Solo tre album, ed è già leggenda.

Portishead Live Report

Martedì 26 Giugno - Villafranca (Verona)

27 Giugno 2012

Sono bastati tre album per consacrare all'Olimpo della musica internazionale il progetto dell'ex Massive Attack Geoff Barrow, il chitarrista Adrian Utley e la strepitosa Beth Gibbons con la sua voce unica. Non è possibile definirli con un genere perché ne hanno creato uno proprio, che è sì ricco di sfumature che ovviamente provengono da artisti che li hanno ispirati, ma che è unico.
Le poco più di tremila persone presenti nello splendido scenario delle mura del castello di Villafranca si aspettano qualcosa di unico, di memorabile. Quattro anni di attesa dall'ultima volta che sono venuti in Italia, quindi figuriamoci le aspettative di chi è arrivato qui, che in realtà è messo a dura prova dalla performance del gruppo spalla, i Thoughts Forms, davvero ostici. Magari non per chi vi scrive, che band di questo tipo ne ha viste tante e infatti non ci ha trovato uno straccio originale di idea, e per di più eseguita in maniera arruffata. Si può giocare con il post rock e il punk, ma bisogna saperlo fare.
Quando sono da poco passate le 21 e 15 si capisce che è arrivato il momento tanto atteso. Si illumina l'enorme schermo che sarà uno dei protagonisti della serata, catalizzando l'attenzione degli astanti, essendo non un qualcosa in più, ma una componente essenziale della performance.
Vengono proiettate immagini sia prodotte ad hoc che quelle che arrivano direttamente dalle web cam poste sugli strumenti e sparse qui e li per il palco. Una suggestione in più che rende chi ascolta e osserva, ancora più parte integrante del viaggio in cui ci conducono i tre Portishead e gli abilissimi musicisti che li accompagnano. Si parte con “Silence”. Questo come molti dei brani eseguiti sono dell'album Third, l'ultimo, che risale al 2008. “Machine Gun”, che arriva più o meno a metà concerto, presenta un suono industriale di batteria, metallico. Scorrono immagini frenetiche in cui appaiono momenti salienti dell'ultima stagione politica italiana, condita con la parata del rigore di Buffon all'Inghilterra. E non manca la caduta di Berlusconi. Tutto molto asettico, senza giudizio alcuno. Strepitosa “Threads” dove il muro sonoro va a esaltare la voce di Beth Gibbons. Tutto è sempre portato al limite; i suoni, i volumi, a tratti paiono quasi insostenibili, come un treno ad alta velocità che sta per deragliare, ma poi la voce della Gibbons riesce sempre a riportare tutto questo “frastuono” a una conclusione che appare quasi logica, ma che lascia poi spazio a mille interpretazioni. E' evidente la ricerca continua non solo di suoni e soluzioni, ma anche di una volontà di rendere quel suono che li contraddistingue come se si lasciasse sempre aperta una possibilità. E' un suono di frontiera, ma senza steccati che possano precludere qualcosa di ancora più sorprendente. E colpisce che stiamo parlando di una band cha all'attivo ha solo tre album in studio.
I classici come “Glory Box” e “Roads” sono eseguiti alla perfezione. E “Wondering Stars” offre un' interpretazione intensa con un duetto basso voce accompagnato da distorsioni di chitarra.
Altri brani eseguiti sono stati “Mysterons”, “The Rip”, “Sour Times”, “Magic Doors”, “Over”, “Cowboys”e “Chase the Tear”, l'unica che non compare in nessuno dei tre album studio, composta nel 2011 per Amnesty International.
Roads” è il primo bis, “We Carry On” il gran finale, con la Gibbons che scende a stringere le mani al pubblico assiepato alla transenne. Finisce così, con lei che riguadagna il palco mentre una cavalcata che sembra non finire mai si interrompe bruscamente. Questa volta è finita davvero.
Ma rimane tanto.

 
 
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