietà. Nell'assumere posizioni e nel sostenere idee, poi, Giono non mancò mai di considerare i problemi secondo un'angolazione originale, e questo gli valse, come vedremo, le condanne più contraddittorie, pronunciate magari da schieramenti opposti. Succede sempre così, pare, agli spiriti veramente indipendenti.
Il nostro autore nacque a Manosque, nel 1895, da una stiratrice e da un calzolaio. Il nonno, Pietro Antonio Giono, poi Jean-Baptiste, è la figura dai contorni leggendari cui lo scrittore si sarebbe ispirato, negli anni della maturità artistica, per i romanzi componenti il “ciclo dell'ussaro”. Partendo da un fondo di verità, Giono voleva il suo progenitore «piemontese, carbonaro e ufficiale», costretto a lasciare l'Italia per la Francia in quanto «condannato a morte in contumacia per aver cospirato contro le vigliaccherie della sua epoca».
A sedici anni, causa la malattia del padre, Jean dovette interrompere gli studi ed impiegarsi in banca, sempre a Manosque. Ma grazie a una serie di solide letture (la Bibbia, Omero, Kipling), incoraggiate dalla pur modesta famiglia, aveva fatto in tempo a formarsi una cultura e una sensibilità letteraria. Partecipò al primo conflitto mondiale («soldato di seconda classe senza croce di guerra») e fu ferito a Verdun. Nel 1924 pubblicò una raccolta di versi, Accompagnés de la flute [Accompagnati dal flauto], e lavorò nel 1927 alla stesura del suo primo libro in prosa, La menzogna di Ulisse, che sarebbe uscito nel 1930 e che conteneva una trasposizione dell' Odissea nel presente. Lo stesso lirismo mediterraneo e pagano si ritrova nella cosiddetta "trilogia di Pan", costituita dai romanzi Collina (1929), Uno di Baumugnes (1929) e Regain (1930). In questo trittico epico-narrativo, lo scrittore celebra il legame cosmico e viscerale dei contadini provenzali con la Natura; una Natura che, nei suoi aspetti più ostili come in quelli familiari e idilliaci, è comunque una forza misteriosa, i cui segni non possono essere interpretati da tutti. Le influenze di Virgilio, Whitman, Melville e Ramuz sono assimilate e superate in uno stile autentico, nuovo, lontano dalle astrazioni della letteratura colta; un linguaggio in cui la prosa poetica si fonde sapientemente con il parlato popolare.
Grazie al successo di Collina, Giono poté dedicarsi interamente alla letteratura. Nel 1931 uscì Le Grand troupeau [Il grande gregge], in cui il reduce di Verdun evocava l'orrore della guerra di trincea. Con Il canto del mondo (1934) e Que ma joie demeure, 1935 [Che la mia gioia resti], il tema del ritorno alla natura assumeva il tono della predicazione. A proposito del primo, una storia di avventure simbolicamente ambientata lungo il corso di un fiume, l'autore dichiarò di aver voluto scrivere «un libro con montagne inviolate, con terra, foresta, neve e uomini inviolati. Ci sono tutte queste cose. Sono individui sani, onesti, forti, duri, puri, fedeli. Vivono la loro avventura. Solo loro conoscono le gioie e la tristezza del mondo». In Que ma joie demeure, il richiamo alla natura come fonte della vita apriva ad un altro tema, la ricerca della felicità, che sarebbe sempre stato caro a Giono. L'autore, così, oltre a dedicarsi regolarmente alla pratica quotidiana della scrittura, oltre a concedersi passeggiate per la campagna e lunghe conversazioni con i contadini (da un simile spunto narrativo, del resto, prende avvio anche la storia dell' Uomo che piantava gli alberi), iniziava a vedere intorno a sé dei discepoli, che si riunivano in una fattoria abbandonata a Contadour, in alta Provenza, per ascoltare il suo messaggio pacifista e per imparare da lui Les vraies richesses, 1936 [Le vere ricchezze]: quelle che nascono dalla terra e dal suo lavoro. La sottomissione all'ordine naturale del mondo costituisce per l'individuo la libertà, incompatibile con la civiltà moderna e con l'intruppamento che questa presuppone.
Un simile impegno, che trovò espressione letteraria in una serie di saggi (Présentation de Pan, 1930 [Presentazione di Pan], Refus d'obéissance, 1937 [Rifiuto dell'ubbedienza]; Lettre aux paysans sur la pauvreté et sur la paix, 1938 [Lettera ai contadini sulla povertà e sulla pace]), avrebbe portato Giono a conoscere il carcere, nel 1939 (anno di mobilitazione generale), con l'accusa di propaganda antimilitarista. Né la Liberazione riservò all'autore sorti migliori: i comunisti francesi non lo vedevano di buon occhio, per avere aderito a un comitato di scrittori guidato dal surrealista Breton e di ispirazione trotzkista. Inoltre, il suo ideale del ritorno alla terra e della rinascita provinciale poteva apparire, secondo un
