I mali della scuola italiana secondo la professoressa-scrittrice torinese

Togliamo il disturbo - Paola Mastrocola

Guanda, 2011

14 Ottobre 2011

Recensione

Togliamo il disturbo, l’ultimo libro di Paola Mastrocola (Guanda 2011) da alcune settimane in testa alle classifiche di vendita, prosegue l’analisi dei grandi e piccoli problemi della scuola italiana a cui l’autrice, da venti anni insegnante di lettere in un liceo torinese, aveva cominciato a dedicarsi con il più agile e graffiante La scuola raccontata al mio cane (Guanda 2004).

In quest’ultimo Togliamo il disturbo la professoressa torinese alza il tiro. Almeno nelle intenzioni, l’obiettivo stavolta è un saggio completo, composto di tre parti: la prima dedicata alla propria esperienza personale di docente, che ha i tratti di un vero e proprio sfogo; la seconda in cui viene tentata un’analisi storica del problema dell’insegnamento in Italia; la terza, infine, dedicata alla proposta di un modello alternativo per la scuola italiana. La prima parte del saggio, certo la più gustosa, è una specie di “diario di bordo” di una docente di lettere negli anni di “Amici”, degli smartphone e dei pantaloni a vita bassa. La Mastrocola si sfoga con i lettori e afferma che, quando spiega o assegna i compiti in classe, ha la netta impressione di “disturbare” i propri studenti, nella cui vita la scuola è sempre più qualcosa di estraneo. Occupa gran parte delle loro giornate ma è completamente slegata dalle loro vite, e non riesce quasi mai a suscitarne l’interesse. Il risultato, per la Mastrocola, è che la frustrazione degli insegnanti si somma a quella degli studenti, che la didattica scade di anno in anno e che la scuola italiana perde terreno rispetto a quella degli altri Paesi sviluppati (si vedano i risultati del test INVALSI, piuttosto sconfortanti per l’Italia).

Se questa disamina è per larghi tratti condivisibile, quando, nella seconda parte, l’autrice propone la propria analisi delle cause che hanno portato alla situazione attuale, il discorso si fa più scivoloso. Secondo Paola Mastrocola i problemi della scuola italiana sono in gran parte eredità del Sessantotto, e in particolare di due libri che io considero ancora fondamentali come le Lettere a una professoressa di Don Milani e La grammatica della fantasia di Gianni Rodari. Nel capitolo "Milanismo e rodarismo" l’autrice attacca l’antinozionismo ed il pedagogismo libertario che trovano qui voce e che la sua generazione ha largamente condiviso: secondo lei sono loro i responsabili dell’onda lunga di permissivismo che ha portato i suoi studenti di oggi alla situazione descritta nella prima parte. Non una parola, o quasi, sulle riforme e sui tagli che almeno da 15 anni sono, loro sì, causa diretta della dismissione della scuola pubblica in Italia: bah!

La terza e ultima parte del saggio, infine, avanza una proposta di soluzione al problema della scuola italiana: permettere alla maggior parte degli studenti di non studiare, e creare per loro una c-school (communicative school), dove potersi dedicare a internet, Twitter e alla pratica delle nuove forme di comunicazione, e mantenere una k-school (knowledge school) per quelli, pochi, che hanno ancora voglia di studiare. La Mastrocola azzarda anche delle cifre. Se oggi chi ha voglia di studiare è circa il 10% degli alunni, si può arrivare, al massimo, al 30%: questi saranno i destinatari della formazione d’élite, e agli altri resterebbero solo le briciole. L’autrice a un certo punto descrive anche le famiglie da cui questi pupilli presumibilmente provengono, con tratti involontariamente caricaturali: famiglie in cui si mangia senza guardare la TV, in cui si legge parecchio, le vacanze si fanno in baita in montagna e non si frequentano i centri commerciali… Manca solo che siano abbonati a Repubblica e il sabato sera guardino tutti insieme Che tempo che fa. Ma guai a dire che la proposta della Mastrocola è classista: infatti questo duplice modello, che propone addirittura un “liceo leonardesco” che tiene insieme classico e scientifico per i migliori e la c-school per gli altri, va semplicemente incontro alle “inclinazioni” diverse degli studenti, che del resto avranno probabilmente più successo nella vita senza greco, latino e geometria, quindi perché lamentarsi? Da qui il sottotitolo del libro: Saggio sulla libertà di non studiare.

Ci sarebbero a questo punto molte cose da aggiungere, ad esempio che Daniel Pennac racconta sempre di essere stato un pessimo studente e di essere stato salvato solo dalla testardaggine di alcuni professori, i quali quindi non sono tenuti a rispecchiare, ma piuttosto a contribuire a costruire le “inclinazioni” degli studenti… L’impressione fondamentale che ho avuto di Togliamo il disturbo è che sia un testo piuttosto reazionario, e in vari sensi: prima di tutto perché non tiene conto delle condizioni materiali in cui si trova la scuola italiana, affermando che l’insegnamento è qualcosa di “metafisico, spirituale” e non tenendo conto che con insegnanti che guadagnano 1200 euro al mese, con classi di 30 alunni e senza fondi per la didattica di sostegno è un po’ difficile costruire una scuola di qualità. Ma è anche la concezione del sapere che si rispecchia nel libro e che ad un certo punto viene anche esplicitata ad essere, per me, discutibile: per l’autrice la cultura è “utile in se stessa”, qualcosa di inutile dal punto di vista pratico e dunque i più possono rinunciarvi senza remore, tanto nel mondo di oggi avranno anche più chance di successo economico e felicità rispetto a chi ha studiato in un “liceo leonardesco”. Mi spiace per l’autrice, ma la cultura non è mai qualcosa di utile in se stessa, il sapere serve, sempre, a prendere posizione nel mondo: questa è la lezione fondamentale di Michel Foucault e io, che non sono certo nostalgico del ’68, ci credo ancora.

 
 

Titolo: Togliamo il disturbo. Saggio sulla liberta’ di non studiare
Autore: Paola Mastrocola
Editore: Guanda
Collana: Narratori della Fenice
Anno: 2011
Pagine: 271
Prezzo: 17 €

 
 
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