Intervista a Giulio Casale

Le canzoni nuovi di Giulio Casale per il suo grande ritorno dopo una parentesi importante a teatro

16 Aprile 2012

“Dalla parte del torto” è il nuovo disco di Giulio Casale. Un disco lucido e chiaro, spontaneo e forte. Le canzoni non strabordano in orpelli e ornamenti sonori inutili ma si lasciano bastare nella loro semplicità arrivando a destinazione per bellezza insita e per struttura solida nella mani di un grande musicista e cantante e nelle parole, nell’arte del teatro e nel confronto umano di un buon ragazzo.

Le tue passioni che partono dalla musica e poi incontrano il teatro, la poesia e la letteratura in che modo ti hanno fatto crescere come artista e come musicista per arrivare a questo disco che sembra contenerle tutte?

Non saprei come dirlo, certo è che ognuna delle mie passioni (leggi: cose su cui ho patito) lascia il suo segno, dentro di me, e mi pare che sia così per tutti, no? Siamo come alberi: siamo sempre noi, fermi su noi stessi, sulle nostre ferite originarie, però ogni anno che passa il nostro tronco fa un giro in più, si allarga, contiene un poco di vita in più. Forse non ci ho messo un anno a scrivere questo disco, forse è il frutto di tutto questo tempo speso a scrivere e a sperimentarmi, soprattutto in scena. Ma è così per tutti in fondo, sempre.

Come costruisci la tua forma canzone? Ti capita di raffrontarla a quella di altri?

Certo che mi capita … Poi non mi paragono, mai … Però m’interessa il bilico che si crea tra sentimento e concetto, tra emozione pura (specie musicale) e idea sottesa alla narrazione, al testo della canzone. Amo la forma-canzone, la sua sintesi, direi spietata: certe volte mi basta una strofa e un inciso, se commoventi abbastanza (per me), è chiaro …

Quando hai pubblicato i testi tradotti di Jeff Buckley hai affrontato il suo mondo da vicino. Come lo ricordi e se hai trovato punti vicini al tuo ritratto emotivo...

Solo emotivo, direi. Lui è un tale musicista, a tutto tondo … C’è un tratto di fragilità in Buckley e di capacità di mettersi in “risonanza” con la fragilità del mondo e di ogni essere umano che certamente mi è molto caro, mi pare di comprenderlo appieno. Ma sono sensazioni, sai, vibrazioni musicali su cui proietti dei tuoi bisogni, o sogni. Mai pensato di somigliargli … Luigi Tenco lo “sento” anche di più, se è per quello, ma io sono soltanto io … Solo uno che scrive, e poi che si sputtana, in scena.

"Dalla parte del torto" ha come sempre forza ed eleganza. Non hai mai avuto bisogno di creare frasi d'effetto perché volgari. Come sei riuscito a rimanere sempre nel tuo aplomb?

Perché detesto la volgarità, persino nel rock, nessun dito medio (fosse puro rivolto a quelli che anch’io considero avversari ideali) mi ha mai visto partecipare. La mia lotta è molto più silenziosa, da sempre, ma non per questo meno tenace: è solo 20 anni che rifiuto la logica del potere, non solo in politica ma anche nella cultura, anche nella musica – leggera?

Entrando nel merito delle canzoni. Hai la parte elettrica e la parte acustica del tuo approccio e le dividi ad inizio e fine disco. Vogliono essere i tuoi punti cardini?

Sono due modalità che mi sono congeniali, semplicemente, ma non volevo che questo fosse un disco prettamente cantautorale, perciò ho messo in risalto in prima battuta la band che ha suonato su disco e poi la mia parte più intima, la mia amata Martin, acustica. Ci sono solo tre chitarre acustiche in 50 minuti di musica, comunque …

In "La mistificazione" prevale il tuo approccio classico. Quelle canzoni che rimangono vive e attuali anche dopo anni. Da questo testo estrapoli anche il titolo del disco. Ci sarà sempre qualcuno dalla parte del torto?

