Il Pan del Diavolo Live Report

Mercoledì 20 Giugno - Sherwood Festival 2012

21 Giugno 2012

Live Report: Il Pan del Diavolo

Sapete qual è la differenza tra essere svegli e dormire? Una voce. La voce di Alessandro Alosi, a voler essere onesti. Uno che, se fosse nato in un paese scandinavo a caso sopra la Danimarca e sotto l’Islanda, si sarebbe pitturato la faccia di simboli pagani, andando a vandalizzare chiese e cimiteri cristiani. Per fortuna è nato in Sicilia – basta vederlo, lo si riconosce al primo colpo, prima ancora che l’accento palermitano faccia capolino – e ai nullafacenti black metal preferisce gli urlatori italiani. Fuori i manuali di filologia: chi si ricorda di Clem Sacco? chi ha un debole per i Blackmen? chi non potrebbe stare senza i Corvi? chi? chi? chi?
Per Il Pan del Diavolo, di forma quattro, di sostanza due, rispolveriamo l’abusatissima formula “sono in pochi ma sembrano un esercito”. Tre, quattro accordi, qualche assolo elettrico piazzato in mezzo quasi per dimenticanza, lenti stritolati in un mare di ruvidità, batterie e grancasse che sono bombe nel cuore pronte ad esplodere, sei, dodici, centocinquanta corde da accordare e riaccordare dopo ogni pezzo tale la foga nel violentarle. E poi, dicevamo, la voce.
La velocità è il senso della vita, il senso della vita è la velocità. In un’ora e un quarto di strepiti e rustiche pulsioni folk, mai un calo, mai un’incertezza: tant’è che quando arriva l’ultima corsa le orecchie sanguinano, nemmeno che sul Second Stage abbiano appena suonato i Motorpsycho. Il Pan del Diavolo si lascia dietro piombo, polvere e carbone, indugiando sulle sfumature del secondo, recente disco, che alterna sciabolate di concretezza esemplare (“Dolce Far Niente” è già quasi un anthem) ad impolverate torcide morriconiane (“Elettrica”) a pause arpeggiate e sature di tensione (“Vento Fortissimo”), e concedendo gli estratti migliori di “Sono All’Osso”, la fucilata che nel 2010 li impose all’attenzione dell’Italia musicale. Sono all’osso sì, Il Pan del Diavolo, e meno male: chissà cosa salterebbe fuori con qualcosa in più. Quando partono i ghirigori di “Pertanto” si alza un’ovazione che cresce e batte, batte con la potenza selvaggia delle ritmica estenuante de “Il Boom”, si scioglie per un istante – solo un istante – in “Africa” e torna a martellare, in un inestricabile maelstrom sonoro che dona al blues e al rock’n’roll sembianze luciferine, in “Farà Cadere Lei”.
Hai capito i picciotti della Vucciria. Danze sfrenate e hats off.

 
 

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