Un racconto burlesque

Sei validi motivi per litigare il giorno dopo con la propria ragazza

13 Febbraio 2012

È vero, ogni pubblico è diverso e anche se tutte le serate che ripetiamo durante questa fottuta turnè in giro per l’Europa sono uguali, la prima regola della ballerina di burlesque è: non guardare mai il pubblico, mai. Mentre stai volteggiando flessuosamente sopra i tacchi da sedici, PENSA alla disgustosa colazione italiana briosce e cappuccini, RIMPIANGI le uova e il bacon e la maionese, maledici gli amplessi notturni urlati nei sogni di Amber Topaz e la direttrice dello spettacolo addetta alla suddivisione delle stanze d’albergo che ogni volta m’assegna la doppia con Amber e poi la mattina dopo mi manda in sala trucco-pesante lamentandosi delle mie occhiaie, pensa addirittura al tuo primo matrimonio, pensa al tuo primo divorzio, MA NON GUARDARE IL PUBBLICO. Per carità, Slinky. Non guardarlo.
Chè poi… non è che sia veramente la regola di una ballerina di burlesque… è la mia regola. Ma pensarlo mi fa sentire più professionale. Così mi tranquillizzo, emetto un sospiro profondo e quando Catherine urlerà il mio nome sarò pronta a entrare in scena, verso la poltroncina ricamata di velluto al centro del palco. E lì, le mie mani inizieranno a sbottonare con la dovuta sensualità un bottoncino dopo l’altro, e la mia testa fino a quel momento china verso terra, come a voler simulare una sorta di malizioso imbarazzo, si solleverà piano, al ritmo di un blues lento.  Oh my God quanto mi manca il bacon, oh Danny Boy com’è potuta finire tra noi.

Non capisco proprio come possa essere ancora così terrorizzata dal palco.” Dice Juliette scuotendo la testa.
È  solo una ragazzina, lasciala stare.
E poi hai visto quant’è dimagrita? Non sembra neanche una di noi…
Juliette! Smettila! Lo sai benissimo che quando si muove è un angelo, sei solo invidiosa. E secondo me è ancora per quella vecchia storia…
Il volto di Juliette ora è cupo. Lancia uno sguardo alla giarrettiera rossa che pende dall’appendiabiti. Tra poco la indosserà, per poi slacciarla un laccio alla volta dieci minuti più tardi, e se sorriderà al suo pubblico – guardando in faccia uno ad uno, “perché non li ho mai visti prima ne mai li rivedrò”, sostiene lei – sarà perché avrà già dimenticato quel momento e quel pensiero, balenato poco prima  nel camerino. Cioè ora, mentre guarda la giarrettiera. “L’avvento dell’elastico ti ha reso un mero indumento di piacere, da mettere e togliere in un istante. Ed io, adesso, mi sento come una vecchia giarrettiera abbandonata.”
Ti brucia ancora eh? È per… Brian?
Smettila tu, adesso, Catherine!
Okay, okay, stai calma, dai. L’esibizione di Slinky è quasi finita, tra poco tocca a te, preparati… vado ad annunciarti.
Juliette si alza, prende i guanti e le piume di struzzo e si avvia verso il palco. Catherine la precede, e tra sé e sé pensa: “Non dev’essere facile per una primadonna farsi fregare in un colpo solo l’uomo e l’ouverture.”

Quando torna dietro le quinte, sente già il pubblico ridere: Juliette è la quint’essenza del burlesque. Juliette non si toglie il suo abitino da infermiera pensando di compiere in quel momento il gesto più sensuale del mondo. Ma corre, salta, balla e nel frattempo si spoglia, sorride, fa smorfie. Infine, mostra il sedere al pubblico dopo essersi assestata una bella pacca sulla natica sinistra.  Quello è il suo modo per vendicarsi del mondo, della vita e…di Brian.

Non c’è una volta, dico una sola volta, che io riesca a trovare i copri-capezzoli prima delle altre. E – dico – siamo in cinque nel nostro pezzo – e nel calcolo delle probabilità ci potrebbe anche stare che si ripeta sempre lo stesso evento per più volte. Ma qui invece è proprio matematico, è una scienza perfetta, IO e solo IO, sempre, l’unica che deve correre e inseguire le altre mentre si dirigono verso il palco, applicandomi sui capezzoli i miei piccoli coni d’argento, sulla cui punta pendono due pon pon rossi. Alla fine del nostro spogliarello, quando i nostri seni saranno nudi, li faremo girare in senso orario muovendo il busto. Noi balliamo insieme, siamo quasi sincronizzate. E dico quasi perché se lo facessimo in maniera precisa, non sarebbe mica Burlesque…