Spero di sì, il dissenso rispetto al “main – stream” è sempre stato prezioso nella storia dell’uomo. Pensa solo al nazi-fascismo … Se non ci fossero stati uomini in grado di percepire la barbarie della quasi totalità di una nazione, o di due, tre (anchela Russia…)

"Apritemi" è la parte del disco che mi ha colpito subito al primo ascolto. Apritemi è già una parola che chiede aiuto o comprensione e l'emozione che dai quando la pronunci amplifica il suo significato...

Quel pezzo ha un grosso potere, su di me (ride …) Misterioso, per come mi è arrivato, un giorno che non avevo tanta musica, dentro. Mi pare che alla fine restituisca il senso di tanta solitudine, tante solitudini cui manca la voce per dirsi la più semplice delle verità esistenziali: accettami, e non chiedermi di rinunciare a me per farmi accettare – da te, e anche da tutto questo imbroglio che chiamiamo “vita sociale”.

Rimanendo convinta che le tue passioni sono vive e attive su questo disco, ho trovato la parte più teatrale del disco in "Fine". Com'è nata?

Dal rock and roll, dalla difficoltà di dire qualcosa di “sensato” su un groove che tira alla danza e al “live”, quasi scatenati. Ho sentito un rock-party nella stanza mentre la suonavo e poi ho sentito aria di fine, già di fine festa, fine della storia … C’era una coppia nella mia testa anche, e forse oggi quella coppia non sta più insieme, non ci sono riusciti nonostante l’amore, è finita anche “quella” storia, come tante altre storie di noi, siamo capaci di tutto, cioè quasi di niente di vero, alla fine.

La malinconia del passato invece è tutta in "Magic Shop." Quanto ha viaggiato questa canzone?

30 anni, dentro di me. Ho molta memoria, in effetti, ma le stesse cose assumono significati diversi in diversi punti del tuo cammino. Ci siamo venduti tutto (oh yes), e però Battiato resta uno dei pochi maestri tuttora in attività, e aggiungo in ricerca.

Allargando i tuoi confini compositivi consueti, ti sei ritrovato "La Merce" tra le dita. Com’è nata?

In realtà di pezzi su quella falsariga ne ho sempre avuti molti, con gli Estra mi capitava di continuo, per dire. Qui m’interessava spezzare (si fa per dire) la scaletta del disco, inserire un quasi strumentale. Non sai che emozione registrarlo, tutti insieme dal vivo nella stessa stanza, su vari strumenti, compreso l’harmonium, quello vero.

Diversi ospiti hanno arricchito i particolari musicali delle canzoni. Come sono entrati?

Con Giovanni Ferrario abbiamo pensato al gusto e al talento richiesto per ognuna delle tracce del disco. Giovanni è ormai molto saggio, molto più di me (ride …)

Dove e come è stato registrato l'album?

Nello studio di una vecchia cascina lombarda, all’inizio del Val Trompia (Brescia). Marco Tagliola e Gio (Ferrario) hanno una rodata sintonia su modi e tempi di lavoro, tutto è stato fluido e serrato al tempo stesso. Ambienti diversi e diversi microfoni a disposizione con grandi potenzialità, qualcosa è rimasto impresso – mi pare.

Come presenterai il disco dal vivo?

Con una doppia tournée, teatrale e rock (anche nei festival, spero anche a Sherwood, se m’invitano … ride). La stessa band con lo stesso suono a giocarsi due campionati completamente diversi: una sfida esaltante, che non vinceremo, mai …

A cosa stai lavorando tra le tue passioni?

A un altro progetto discografico, ma non ditelo ai miei collaboratori (ride …)

Per avere il disco cosa bisogna fare?

Acquistarlo … No?(Self distribuzione per ordinarlo, oppure on line: I-Tunes, NdA)

http://www.novunque.it/giulio_casale.html

Francesca Ognibene

 
 
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