"Quasi adatti a raccontare agli altri i propri cazzi"

Tre Allegri Ragazzi Morti Live Report

Mercoledì 4 Luglio - Sherwood Festival 2012

6 Luglio 2012

Live Report: Tre Allegri Ragazzi Morti

Era il 1994, e quattro perfetti archetipi di nerd americano cantavano, in un disco indimenticabile, che “the world has turned and left me here”. Il mondo è cambiato, non è più quello che vedevo e volevo, e mi ha lasciato qui, frastornato in mezzo al nulla.

La prima parte del concerto è finita, e Davide Toffolo annuncia che i Tre Allegri Ragazzi Morti suoneranno ancora, dal vivo, altre tre canzoni. Attacca lui, chitarra in mano e voce sicura come sempre, mentre Enrico Molteni, Andrea Maglia e Luca Masseroni scendono per un attimo nel backstage. “Anni spesi a preparare / un futuro da manuale / senza sapere che / sta arrivando la tempesta”. Pochi accordi, meno parole ancora. Fa davvero sorridere scorrere con lo sguardo la folla oceanica assiepata sotto il main stage e, beato sincretismo, ripensare nel contempo alla stringata descrizione di un noto giornale locale, che liquidava l’evento con un “hard rock nostrano dal 1994” troppo stupido per essere vero. Ancora 1994, la morte di Kurt Cobain, la discesa in campo di Berlusconi, chi c’era ne parla già come di un’epoca storica. In diciott’anni la musica dei Tre Allegri Ragazzi Morti ha scelto, pur potendolo fare, di non diventare maggiorenne, di mutare nella forma (il viaggio “nella musica meravigliosa chiamata reggae” del penultimo “Primitivi Dal Futuro, per esempio) ma non nella sostanza. E così Toffolo intrattiene, schitarra, batte le mani, alza le braccia al cielo: da una sua penna immaginaria – mentre un’altra penna, quella illustre di Zerocalcare, cattura l’essenza della sinestesia e disegna ciò che sente – si dipana un microcosmo perfettamente chiuso in sé stesso e governato da leggi inviolabili, da piccole grandi storie insensibili allo scorrere del tempo e al metamorfizzarsi delle generazioni.

Per chi se lo stesse chiedendo: no, sentire suonare queste canzoni oggi non è più una sorpresa, sebbene ogni brano possa considerarsi anthem e ogni anthem un angolo del cuore di un qualsiasi qualcuno fu adolescente (ed ogni adolescenza coincide con la guerra, come cantano da tempo in Ogni Adolescenza, altro pezzo che rimpolpa il bis). E sì, aldilà dei gusti personali, il progetto della Tempesta come si è pienamente concretizzato nell’arco dell’ultimo lustro pianta le radici ben più in fondo. Non saremo mai come voi, siamo diversi, lo slogan dell’iniziale Mai Come Voi, giustamente elevato a simbolo e summa di un’intera carriera e di un intero modus vivendi, parla da sé. E tutto si può dire, dei Tre Allegri Ragazzi Morti, tranne che pecchino di incoerenza: il concerto dello Sherwood è un vero e proprio monumento alla coesione. Particolarmente evidente la giuntura quando il vecchio repertorio si unisce, armoniosamente, con i “nuovi” brani, schegge di un discorso che ha deciso di variare le sfumature ma non la tinta di base: Puoi Dirlo A Tutti sembra la revisione di Come Mi Vuoi – inevitabile che venissero suonate entrambe… –, La faccia della luna è solare nella nuance e amarissima nel concreto, Codalunga un piccolo schizzo letterario reso in maniera più affilata rispetto al disco.

Saranno anche demodé – anche nella durata complessiva del concerto: solo un’ora e un quarto! – ma i Tre Allegri Ragazzi Morti, che lo facciano con la musica o con l’arte visuale, continuano ancora a parlarci da vicino, come vecchi amici che si rivedono ciclicamente ed ogni volta è un piacere dividerci assieme una birra. Sognando, ingenuamente, la libertà, fuori da ogni schema convenzionale, come una meravigliosa resa di Voglio imprime a fondo nel profondo di ogni singolo spettatore.

 
 

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