Catherine torna sul palco dopo l’esibizione di ballo ‘quasi’ sincronizzato. È il pezzo che le piace meno dell’intera serata, per questo ogni volta nasconde i copri capezzoli di Selene in posti sempre diversi del camerino: questa sera, ad esempio, li ha nascosti in bagno, sul lavandino, nel piccolo bicchiere dello spazzolino. Catherine adora quella sensazione di smarrimento che si dipinge sul volto di Selene quando le dice: “Il pezzo di Juliette sta per finire, vado ad annunciarvi.”
Catherine non è cattiva. Anche lei, da giovane, ha iniziato ballando all’interno di un gruppo di cinque, e prima che le lasciassero il palco ne ha dovuta fare di gavetta. Ma loro… continuano così da anni. A loro non interessa ritagliarsi uno spazio personale, agli occhi di Catherine non hanno ambizioni. Per questo, le odia. E già sta pensando a dove nascondere i copricazzoli domani, quando saranno a Bologna.

Mi chiamo Jonathan Fettuccini, e sono l’unico uomo dell’ensemble. E lo dico subito perché ci tengo a precisarlo: non è una posizione invidiabile come molti credono. Quando gli amici mi battono la mano sulla spalla, e poi mi fanno l’occhiolino, ecco io penso: non hai capito un cazzo, amico mio. Io sono un artista, sono lì per fare il mio show. Entro con passo felpato sul palco, accompagnato da un swing di Django Reinhardt, vestito di tutto punto, sembro un business man londinese. Gioco un po’ con l’ombrello e il cappello, li faccio volteggiare per aria, poi prendo dei libri appoggiati su un tavolo e li lancio per aria e li riprendo come fossero birilli. Perché è vero, per me i libri sono birilli: non li ho mai letti, li ho sempre presi e scaraventati contro il muro. Quando ho imparato a lanciarli in aria piuttosto che contro un muro, e poi anche a riprenderli un attimo prima che toccassero il suolo, bè… è stato lì che ho capito di poter diventare un artista di strada. Così ho abbandonato l’università e ho iniziato a lavorare sull’idea di giocare con i libri. Prima di lanciarli li faccio passare dappertutto, dietro la schiena, sotto le gambe. E poi li riprendo, sempre dietro la schiena, sotto le gambe. Ma non è questo che interessa al mio pubblico di burlesque. Io, Jonathan Fettuccini, sono diventato una star nel momento in cui ho preso in mano un monociclo. Avete presente quell’aggeggio composto solo da una ruota e un sediolino sopra la ruota? Bene.
Io ci salgo sopra, ondeggio con le anche a tempo di musica e quando sento il suono del sassofono, lentamente, inizio a sbottonarmi la camicia. Le donne vanno in delirio quando capiscono che, da lì a poco, sarò completamente nudo, sopra un monociclo. Ed è lì mentre sono in alto e sotto di me si estende il teatro, proprio in quel momento, sì, lì dove nessuno può venire a rompermi i coglioni, che finalmente ho il tempo per pensare ai fatti miei.
Ieri sera, my pussycat, t’ho vista strana. Anzi, ora che ci penso – qui, sopra il monociclo – è già da parecchi mesi che sei strana. Quando avrai finito il tuo pezzo, t’aspetterò in camerino con un mazzo di fiori – quelli che lasciano davanti alla porta i tuoi fans-sfigati-brufolosi-del-cazzo, e le dirò: amami, anche se ormai sai che sono un gran bugiardo.

Gypsy Rose! Gypsy Rose!
Catherine sa che Gypsi non può sentirla.
Muoviti, tra poco tocca a te!”.
Non può sentirla perché è già immersa nei palloncini. Gypsi si spoglia facendoli scoppiare uno ad uno con la punta di una piuma di struzzo nera. Ma, come al solito, Catherine dovrà cercarla, prenderle la mano e condurla sul palco, lentamente perché se anche uno solo dei palloncini di cui è rivestita per tutto il corpo scoppiasse prima della sua esibizione, Gypsi cadrebbe in un profondo stato d’agitazione vedendo una piccola parte di pelle scoperta, per poi sprofondare in tormentato stato depressivo logorroico. E l’ultima volta che è successo, Catherine la ricorda bene: ha iniziato a urlare “È tutto da rifare! È tutto da rifare! Il mio spettacolo è un fallimento! La mia vita è stata tutto un fallimento!
Poi, all’improvviso, si è chinata sulle ginocchia e tutti i palloncini sono scoppiati all’unisono e contemporaneamente al suo pianto. Urlava il nome di Jimmy Durante, questo Catherine lo ricordava bene.
Catherine sa che tra le ragazze del suo gruppo, molte soffrono d’amore. E Catherine sa qual è la verità.
Ma adesso, non è tempo per pensare. 

