Recensione
Togliamo il disturbo, l’ultimo libro di Paola Mastrocola (Guanda 2011) da alcune settimane in testa alle classifiche di vendita, prosegue l’analisi dei grandi e piccoli problemi della scuola italiana a cui l’autrice, da venti anni insegnante di lettere in un liceo torinese, aveva cominciato a dedicarsi con il più agile e graffiante La scuola raccontata al mio cane (Guanda 2004).
In quest’ultimo Togliamo il disturbo la professoressa torinese alza il tiro. Almeno nelle intenzioni, l’obiettivo stavolta è un saggio completo, composto di tre parti: la prima dedicata alla propria esperienza personale di docente, che ha i tratti di un vero e proprio sfogo; la seconda in cui viene tentata un’analisi storica del problema dell’insegnamento in Italia; la terza, infine, dedicata alla proposta di un modello alternativo per la scuola italiana. La prima parte del saggio, certo la più gustosa, è una specie di “diario di bordo” di una docente di lettere negli anni di “Amici”, degli smartphone e dei pantaloni a vita bassa. La Mastrocola si sfoga con i lettori e afferma che, quando spiega o assegna i compiti in classe, ha la netta impressione di “disturbare” i propri studenti, nella cui vita la scuola è sempre più qualcosa di estraneo. Occupa gran parte delle loro giornate ma è completamente slegata dalle loro vite, e non riesce quasi mai a suscitarne l’interesse. Il risultato, per la Mastrocola, è che la frustrazione degli insegnanti si somma a quella degli studenti, che la didattica scade di anno in anno e che la scuola italiana perde terreno rispetto a quella degli altri Paesi sviluppati (si vedano i risultati del test INVALSI, piuttosto sconfortanti per l’Italia).
Se questa disamina è per larghi tratti condivisibile, quando, nella seconda parte, l’autrice propone la propria analisi delle cause che hanno portato alla situazione attuale, il discorso si fa più scivoloso. Secondo Paola Mastrocola i problemi della scuola italiana sono in gran parte eredità del Sessantotto, e in particolare di due libri che io considero ancora fondamentali come le Lettere a una professoressa di Don Milani e La grammatica della fantasia di Gianni Rodari. Nel capitolo "Milanismo e rodarismo" l’autrice attacca l’antinozionismo ed il pedagogismo libertario che trovano qui voce e che la sua generazione ha largamente condiviso: secondo lei sono loro i responsabili dell’onda lunga di permissivismo che ha portato i suoi studenti di oggi alla situazione descritta nella prima parte. Non una parola, o quasi, sulle riforme e sui tagli che almeno da 15 anni sono, loro sì, causa diretta della dismissione della scuola pubblica in Italia: bah!
La terza e ultima parte del saggio, infine, avanza una proposta di soluzione al problema della scuola italiana: permettere alla maggior parte degli studenti di non studiare, e creare per loro una c-school (communicative school), dove potersi dedicare a internet, Twitter e alla pratica delle nuove forme di comunicazione, e mantenere una k-school (knowledge school) per quelli, pochi, che hanno ancora voglia di studiare. La Mastrocola azzarda anche delle cifre. Se oggi chi ha voglia di studiare è circa il 10% degli alunni, si può arrivare, al massimo, al 30%: questi saranno i destinatari della formazione d’élite, e agli altri resterebbero solo le briciole. L’autrice a un certo punto descrive anche le famiglie da cui questi pupilli presumibilmente provengono, con tratti involontariamente caricaturali: famiglie in cui si mangia senza guardare la TV, in cui si legge parecchio, le vacanze si fanno in baita in montagna e non si frequentano i centri commerciali… Manca solo che siano abbonati a Repubblica e il sabato sera guardino tutti insieme Che tempo che fa. Ma guai a dire che la proposta della Mastrocola è classista: infatti questo duplice modello, che propone addirittura un “liceo leonardesco” che tiene insieme classico e scientifico per i migliori e la c-school per gli altri, va semplicemente incontro alle “inclinazioni” diverse degli studenti, che del resto avranno probabilmente più successo nella vita senza greco, latino e geometria, quindi perché lamentarsi? Da qui il sottotitolo del libro: Saggio sulla libertà di non studiare.
Ci sarebbero a questo punto molte cose da aggiungere, ad esempio che Daniel Pennac racconta sempre di essere stato un pessimo studente e di essere stato salvato solo dalla testardaggine di alcuni professori, i quali quindi non sono tenuti a rispecchiare, ma piuttosto a contribuire a costruire le “inclinazioni” degli studenti… L’impressione fondamentale che ho avuto di Togliamo il disturbo è che sia un testo piuttosto reazionario, e in vari sensi: prima di tutto perché non tiene conto delle condizioni materiali in cui si trova la scuola italiana, affermando che l’insegnamento è qualcosa di “metafisico, spirituale” e non tenendo conto che con insegnanti che guadagnano 1200 euro al mese, con classi di 30 alunni e senza fondi per la didattica di sostegno è un po’ difficile costruire una scuola di qualità. Ma è anche la concezione del sapere che si rispecchia nel libro e che ad un certo punto viene anche esplicitata ad essere, per me, discutibile: per l’autrice la cultura è “utile in se stessa”, qualcosa di inutile dal punto di vista pratico e dunque i più possono rinunciarvi senza remore, tanto nel mondo di oggi avranno anche più chance di successo economico e felicità rispetto a chi ha studiato in un “liceo leonardesco”. Mi spiace per l’autrice, ma la cultura non è mai qualcosa di utile in se stessa, il sapere serve, sempre, a prendere posizione nel mondo: questa è la lezione fondamentale di Michel Foucault e io, che non sono certo nostalgico del ’68, ci credo ancora.
Titolo: Togliamo il disturbo. Saggio sulla liberta’ di non studiare
Autore: Paola Mastrocola
Editore: Guanda
Collana: Narratori della Fenice
Anno: 2011
Pagine: 271
Prezzo: 17 €