giudizio distorto, come un implicito assenso alla dottrina ufficiale del regime di Vichy. La Resistenza, infine, gli rimproverava collaborazioni a riviste compromesse con i tedeschi. Così Giono, che durante l'occupazione aveva dato rifugio a due cugini comunisti, ad alcuni ebrei e a un disertore ricercato dalla Gestapo, fu accusato di collaborazionismo e subì, a partire dal settembre '44, una nuova prigionia e il divieto di pubblicare.
Nella forzata solitudine lo scrittore si dedicò alla lettura di Ariosto e di Stendhal. Questo alimento spirituale gli fornì la forza per progettare un grande ciclo di "cronache", in cui finalmente potesse incarnarsi come personaggio la leggendaria figura del nonno: ecco che nasceva Angelo Pardi, il giovane colonnello degli ussari animato dalla passione risorgimentale, generoso e audace, orgoglioso ma non scevro di colorazioni ironiche. Accanto a lui, l'autore poneva l'incantevole Pauline de Théus, e dava vita a una serie di romanzi le cui trame sono legate fra loro, anche se l'ordine cronologico di stesura e pubblicazione risulta sfalsato rispetto all'intreccio stesso: Mort d'un personnage, 1949 [Morte di un personaggio], il celeberrimo Ussaro sul tetto (1951), La pazza gioia (1957), Angelo (1958). Dal racconto picaresco (si pensi, nell' Ussaro, alle lunghe, abbacinanti pagine in cui Angelo attraversa una Provenza devastata dal colera) alla storia d'amore, dall'avventura di cappa e spada al romanzo storico (nella Pazza gioia Angelo partecipa ai moti italiani del '48): vari generi narrativi sono accolti nel fiume di questo stile nuovo, di questo linguaggio ormai spoglio del lirismo che distingueva le prime opere, e capace, pur nel fluire torrenziale del racconto, di esibire il sottinteso, l'espressione secca e straniante.
Giono scrisse ancora molto, prima di spegnersi nel 1970 a Manosque, nella casa in cui era sempre vissuto con la moglie Elise e le due figlie. Merita però di essere ricordato il Viaggio in Italia (1953), in cui il tema (quanto stendhaliano!) della ricerca della felicità si esprime nell'arte di godere ogni attimo, ogni luce o profumo o silenzio dell'aria, ogni chiesa romanica e ogni stradina di campagna: «Non bisogna disdegnare nulla. La felicità è una ricerca. Occorre impegnarvi l'esperienza e la propria immaginazione». È qui, in queste parole, il senso più profondo di un percorso intrapreso per visitare la terra d'origine dei suoi antenati e di Machiavelli, a cui il nostro autore dedicò alcuni saggi.
Giono, dunque, morì a settantacinque anni, senza che mai la società letteraria francese gli avesse perdonato la sua originalità e il caparbio attaccamento alla sua terra (con due sole eccezioni: l'ammissione all'Accademia Goncourt, nel 1954, e soprattutto la stima di André Gide). Fra i tanti modi di ricordarlo adesso, forse, il migliore è scoprire questa storia dell' Uomo che piantava gli alberi. Vi si ritrovano, nello spazio di un breve racconto, tutti i temi che furono cari allo scrittore: il pacifismo, nel paragone implicito fra le giovani vite mietute a Verdun e i giovani alberi seminati dal pastore Elzéard Bouffier; l'attaccamento alla vita e il ritorno alla natura; la ricerca della felicità, anche collettiva e comunitaria (lo si vede nella rinascita morale, oltre che ambientale e topografica, del villaggio di Vergons); l'apprezzamento per un lavoro onesto, silenzioso e solitario, per una fatica generosa e libera, per uno sforzo tenace che lascia traccia, e che l'inquadramento in qualsiasi ufficialità rischierebbe di vanificare. I risultati di questo lavoro fanno pensare che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirabile, poiché da essa può nascere un'opera degna di Dio. Ma ritroviamo, in queste pagine, anche l'immagine dello scrittore che amava passeggiare in solitudine per le colline, fermandosi a parlare con la gente del posto; lo scrittore che da bambino camminava insieme al padre con le tasche piene di ghiande e un bastone per poterle piantare... Vogliamo spingerci fino a dire che, in questo piccolo libro, Giono ha prestato qualche tratto di sé anche a Elzéard Bouffier, il pastore che passa la sua vita seminando querce, faggi e betulle, senz'altra ricompensa che il piacere e la soddisfazione di averlo fatto?

Leopoldo Carra


Le Musiche, scelte da Claudio Tesser

Broken Social Scene, Weddings (Broken Social Scene)
Broken Social Scene, Ambulance (Broken Social Scene)
Broken Social Scene, Da Da Da Da (Broken Social Scene)
Broken Social Scene, Lover's spit (Broken Social Scene feat. Leslie Feist)

 
 

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una foto di Jean Giono

 
 

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