Lady & Gentleman, and now… the warm-blooded... Bluee Valentine!
Silenzio.
Mi chiamo Bluee Valentine, sì, proprio così, con due “e”, non è un errore di scrittura dell’autore, io mi chiamo così, Bluee Valentine, già, già. Pensate che stia divagando? Volete davvero conoscere la mia storia? Non credo. Bè in ogni caso c’è il pianoforte che m’aspetta, devo andare. E l’unica cosa che posso dire è che non capisco perché quella stronza di Catherine si ostini a chiamarmi “warm-blooded”. Odio lei e la sua menopausa. Se non è mai potuta arrivare ai miei livelli non è mica colpa mia.
Quello che vedo, mentre suono il piano, è solo ghiaccio. 

Silenzio. Una tenue e rotonda luce rossa illumina un pianoforte a coda, nell’angolo del palco. È lei, la Regina. Sensualissima e dark, calze a rete nere, frak e perizoma neri, guanti e piume di struzzo neri. Cappellino portato di lato, alla francese. Nero.
Bluee Valentine appoggia le dita sul pianoforte e i tasti iniziano ad accarezzarle. È l’inizio del suo tormento, cha ha il colore freddo della brina invernale dipinta sul suo volto.
Vedo una porta rossa e la voglio dipingere di nero”.
Mentre suona, le sue labbra si schiudono lentamente e lasciano entrare un filo di aria tra le fessure dei denti. Ora li digrigna. Suona con una mano per togliersi il guanto dall’altra.
Basta colori, voglio che sia tutto nero.
È sempre così. Buttare come una secchiata di acqua gelida sul pianoforte le dita per Valentine significa vivere, e soffrire. Valentine: la diva dello show. Adesso si sfila la giacchetta, con migliaia di brillantini neri appiccicati sopra.
Vedo una fila di macchine, e sono tutte nere. I fiori ed il mio amore non torneranno più”.
Non è più facile nascondersi, non lo è mai stato ma… fino ad ora è stato possibile. Ma adesso?
Vedo la gente che si volta e poi guarda subito da un’altra parte, come un bambino appena nato…
Che fare, adesso? Conosce perfettamente le conseguenze, sa… a cosa va incontro.
…è una cosa che succede ogni giorno.
Non è vero, Mick, non succede tutti i giorni, non può essere così.
Guardo dentro di me e vedo che il mio cuore è nero.”
L’ultima volta che lo vedrà, e l’ultima volta che la vedranno. Nuda. Nel frattempo, è rimasta nuda. Solo copricapezzoli ed una conchiglia nera.
Vedo la mia porta rossa che è stata dipinta di nero
Io e lui eravamo nel tunnel, poi all’improvviso il tunnel è scomparso e la lucidità ha peggiorato tutto. Abitudini, spostamenti continui, tensioni emotive, cura del proprio corpo.
 “Forse scomparirò e non dovrò affrontare la realtà”.
Ma sì, ormai ha scelto. Non passerà nemmeno dal suo camerino prima di fuggire, da tempo non provava più nemmeno il piacere di contare le rose rosse che l’aspettavano davanti alla porta.
Non è facile affrontarla quando tutto il mondo è nero”.
Forse, un giorno, quando la gente si chiederà perché sono scappata e tu verrai a cercarmi, saprai che gli ho dato il tuo stesso nome. O, perlomeno, quello che hai detto a me, Mick.

Quando, dietro le quinte, sente gli applausi provenire dal palco, capisce che è arrivato il momento. Lo spettacolo è finito. Si guarda allo specchio, fa una smorfia, poi si dirige verso il camerino di Bluee Valentine. Non ha ancora le parole chiare nelle testa, ma sa perfettamente quello che deve dirle. È da parecchio che aspettava il momento in cui avrebbe trovato il coraggio, Mick il paroliere. Ma anche Danny Boy, l’incantatore. E Brian, il seduttore. E poi Jimmy Durante, il mascalzone. In ogni caso,  a voi si è presentato come Jonathan Fettuccini, artista di strada.

 
 

Parental Advisory:
quello che leggerete è un racconto di fantasia frutto della mente malata di C.V.
Pertanto, tutto quello che leggerete non è successo per davvero, anche se 'questo' dovrebbe essere un report e quindi la cronaca fedele di un evento accaduto nella realtà.
Chè poi, non è vera neanche quest'ultima affermazione: ognuno il report se lo scrive e se lo gode come cazzo vuole.
Poi sta a voi leggerlo, ed eventualmente imprecare contro il tempo che vi ha fatto perdere l'autore.
Buona lettura. 

 
 

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